lunedì 19 giugno 2023

La felicità minore. 7 riflessioni sul rapporto fra denaro e felicità

 


 

Trasformando il mondo in merce, il ricco ne estrae la sostanza, lo svuota. Trasformando ogni oggetto in oggetto di scambio, ne risucchia l’essenza. La mela non sarà più la mela in sé, ma nemmeno la mela saporita, la annurca un po’ bacata, piccola, ma che sulle papille esplode in tutta la sua densità di gusto,  perché deve apparire, deve essere comprata: la sua nuova essenza è la commerciabilità, la sua nuova forma è il prezzo. Diventa la mela insapore del supermercato. L’amore non è più amore, perché è dato senza amore, non per amore, ma per il suo corrispettivo. La vita stessa diventa spettacolo della vita, cioè la sua forma commerciale, e infine il suo simulacro.

 

Quello di felicità, è forse uno dei concetti più evanescenti, e indefinibili.

Oscuro, opaco nell’altro, ma impenetrabile anche per noi stessi. A cosa corrisponde l’affermazione: sono felice? (posto che sia inattendibile e retorica se declinata nel rimpianto del passato o la speranza del futuro). A una certa attività mentale, un tiepido e piacevole rimescolio del sangue, in cui il sistema endocrino abbia iniettato un’adeguata quantità di droghe endogene, cosiddette endorfine? e prima, a una certa configurazione di luci e linguaggi, corrispondente a una precedente aspettativa? Il concetto di miliardario è invece definibile e quantitativo: è tale chi possiede almeno un miliardo, secondo Forbes al momento ce ne sono 2153.

 

Se consideriamo la loro etimologia, felice e miliardario in italiano hanno lo stesso significato: rimandano allo stesso concetto quantitativo di abbondanza, eccedenza, prosperità. La felicità è l’abbondanza, i grandi glutei delle Veneri di Laussel o Willendorf. Sembrerebbe quindi uno scongiuro, o una tesi consolatoria, o un’ipocrisia, che i soldi non danno la felicità. Una mia amica mi scrive: secondo me S.B. è stato felice, e ha compiuto la sua missione. Prospettiva interessante, le ho risposto, io non ho mai demonizzato S.B. Ma la domanda è forse: l’ho mai invidiato? Sono nato più che benestante, ho ereditato una piccola azienda sanitaria attraverso la quale avrei potuto arricchirmi, ma non ci ho mai provato. Wittgenstein (il mio riferimento etico, intellettuale e estetico) nacque da una delle più ricche famiglie austriache, ma regalò il denaro ai fratelli, e visse del suo pensiero. Sono scelte che potremmo definire anche “ascetiche”, o “orientali”, o “cristiane”, ma per ora non allarghiamo il discorso al suo fondamento trascendente. Era un carattere impossibile, dopo una serata con lui perfino Bertrand Russell si dichiarava stremato. Ma prima di morire raccomandò: dite agli amici che sono stato felice. Dunque la corrispondenza non è in sé e incondizionatamente vera. Come mai? La mia risposta è questa: perché in ultima istanza il denaro serve a comprare linguaggio.

 

 Un batterio, uno scarabeo, un uccello non sono felici. Semmai soddisfatti, come si dice di un’ipotesi o equazione. Possiamo cominciare a dare un senso diverso al termine se lo riferiamo a un cane, nella misura in cui possiede una forma rudimentale di linguaggio, e una conseguente coscienza temporale. La felicità si inscrive nella dimensione interiore della psiche, in quella temporale, nel rapporto fra un’aspettativa e la sua realizzazione, o nella sua articolazione linguistica e sociale. In termini più immediati, possiamo dire che, oltre le necessità di sopravvivenza, ogni piacere che ci si procura col danaro (il macchinone, la fama e la considerazione, lo stesso piacere della donna "bella" ecc.) è psichico... e dunque alla felicità si arriva forse più profondamente e intensamente con la musica l'amore l'ascesi ecc

 

B. caimano? B. gaudente? questa analisi mi è sempre parsa superficiale o ingenua. B. essendo un vacuum, una maschera, non aveva una carne propria con cui e da cui godere, godeva per procura attraverso il corpo dell’altro, tanto più quanto costui era più istintuale e desiderante, ad es. una marocchina 17enne o una casalinga isterica in piazza. B. non uccideva, ma nemmeno faceva realmente del male (la sua presunta immoralità), perché è nel corpo dell’altro che egli si insediava e stabiliva per esserne agito e esistito. Anzi, egli ha fatto del bene, ha alimentato e sostenuto chi doveva godere al suo posto. Era un agnello sacrificale, un virus e un benefattore. Se nessuno può amare davvero l’altro, se non per un equivoco, o per un erroneo traboccamento o rottura della propria integrità, Silvio B. sfruttava il vantaggio ineguagliabile del non essere, e dunque di non essere nemmeno un altro. Questa era la sua forza. Silvio B. piaceva, e non poteva non piacere, perché consisteva in questo atto del piacere, si era strutturato a forma del desiderio dell’altro, e non essendo in sé nulla, vi coincideva esattamente.

 

Vedi, figlio, quanta gloria è tributata a quest’uomo, che ha eccelso nella lunghezza del conto in banca, nella fama televisiva, e negli amori venali... impara, figlio, che è questo che nella vita più conta... non la santità del cuore e degli ideali, ma la santità del successo, dei soldi e del sesso... vai, vai al tuo telefonino, dove apprenderai tutto quanto è necessario a servire questi nobili ideali...e tuttavia ricorda pure, come disse un poeta, un povero parolaio, quasi mille anni fa, che “quanto piace al mondo è breve sogno”

 

Infine la felicità è connessa anche al suo ritorno “etico”, alla sua condivisione. La felicità è compromessa, corrotta, offuscata, dall’infelicità dell’altro, dal crimine, o dall’omissione e la disattenzione.  Anche immediatamente, per Jordan Belfort, il “lupo di Wall street” del film di Scorsese, i nodi sono venuti al pettine, e con essi la galera e la restrizione materiale. Ma se per S.B:, come in un certo senso è stato, i nodi non fossero mai venuti al pettine, o venuti al pettine fossero stati in qualche modo districati, e se questo fosse durato tutta la vita, e con tale stile di vita egli avesse procurato altrettale e altrettanta felicità di “bassa qualità”, ma duratura, a milioni di dipendenti, di fans, di infatuati, muniti di psicologie altrettanto elementari ? Se in definitiva attualmente, di fatto, S.B. avesse prodotto, generato, indotto nella sua vita felicità per se stesso e per gli altri? La domanda allora si potrebbe ridurre a questa: se gli uomini fossero restati bestie, sarebbero più felici? Bestie innocenti... bestie che non conoscono il bene e il male, che non conoscono il passato e il futuro... che non conoscono lo strazio del passato e la smania del futuro... La mia risposta è no. Quella della bestia è una felicità irresponsabile... non nel senso etico, e nemmeno in quello che gli attribuisce il pensiero calcolante... nel senso che non risponde a nulla, che non risponde alle domande senza risposta. E’ una felicità a corto raggio, una felicità pallida, una felicità “minore”... è una felicità senza felicità.


(L'immagine in copertina è "Armonia", un'opera di Ugo Simeone.)


8 commenti:

  1. Grazie 🙏🏼 Livio per il suggerimento di lettura. Leggere l’articolo per intero spinge sicuramente a più profonde considerazioni e riflessioni e si comprende meglio che il personaggio citato come esempio fornisce solo lo spunto per incunearsi nel nucleo dell’argomento principale riguardante l’umana ed effimera ricerca di una presunta felicità che nessuno in realtà sa bene come ottenere e quindi, al di là delle molecole e degli ormoni, si va un po’ tutti per tentativi e approssimazioni, ognuno immaginando che Ella, perfida e maliziosa, si nasconda in ciò che non si ha o che è impossibile ottenere e talvolta si concede a chi non la cerca e non la merita e neppure sa riconoscerla.
    La felicità chi la possiede non sa di possederla e a volte la perde per leggerezza e superficialità e solo molto dopo a volte nel rimpianto si rende conto da averla avuta tra le mani e non averne compreso l’essenza e il valore.
    Complimenti!
    Un testo molto profondo e limpido e un’analisi molto accurata che mi è piaciuto leggere soffermandomi su alcuni punti molto condivisibili.
    Buona serata. Angela L.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' così... la felicità è sfuggente... un mio amico scrittore diceva che è puntiforme...ma senza un'idea astratta di felicità, non possiamo nemmeno parlare "realmente" di politica, di leggi ecc.

      Elimina
    2. sì... un bacio in corsa... o chissà, una luce perpetua...

      Elimina
    3. Ah ah ah scusami Livio ma io, personalmente, preferirei di gran lunga il bacio in corsa…senza la necessità della luce perpetua.

      Elimina
  2. Supporre che S.B. sia stato felice e abbia compiuto la sua missione era un modo per dire che ognuno risponde a una propria idea di felicità e realizzarla nella propria vita è un tentativo soggettivo di felicità. Indossare la felicità degli altri è sempre riduttivo anche quella di Berlusconi così abbondante e apparentemente garanzia di soddisfacimento di tutti i desideri. Ma anche quella "ascetica", quella consapevole dei bisogni psichici, se se non è la nostra consapevolezza sarà sempre solo domanda. Forse felicità non è uno status, né solo circolazione di endorfine e neppure consapevolezza. Forse non è una domanda né una conquista. Non nominiamo il suo nome invano mi viene da pensare. Piuttosto camminiamo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. sì, camminiamo...ma specifico dell'uomo è camminare con una meta, anche se poi un po' per saggezza un po' per retorica si dice che la meta è il cammino ecc

      Elimina
  3. in sintesi penso che è vero, parlare di felicità sembra inconcludente... ma cmq in qualunque nostro atto è discorso è presupposta un'idea di felicità... dunque è meglio provare a farlo

    RispondiElimina
  4. Inconcludente è parlarne se si è arresi, se si cercano solo le prove dell'infelicità..che si trovano sempre.

    RispondiElimina