Bisogna disattivare la guerra, più che ripudiarla o spaventarsene. Senza questo cambio di postura, i conflitti nel mondo sono destinati ad acuirsi. La soluzione del conflitto Russia-Ucraina è a portata di mano, e consiste nell’indire 2 referendum in Donbass e sulla Nato in Ucraina, dati ormai per scontati da una parte l’impossibilità di un ripiego russo senza condizioni e garanzie e dall’altra quella della neutralità dell’Ucraina. E’ una soluzione compatibile sia coi principi etici e giuridici internazionali che con quelli enunciati da Putin nel fondamentale discorso del 24 febbraio 2022 (che è importante leggere integralmente), ma è realizzabile a una sola condizione: che l’Europa assuma finalmente una posizione di terzietà ed equanimità nei confronti della politica imperialista Usa, e trovi finalmente la sua ragion d’essere in quell’ideale pacifista, concretamente attuato negli ultimi 80 anni, che è il risultato più maturo, alto e profondo della sua millenaria cultura. Ciò significa rompere il patto atlantico? Forse... ma non necessariamente... significa piuttosto inaugurare una fase dialettica dell’atlantismo, in cui la parola alleanza non sia più mascheramento della parola servitù, e in cui non dobbiamo girare gli occhi dall’altra parte quando sono gli Usa a bombardare. E significa rassicurare Putin, e insieme tutti i popoli e le civiltà del mondo fondate su valori diversi da quelli occidentali.
Come conseguenza da una parte dei nuovi assetti geopolitici,
col ruolo centrale della Cina e dell’Islam, dall’altra del progressivo potere
attrattore del modello consumistico e capitalistico, il nuovo equilibrio
mondiale non può più reggersi sulla contrapposizione Usa-Russia. L’Europa non
può né trovarsi schiacciata fra queste nuove forze, né fungere da testa di
ponte Usa, ma deve assumere quel ruolo di mediazione, di interscambio, di trasduzione
da un sistema valoriale all’altro, che gli assegna la sua cultura e che gli
impone la sua storia. L’Italia, radice profonda dei valori culturali e
dell’identità europei, antropologicamente vocata a neutralità e pacifismo, dovrebbe
guidare o almeno promuovere questo processo. Il problema è se Draghi, ottima
persona e tecnico competente, ma sostanzialmente “grande burocrate” privo di
una visione profonda e originale (lo stesso quantitative easing cui deve il suo
prestigio è stato importato pari pari dalla Federal Reserve), il buon
chierichetto Di Maio, e soprattutto chi sarebbe tenuto a farlo, quella sinistra
che è sempre meno di sinistra e sempre più un’inconsistente accolita di impiegati
dei partiti, funzionari del compromesso e resulta varia intellettuale ed etica,
potrà avere la tempra morale e la visionarietà culturale necessarie a questo
compito.
Un domani, io credo, il nostro pacifismo così parziale,
utilitaristico e poco più che retorico ci sembrerà altrettanto barbaro che il
bellicismo di una volta.
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