lunedì 8 marzo 2021

Sul rapporto fra percezione dimensionale della Polis e orientamento politico

Se è evidente e innegabile che l’opzione destra sinistra è in definitiva valoriale, è possibile probabilmente rintracciare la differenza fra i 2 orientamenti proprio nella percezione soggettiva del rapporto fra Polis e Politica.  E’ in un certo senso l’ordine dimensionale che attribuiamo alla Polis, che determina il nostro orientamento politico. Il sentimento politico, che produce, senza coincidervi,  l’idea politica, è diretto alla Polis, dunque alla Patria, piccola patria o grande che sia, in definitiva alla Madre. Ma in che modo la delimitiamo e determiniamo?  

Radicalizzando, Polis (patria) può essere l’utero o il Cosmo. O perfino, astraendo ancora, il minimo spazio percettivo del nostro nome, del sé, o l’Essere. Intendendo il termine polis non nel senso ristretto di città ma appunto in quello di patria, si può dire che da alcuni secoli si è andato definendo un ordine dimensionale che diamo per scontato che è all’incirca di alcune migliaia di km, con poche eccezioni in un senso o nell’altro (Vaticano, Lussemburgo... Russia, Usa, Cina) che poi eccezioni non sono,

in rapporto agli estremi che abbiamo indicato. Si è prodotta una divisione di stati di queste dimensioni, ma perché non uno stato del sé, o del pianerottolo, o fatto di 18 province, o di una lunga cresta montuosa o un fiume, e di conseguenza una politica dell’utero o una politica siderale? Si tende a pensare che esistano divisioni geografiche naturali, le grandi cordigliere montuose (Alpi, Pirenei ecc.) o i bacini di grandi fiumi che da esse originano, ma si tratta evidentemente di determinazioni arbitrarie, perché non gli stati valle, quello di Montevergine o della Brianza? Perché non uno stato unico di Sumeria, che sarebbe lo Stato della Scrittura? Una funzione importante è quella rappresentata dalle dimensioni e la velocità dei mezzi di comunicazione, che determinano certe discontinuità, certe soglie di passaggio dell’identità all’alterità, dal Medesimo all’Altro. Esiste ancora una residua identità di cultura, tradizioni e valori. E ovviamente quello che ho sempre considerato il fattore politico più importante, la Lingua. Ma in larga misura è la Lingua che è stata fatta combaciare con l’identità e i confini nazionali, non viceversa. Esiste una lingua italiana? In un senso rigoroso no. La lingua italiana è un’invenzione grafica e scritturale, ovvero letteraria e televisiva. Le vere lingue, i dialetti, sono incodificabili, intrascrivibili e irriproducibili. Per un parlante napoletano una poesia di Di Giacomo o una commedia di De Filippo scritte sono illeggibili, la trascrizione è del tutto fasulla, i fonemi, le legature, gli accenti melodici e i ritmi, sono malamente riprodotti con apostrofi, troncamenti e altri arrangiamenti grafici inadeguati. Così se riproduciamo foneticamente, e non empiricamente, una pagina scritta in inglese, ne risulta una lingua che non esiste. La sedimentazione storica, innanzitutto l’unificazione latina e romanza, poi il riferimento e i feed back col provenzale il curiale ecc hanno certo lasciato un sostrato comune ai vari dialetti italiani, ma sappiamo bene che alla data dell’Unità d’Italia per un calabrese illetterato era impossibile comunicare con un piemontese, e in termini assoluti, come già seppe Dante, non lo poteva nemmeno “ un bolognese di Borgo S. Felice con un bolognese di Strada Maggiore”. Con un’operazione prettamente letteraria, da laboratorio, partendo dalle sue stesse analisi del De Vulgari eloquentia, Dante ha proposto (fra “repugnanze” e “rossori al volto” ) il fiorentino come lingua della penisola, e l’operazione ha avuto un certo successo, perfezionata dalla koine dei letterati successivi, e infine dalla televisione e dal web.

La lingua cercata, trovata e proposta da Dante è una lingua forgiata dal Potere (“illustre, cardinale, aulica e curiale”) e legittimata dall’elite letteraria. Dante deride quei poeti, come Guittone d’Arezzo, che hanno adoperato il linguaggio del popolo.

Con altissima coscienza linguistica, certo: ...io, che ho il mondo come patria, come i pesci hanno il mare, benché abbia bevuto all’Arno prima di mettere i denti. (e peraltro tutte queste citazioni sono traduzioni dal latino del De Vulgari)

Certo l’italiano attuale è una media regionale in qualche modo vissuta, ma fondamentalmente l’italiano è una lingua artificiale, chimica come l’esperanto, che io sto scrivendo, che voi capite, perché ci siamo conformati e aggiustati psichicamente alle sue leggi. 

Una vera lingua, una lingua non rifatta, non di sintesi, è un indice del luogo. All’interno di una più ampia suddivisione di tipo politico culturale, la parola arbre è l’oggetto albero, il fatto botanico albero filtrato alla luce, alla temperatura, ai caratteri fisici, orografici e geologici del luogo Francia. Ci sono così lingue calde – fonicamente più morbide, spesso labializzate e sonorizzate, agglutinanti nella struttura, in genere più fisiche – e lingue più fredde – più strutturate, con prevalenza di fonemi esplosivi, dentali, aspirati ecc. – ci sono inflessioni e idiomi planari, montani, lagunari, fluviali aridi o boschivi rocciosi insulari, ventosi e eolici, compatti e tellurici ecc. . La suddivisione principale è climatica, e ricapitola quell'opposizione fra etnie e culture equatoriali e temperate (quei caratteri propri di tutti i nord e tutti i sud dell’emisfero boreale, che si ritrovano invertiti in quello australe). Il francese (come il sumero ) è una lingua fluviale e idrica, fluida, con prevalenza di fonemi disciolti (j, rotacismi, semi-vocali ecc.) , curvilinea, scorrevole, serpeggiante nella sintassi, cicloide e musicale, prosodicamente si precipita in avanti con l’accentazione tronca, il tedesco è tellurico e clastico, l’americano è la variante spaziata e sguaiata dell’inglese.

Una lingua nata sul mare, formatasi davanti al mare, si costituisce su quella forma percettiva che è l’azzurro, sul calco mentale, sulla foggia psichica che è l’azzurro. una lingua delle rocce, si conforma nello stampo delle guglie, gli strapiombi, le pareti che strutturano e ripartono una mente di montanaro.

Da tutto ciò deriva la radicale intraducibilità dei linguaggi. Mare sarebbe l’equivalente esatto di sea solo se si potesse spostare il Mediterraneo nel Baltico, ma probabilmente in quel caso i mari si porterebbero appresso i nomi.

 Dunque la nostra Patria non è necessariamente la terra del sì o del fiorentino mediatico, ma non è nemmeno lo spazio fra le Alpi e Lampedusa, o quella del cattolicesimo, la pizza e la Costituzione, o quella dei parlanti con genoma italico-mediterraneo, ed è tautologico dire che è quella definita dai confini giuridici.  

  La nostra patria è dunque l’unità valoriale che noi riconosciamo come Polis, e cioè come il soggetto dei diritti e doveri politici. In funzione della nostra scelta valoriale, essa può essere l’individuo, la famiglia, il clan, la città, la Nazione, lo Stato, in senso lato l’umanità e la Terra, e in senso cosmico-religioso l’Universo creato. Dichiararsi cittadini del mondo, come fecero Dante, Einstein o Che Guevara, equivale a scegliere quest’ultima opzione. La sinistra riconosce una serie di diritti-doveri sovranazionali, fondati in definitiva nella comune linguisticità dell’umanità. La visione di destra, si sposta sull’asse dimensionale di quest’unità in direzione del piccolo, riconosce l’individuo, la sua associazione minima nella famiglia e quell’espressione geografica che è l’Italia, e su questa decisione valoriale definisce la propria politica, e le proprie scelte e visioni relative a: identità nazionale, immigrazione e solidarietà, protezionismo economico, ruolo dello stato e politica fiscale, politica internazionale, diritti di belligeranza.

Vista in questi termini l’opposizione destra sinistra assume un diverso significato, più obiettivo e meno pregiudiziale. 

2 commenti:

  1. Sempre stimolanti e profonde le tue riflessioni. Butto giù al volo qualche pensiero che mi hanno suscitato.
    Il tuo radicare la differenza destra-sinistra in un diverso approccio alla polis ha a che fare con una visione ideale della politica. In fin dei conti l'individuo, ovunque sia di casa, è egoista, sia pure con gradazioni e aperture mentali diverse, e predilige "la piccola patria", materialmente parlando, che è poi ciò che di gran lunga gli preme, a destra (tornaconto economico personale, settoriale) come a sinistra (tornaconto di genere e di classe). Certo la narrazione a sinistra è tradizionalmente più pacifista-internazionalista, a destra più aggressivo-nazionalista, con varie sfumature al loro interno, ma la propensione agli interessi di bottega le accomuna più di quanto sembri. Qualunquismo? Non credo.
    Vedersi parte integrante del cosmo, del pianeta ha più un'impronta artistica che politica.
    La lingua nazionale è ovunque una creazione artificiale, un'esportazione dal centro alla periferia. E' anche il frutto di un passato non sempre glorioso, ma immaginiamoci che cosa sarebbe un pianeta totalmente frammentato linguisticamente: una babele indecente. Io sono sardo e qui i sardisti stanno sempre a rompere i sacramenti con la lingua locale ( che poi si tratta di una serie di dialetti diversi che rendono il dialogo, senza l'italiano, impossibile, per esempio, tra un logudorese e un campidanese come me). Ringrazio sempre di avere l'italiano come lingua madre, senza il quale sarebbe stato molto più difficile leggere, sia pure tradotti, Schiller o Baudelaire o Cechov, per esempio.

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  2. mi scuso non riesco più a abilitare la notifica commenti, e ultimamente sto seguendo più le reazioni su Facebook (che mollerò presto... mezzo comunicativo superficiale) per cui mi sono sfuggiti vari commenti, fra cui questo molto centrato, pertinente e condivisibile... certo, la distinzione che faccio si può riportare a quella ego-non ego (il mistico vikenananda lega del tutto l'etica al senso cosmico)... saluti alla bella sardegna che è un mio mito nonostante o perché non ci sono mai stato

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