Intendo prima e dopo la mia lettura di Eros e Priapo. Devo dire che il mio rapporto letterario con Gadda si è approfondito dopo la lettura di quest’opera radicale e estrema - e in particolare dell’edizione Adelphi 2016 con le appendici e la versione originale. La lettura mi fu consigliata se non ingiunta da un noto critico - con cui peraltro ho rotto i rapporti 15 anni fa – ma solo ora l’ho affrontata.
Ecco quel che ho scritto di Gadda in Esercizi per accorgersi
del mondo (nel capitolo Microsaggi):
gadda, lo
scrittore performante
gadda è probabilmente il maggior
scrittore italiano, e questo è il suo limite. è
lo scrittore più performante, il fenomeno, il tarzan
o il ronaldo dell’espressività.non c’è mai nei suoi scritti quella
povertà in cui può scintillare per un istante
l’essenza stupefacente del mondo, né
quel delirio in cui il mondo appare per
un istante gratuito e atroce (immondo
atroce assurdo – celine) com’è, e non
per come è scritto. difetta
intimamente di queste due qualità intime della poesia,
la povertà e il delirio. tutto è
ricco, addobbato, e imbandito – anzi ne avanza
qua e là un po’ di carità per i poveri
di spirito.
certo anche quella di gadda è poesia,
ma è poesia del grasso, della quantità,
della congestione, e infine poesia
agonistica e feticistica, poesia “per la ricchezza
e per la fama”, anche se non ha
procurato all’autore né l’una né l’altra,
se non fra gli addetti ai lavori
altrettanto agonisticamente motivati (spesso
critici arrivisti, o al contrario
scrittori esecutivi e burocrati della parola… certo,
anche contini e altra gente irreprensibile,
ma probabilmente perché presi per
la gola dalle suo ghiottonerie
lessicali, che hanno impedito un giudizio spassionato).
dietro l’invenzione “geniale”, dietro
la complicazione ludica (il rompicapo di
linguaggio prodotto al solo scopo di
risolverlo) la lingua di gadda è piatta, è
referenziale. nessuna parola sta per
altro che per il suo significato. se con
merleau ponty definiamo l’immaginario
come il sottile strato di impensato fra
il pensiero e ciò che esso pensa, in
gadda sulla pagina resta sempre infallibilmente
(anche nel senso positivo del termine)
ciò che il pensiero ha pensato.
il simpatico ingravallo potrebbe pari
pari figurare fra i personaggi di Un posto
al sole, o della serie di Nonno
Libero, con la sua spassosa idea dello “gliuom-
mero”, e cioè di un mondo complicato
ma non complesso, un mondo scomponibile
e esauribile all’analisi. come
commissario, non pare avere più spessore
e tridimensionalità di ginko, che era
sostanzialmente il marito di altea. nel
caso migliore, La cognizione del
dolore, troviamo esattamente e magistralmente
espressa l’ottocentesca analisi
psicologica di un carattere, di un’interiorità.
un “monstrum” linguistico, un
grandioso e ipercromico arazzo come il
Pasticciaccio, ci lascia nel mondo
esattamente nella posizione in cui ci aveva
trovati, non ci fa procedere o
riorientare nel reale, non lavora come ogni gesto
estetico autentico sulle percezioni
preliminari, sui meccanismi di elaborazione
dei dati formali che decidono del
risultato estetico, non produce una diversa
esperienza e visione del mondo,
diversa perché originata da un corpo unico
e insostituibile, perché gadda non
scrive col proprio corpo, nel proprio corpo,
ma lavora sullo spartito, o sullo
strumento. gadda trascrive complessamente
un mondo percepito semplice, o
complicato per addizione di percezioni semplici.
ma tutto ciò che un corpo riesce a
“dire” – ad aggiungere al mondo – è
ciò che percepisce, in quanto opaca,
flagrante e irriducibile presenza.
landolfi e
gadda
landolfi stende un testo di pretto vocabolario
(la passeggiata) risultando incomprensibile,
gadda reinventa le parole, e si fa
capire… apparentemente
doppia colpa di L., ortodosso e pigro…
ma infine landolfi lo fa per gioco, o per
dirci la verità vertiginosa che la
comunicazione fra i corpi che siamo, fra le
isole percettive che siamo, è
illusoria? gadda invece riferisce a un plot di tipo
giallo… certo il mistero è che quelle
vicende accadano, si potrebbe obiettare,
ma allora qual è la differenza con le
serie di NCIS o con Chi l’ha visto? la
lingua. ma allora che funzione ha
quella lingua? addobba, decora, agghinda,
guarnisce un impianto estetico
ordinario, come il burro spalmato sulla tartina?
tutta quella profusione verbale, tutta
quella vulcanicità in gadda, non è mai
una questione di vita o di morte, sono
tutte parole, viene il sospetto, giocate
non per sfidare l’Iddio o l’assoluto
(come è una scommessa e una puntata
ogni parola del giocatore landolfi) ma
per intrattenere, o confezionare. gadda
ancor più che cartaceo, è incartaceo.
Ed ecco le mie impressioni dopo Eros e Priapo:
Il critico suddetto considerava questo libro il capolavoro
di Gadda, e riteneva che avrebbe sciolto le mie riserve su di lui. In realtà i
primi capitoli mi sono sembrati un’esasperazione del gaddismo, che piuttosto le
mie riserve le confermavano: solite mirabilia e pirotecnie, logorrea, invasamento,
esibizionismo e narcisismo linguistico opposto (e speculare?) a quello politico
e sociale del Duce, bersaglio del pamphlet, solita insomma idea
intensiva-quantitativa-agonistica della scrittura, il tutto naturalmente al
solito altissimo livello letterario e umoristico (il fondo di Gadda, erede di
Rabelais, Folengo ecc, è in fondo quello
di scrittore comico, che contrappone una lingua alta a una materia bassa). Ma dal
IV capitolo in poi, e ancor più nelle appendici, nello straordinario scritto
sulle Marieluise e il patriottaggio, il tasso diciamo così referenziale aumenta,
il discorso si rassoda (per una
necessità strutturale e quasi statica), l’intelligenza corrosiva e ustoria dell’autore
prevale, e il suo esibizionismo sembra convergere a una funzione precisa: autorizzare
la sua “decisione” morale, conferirgli quell’autorevolezza, quel titolo e rango
intellettuale superiore, che giustifica e valorizza la sua condanna del
fascismo e di tutto un sistema sociale basato sulla superficialità e
l’insipienza, che peraltro è ancora quello su sui si regge la vita sociale
italiana. E così le descrizioni delle “vispeteresoidi marieluise... che
scodellano uè uè”, dell’”odore fagico-burocratico-funzionaristico-rataponico”
(ndr ratapon topo di chiavica in milanese) e il “complesso
seggiola-deretano-ventisette) (ndr giorno di paga) , delle “deglutizioni del
dio” ecc ecc
Tuttavia una considerazione extraletteraria, e in realtà più
profondamente letteraria se non vogliamo sostenere inconsistentemente che i
segni di scrittura non rimandino alle intenzioni e infine alle cose, ribalta
per l’ennesima volta il mio giudizio: e cioè che Gadda è stato convintamente
fascista fino al ‘40 e all’entrata in guerra, o secondo certe sue dichiarazioni
messe fondatamente in dubbio, almeno fino al 1934.
Dunque la più violenta invettiva contro il fascismo, il
magma di turpiloquenti accuse e vituperii che è L’Eros e Priapo, non può che
ritenersi dettata da un’urgenza più psicologica che morale e politica. Come
confermano anche le sue posizioni politiche successive, improntate a
tradizionalismo e nostalgismo monarchico.
Se non l’argomentazione e la sostanza della tesi, la
violenza dello scritto, la sua forma paradossale e iperbolica, deve ritenersi di natura espiatoria, una
forma di autodenuncia, di autoflagellazione, di penitenza, di catarsi, ma
comunque effetto reattivo di un senso di colpa. Per utilizzare, peraltro, le
categorie freudiane che assume lo stesso scritto.
Restano inoltre i suoi limiti percettivi, di “dominio”
intellettuale, e ad es. il testo sulle Marieluise si conclude con un elogio
degli alpini e il loro spirito di sacrificio che può lasciare perplessi. Il suo
pur contorto moralismo, l’analisi anche spietata della realtà sociale e
psicologica dell’uomo, non trascende mai i limiti del linguistico,
dell’antropico, dello scientifico... bene, è una funzione importante e necessaria,
ma io ribadisco la mia convinzione che la funzione più profonda della scrittura
sia quella wittgenstainiana di sbattere contro i limiti del linguaggio, di
constatare o additare l’irrappresentabilità e insieme flagranza delle cose, e
fondandosi in questo spazio pre o non-linguistico, di vedere altri mondi dentro
al mondo, di proporre una nuova forma del mondo, una nuova disposizione psichica,
un nuovo ambiente.
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