lunedì 23 ottobre 2023

Gadda prima e dopo Eros e Priapo

 Intendo prima e dopo la mia lettura di Eros e Priapo. Devo dire che il mio rapporto letterario con Gadda si è approfondito dopo la lettura di quest’opera radicale e estrema - e in particolare dell’edizione Adelphi 2016 con le appendici e la versione originale. La lettura mi fu consigliata se non ingiunta dal noto critico C. - con cui peraltro ho rotto i rapporti 15 anni fa, dopo una sua arrogante email – ma solo ora l’ho affrontata.

Ecco quel che ho scritto di Gadda in Esercizi per accorgersi del mondo (nel capitolo Microsaggi):

gadda, lo scrittore performante

gadda è probabilmente il maggior scrittore italiano, e questo è il suo limite. è

lo scrittore più performante, il fenomeno, il tarzan

o il ronaldo dell’espressività.

non c’è mai nei suoi scritti quella povertà in cui può scintillare per un istante

l’essenza stupefacente del mondo, né quel delirio in cui il mondo appare per

un istante gratuito e atroce (immondo atroce assurdo – celine) com’è, e non

per come è scritto. difetta intimamente di queste due qualità intime della poesia,

la povertà e il delirio. tutto è ricco, addobbato, e imbandito – anzi ne avanza

qua e là un po’ di carità per i poveri di spirito.

certo anche quella di gadda è poesia, ma è poesia del grasso, della quantità,

della congestione, e infine poesia agonistica e feticistica, poesia “per la ricchezza

e per la fama”, anche se non ha procurato all’autore né l’una né l’altra,

se non fra gli addetti ai lavori altrettanto agonisticamente motivati (spesso

critici arrivisti, o al contrario scrittori esecutivi e burocrati della parola… certo,

anche contini e altra gente irreprensibile, ma probabilmente perché presi per

la gola dalle suo ghiottonerie lessicali, che hanno impedito un giudizio spassionato).

dietro l’invenzione “geniale”, dietro la complicazione ludica (il rompicapo di

linguaggio prodotto al solo scopo di risolverlo) la lingua di gadda è piatta, è

referenziale. nessuna parola sta per altro che per il suo significato. se con

merleau ponty definiamo l’immaginario come il sottile strato di impensato fra

il pensiero e ciò che esso pensa, in gadda sulla pagina resta sempre infallibilmente

(anche nel senso positivo del termine) ciò che il pensiero ha pensato.

il simpatico ingravallo potrebbe pari pari figurare fra i personaggi di Un posto

al sole, o della serie di Nonno Libero, con la sua spassosa idea dello “gliuom-

mero”, e cioè di un mondo complicato ma non complesso, un mondo scomponibile

e esauribile all’analisi. come commissario, non pare avere più spessore

e tridimensionalità di ginko, che era sostanzialmente il marito di altea. nel

caso migliore, La cognizione del dolore, troviamo esattamente e magistralmente

espressa l’ottocentesca analisi psicologica di un carattere, di un’interiorità.

un “monstrum” linguistico, un grandioso e ipercromico arazzo come il

Pasticciaccio, ci lascia nel mondo esattamente nella posizione in cui ci aveva

trovati, non ci fa procedere o riorientare nel reale, non lavora come ogni gesto

estetico autentico sulle percezioni preliminari, sui meccanismi di elaborazione

dei dati formali che decidono del risultato estetico, non produce una diversa

esperienza e visione del mondo, diversa perché originata da un corpo unico

e insostituibile, perché gadda non scrive col proprio corpo, nel proprio corpo,

ma lavora sullo spartito, o sullo strumento. gadda trascrive complessamente

un mondo percepito semplice, o complicato per addizione di percezioni semplici.

ma tutto ciò che un corpo riesce a “dire” – ad aggiungere al mondo – è

ciò che percepisce, in quanto opaca, flagrante e irriducibile presenza.

landolfi e gadda

landolfi stende un testo di pretto vocabolario (la passeggiata) risultando incomprensibile,

gadda reinventa le parole, e si fa capire… apparentemente

doppia colpa di L., ortodosso e pigro… ma infine landolfi lo fa per gioco, o per

dirci la verità vertiginosa che la comunicazione fra i corpi che siamo, fra le

isole percettive che siamo, è illusoria? gadda invece riferisce a un plot di tipo

giallo… certo il mistero è che quelle vicende accadano, si potrebbe obiettare,

ma allora qual è la differenza con le serie di NCIS o con Chi l’ha visto? la

lingua. ma allora che funzione ha quella lingua? addobba, decora, agghinda,

guarnisce un impianto estetico ordinario, come il burro spalmato sulla tartina?

tutta quella profusione verbale, tutta quella vulcanicità in gadda, non è mai

una questione di vita o di morte, sono tutte parole, viene il sospetto, giocate

non per sfidare l’Iddio o l’assoluto (come è una scommessa e una puntata

ogni parola del giocatore landolfi) ma per intrattenere, o confezionare. gadda

ancor più che cartaceo, è incartaceo.

 

Ed ecco le mie impressioni dopo Eros e Priapo:

Il critico suddetto considerava questo libro il capolavoro di Gadda, e riteneva che avrebbe sciolto le mie riserve su di lui. In realtà i primi capitoli mi sono sembrati un’esasperazione del gaddismo, che piuttosto le mie riserve le confermavano: solite mirabilia e pirotecnie, logorrea, invasamento, esibizionismo e narcisismo linguistico opposto (e speculare?) a quello politico e sociale del Duce, bersaglio del pamphlet, solita insomma idea intensiva-quantitativa-agonistica della scrittura, il tutto naturalmente al solito altissimo livello letterario e umoristico (il fondo di Gadda, erede di Rabelais, Folengo ecc,  è in fondo quello di scrittore comico, che contrappone una lingua alta a una materia bassa). Ma dal IV capitolo in poi, e ancor più nelle appendici, nello straordinario scritto sulle Marieluise e il patriottaggio, il tasso diciamo così referenziale aumenta, il discorso si rassoda  (per una necessità strutturale e quasi statica), l’intelligenza corrosiva e ustoria dell’autore prevale, e il suo esibizionismo sembra convergere a una funzione precisa: autorizzare la sua “decisione” morale, conferirgli quell’autorevolezza, quel titolo e rango intellettuale superiore, che giustifica e valorizza la sua condanna del fascismo e di tutto un sistema sociale basato sulla superficialità e l’insipienza, che peraltro è ancora quello su sui si regge la vita sociale italiana. E così le descrizioni delle “vispeteresoidi marieluise... che scodellano uè uè”, dell’”odore fagico-burocratico-funzionaristico-rataponico” (ndr ratapon topo di chiavica in milanese) e il “complesso seggiola-deretano-ventisette) (ndr giorno di paga) , delle “deglutizioni del dio” ecc ecc

Tuttavia una considerazione extraletteraria, e in realtà più profondamente letteraria se non vogliamo sostenere inconsistentemente che i segni di scrittura non rimandino alle intenzioni e infine alle cose, ribalta per l’ennesima volta il mio giudizio: e cioè che Gadda è stato convintamente fascista fino al ‘40 e all’entrata in guerra, o secondo certe sue dichiarazioni messe fondatamente in dubbio, almeno fino al 1934.

Dunque la più violenta invettiva contro il fascismo, il magma di turpiloquenti accuse e vituperii che è L’Eros e Priapo, non può che ritenersi dettata da un’urgenza più psicologica che morale e politica. Come confermano anche le sue posizioni politiche successive, improntate a tradizionalismo e nostalgismo monarchico.

Se non l’argomentazione e la sostanza della tesi, la violenza dello scritto, la sua forma paradossale e iperbolica,  deve ritenersi di natura espiatoria, una forma di autodenuncia, di autoflagellazione, di penitenza, di catarsi, ma comunque effetto reattivo di un senso di colpa. Per utilizzare, peraltro, le categorie freudiane che assume lo stesso scritto.

Restano inoltre i suoi limiti percettivi, di “dominio” intellettuale, e ad es. il testo sulle Marieluise si conclude con un elogio degli alpini e il loro spirito di sacrificio che può lasciare perplessi. Il suo pur contorto moralismo, l’analisi anche spietata della realtà sociale e psicologica dell’uomo, non trascende mai i limiti del linguistico, dell’antropico, dello scientifico... bene, è una funzione importante e necessaria, ma io ribadisco la mia convinzione che la funzione più profonda della scrittura sia quella wittgenstainiana di sbattere contro i limiti del linguaggio, di constatare o notificare l’irrappresentabilità e insieme flagranza delle cose, e fondandosi in questo spazio pre o non-linguistico, di vedere altri mondi dentro al mondo, di proporre una nuova forma del mondo, una nuova disposizione psichica, un nuovo ambiente.

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