giovedì 10 marzo 2022

Facciamo pace

 


 Bisogna disattivare la guerra, più che ripudiarla o spaventarsene. Senza questo cambio di postura, i conflitti nel mondo sono destinati ad acuirsi.  La soluzione del conflitto Russia-Ucraina è a portata di mano, e consiste nell’indire 2 referendum in Donbass e sulla Nato in Ucraina, dati ormai per scontati da una parte l’impossibilità di un ripiego russo senza condizioni e garanzie e dall’altra quella della neutralità dell’Ucraina. E’ una soluzione compatibile sia coi principi etici e giuridici internazionali che con quelli enunciati da Putin nel fondamentale discorso del 24 febbraio 2022 (che è importante leggere integralmente), ma è realizzabile a una sola condizione: che l’Europa assuma finalmente una posizione di terzietà ed equanimità nei confronti della politica imperialista Usa, e trovi finalmente la sua ragion d’essere in quell’ideale pacifista, concretamente attuato negli ultimi 80 anni, che è il risultato più maturo, alto e profondo della sua millenaria cultura. Ciò significa rompere il patto atlantico? Forse... ma non necessariamente... significa piuttosto inaugurare una fase dialettica dell’atlantismo, in cui la parola alleanza non sia più mascheramento della parola servitù, e in cui non dobbiamo girare gli occhi dall’altra parte quando sono gli Usa a bombardare. E significa rassicurare Putin, e insieme tutti i popoli e le civiltà del mondo fondate su valori diversi da quelli occidentali.

Come conseguenza da una parte dei nuovi assetti geopolitici, col ruolo centrale della Cina e dell’Islam, dall’altra del progressivo potere attrattore del modello consumistico e capitalistico, il nuovo equilibrio mondiale non può più reggersi sulla contrapposizione Usa-Russia. L’Europa non può né trovarsi schiacciata fra queste nuove forze, né fungere da testa di ponte Usa, ma deve assumere quel ruolo di mediazione, di interscambio, di trasduzione da un sistema valoriale all’altro, che gli assegna la sua cultura e che gli impone la sua storia. L’Italia, radice profonda dei valori culturali e dell’identità europei, antropologicamente vocata a neutralità e pacifismo, dovrebbe guidare o almeno promuovere questo processo. Il problema è se Draghi, ottima persona e tecnico competente, ma sostanzialmente “grande burocrate” privo di una visione profonda e originale (lo stesso quantitative easing cui deve il suo prestigio è stato importato pari pari dalla Federal Reserve), il buon chierichetto Di Maio, e soprattutto chi sarebbe tenuto a farlo, quella sinistra che è sempre meno di sinistra e sempre più un’inconsistente accolita di impiegati dei partiti, funzionari del compromesso e resulta varia intellettuale ed etica, potrà avere la tempra morale e la visionarietà culturale necessarie a questo compito.   

Un domani, io credo, il nostro pacifismo così parziale, utilitaristico e poco più che retorico ci sembrerà altrettanto barbaro che il bellicismo di una volta. Più radicalmente, penso che l’incapacità di uscire da sé, il difetto d’alterità, l’essere incatenati al proprio punto di vista sia alla radice di ogni male del mondo. Questo soggettivismo produce un pacifismo bastardo, figlio della paura e dell’odio. Il vero pacifismo, quello buono e costruttivo, nasce invece proprio come rifiuto della guerra quale contrapposizione dei punti di vista, quale conflitto fra le soggettività. Non può quindi prescindere dallo sforzo reale di porsi dal punto di vista dell’altro. Se l’altro è sempre un pazzo, è molto probabile che i pazzi siamo noi.

 

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