c’è del livio... del livio per terra... ma questa roba non
ha senso, non posso essere io...
più dentro che nel qui, non si può andare. è una sillaba a cui non corrisponde nulla, che si trasforma man mano che mi sposto.
(sillaba di ferro, sferica, nera)
chiamiamo io tutto ciò che è qui.
la lingua è un sistema di qui.
ecco un livio al bar... quel livio divento io nel momento in cui mi prendo dalla poltrona e scendo per strada
ulisse: fu lui che aveva intagliato il letto nuziale nel
tronco d’ulivo... ma io non posso fornire nessuna prova, perché non sono stato
io ad intagliare il letto. perché non per 20 anni, ma dal primo istante del
tempo ho errato nel mare color del vino
se cado dal cervello, resta un corpo che non mi appartiene, quei materiali di quella strana forma, con quei tentacoli che brancicano, con tutti quei congegni celibi, caotici, in una tunica di pelle sbiadita. vanno per conto loro dei segni affastellati, e il piccione del palazzo di fronte continua a spidocchiarsi ... o almeno la riproduzione del becco spidocchia la riproduzione delle piume sulla retina...
i neuroni si sincronizzano, e il mio corpo entra in rapporto al mondo... gli organi sanguinolenti, i
congegni umidi e flosci, i cordami dei
nervi... la membrana di pelle che li fascia... le lacerazioni del continuo,
incongrue, oscene, esposte...
le orecchie estroflesse, pendule e arricciate... la piramide nasale e i
suoi cunicoli... i globi iridescenti, il punto focale nero, invisibile, delle
pupille... si dispongono davanti al resto del mondo... a un millimetro e mille
parsec...
in me c’è certo molta carne, qua rossa, qua livida o
bordeaux, o più azzurrastra o falba (i neuroni, gli organuli), ma questa carne
è una specie di luce, di quella roba che emana dalle galassie, un aerosol addensato - che si
agita, che smania...
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