spesso il risultato della sua sofisticata teatralità, della
sua raffinata messinscena, della sua
sublime cerimonia è la signora pina, la moglie di fantozzi, a cui somiglia sia
fisicamente che negli atteggiamenti della voce e del corpo.(paragone che mi permetto proprio perché la considero una splendida donna)
con ciò, non voglio affatto sminuire il valore, l’irresistibile
intensità della sua poesia. prescindendo dalle considerazioni più comuni, la
valuto sugli effetti. è indubbio che le sue poesie agiscono da poesie, si leggono, impongono la
lettura, emozionano,
dischiudono visioni. questo non accade per la maggior parte delle produzioni contemporanee, per la metà soliloqui a ruota libera che si pretendono poetici perché vanno daccapo o perché usano parole del vocabolario poetese a vari livelli di competenza, l’altra metà ancora più esangui e freddi giochi formali. entrambi un sentito dire, quando pure non si siano mai sentiti dire, come in genere nel secondo caso. la valduga gioca molto con la forma, ma sempre per trattenere un violento sgorgo corporeo, un trasalimento emozionale, per governare uno scarto o un’impennata della carne. è autenticamente lei, nell’inscenarsi, come se fosse una bambina a bambineggiare, una folle a folleggiare, una puttana a inscenare una cerimonia erotica, con un effetto di ipersignificazione. non stilizza, si stilizza. per tutto ciò mi è simpatica, mi attrae, mi attrae la sua presenza, il suo corpo, come le propaggini e estensioni del suo corpo, del suo fiatare parole, delle sue dita che protrude nei libri.
dischiudono visioni. questo non accade per la maggior parte delle produzioni contemporanee, per la metà soliloqui a ruota libera che si pretendono poetici perché vanno daccapo o perché usano parole del vocabolario poetese a vari livelli di competenza, l’altra metà ancora più esangui e freddi giochi formali. entrambi un sentito dire, quando pure non si siano mai sentiti dire, come in genere nel secondo caso. la valduga gioca molto con la forma, ma sempre per trattenere un violento sgorgo corporeo, un trasalimento emozionale, per governare uno scarto o un’impennata della carne. è autenticamente lei, nell’inscenarsi, come se fosse una bambina a bambineggiare, una folle a folleggiare, una puttana a inscenare una cerimonia erotica, con un effetto di ipersignificazione. non stilizza, si stilizza. per tutto ciò mi è simpatica, mi attrae, mi attrae la sua presenza, il suo corpo, come le propaggini e estensioni del suo corpo, del suo fiatare parole, delle sue dita che protrude nei libri.
pochi e poche sono scesi così profondamente nella propria
assenza, nel proprio de-siderio, poche e pochi hanno saputo così puramente cosa
volevano. pochi e poche, d’altronde, che ciò sia causa o effetto, lo hanno voluto
con tale intensità.
che sia una “stronzetta che fa rime”, o una “donna di
buriane e di dolori”, o più probabilmente l’uno e l’altro insieme, la valduga
non è una che passa nel mondo senza accorgersene.
il vero problema è piuttosto un altro, e riguarda più in
generale la poesia. la valduga è una grande manierista, la più impeccabile e
irresistibile manierista, la regina del sonetto e della lauda trapiantati
nell’era del cazzeggio sull’iphone. quel che desta sospetti, è che lei non esce
MAI dalla maniera. non mi risulta un suo solo verso veramente libero – sarebbe
espunto d’altronde – tutta la sua opera ricalca schemi metrici del passato.
questa è la sua scelta poetica, è evidente, e lei l’ha lucidamente teorizzata.
la poesia è veramente libera quando è costretta in una forma ecc. (questo però
lo diceva verlaine... baudelaire, più profondo, intendeva la scienza della
parola, bergsonianamente, come infinita possibilità di scelta...)
diceva landolfi, citato da c. bene, mi pare in Rien ne va
plus, che non si può fare poesia con la poesia, teatro con il teatro ecc. . una
poesia di maniera è appunto una poesia fatta con la poesia. in realtà, vita ne passa in qualche modo
attraverso i suoi versi. però ci si può certamente chiedere: ma la poesia di
cui abbiamo bisogno, la poesia che ci porta alle cose stesse, la poesia che decostruisce
le abitudini percettive e ci fa toccare la realtà cruda, l’organo vitale, la poesia che ci propone un’altra vita
possibile, la poesia davvero etica, può davvero costringersi in questi schemi
metrici e fonetici che hanno inventato
poeti che stavano in un altro luogo e un altro tempo? non è la forma, la
costrizione che creiamo, la vera invenzione? la poesia che dice a noi cosa
possiamo/dobbiamo essere, può essere detta nella lingua degli altri, può essere
SEMPRE prigioniera di ciò che è già accaduto?
di fatto la poesia della valduga sembra farlo, sembra
riuscirci, eppure io vorrei che il magistero tecnico, la perizia impareggiabile,
l’intensità del sentire, la forza poetica, qualche volta si disfacciano, che si
scompongano e decompongano. vorrei vedere la valduga trasparire da questa
disgregazione, vorrei vederla con il suo dolore e la sua violenza, con la sua
incandescenza nel dolore e nell’eros, attraverso queste forme distrutte e
devastate.
P.S.
personalmente io mi muovo in una direzione poetica opposta,
antitetica, io rifiuto a priori ogni forma precostituita. il mio indiscutibile insuccesso,
sembrerebbe comprovare che la strada veramente rischiosa, la strada che porta
nei posti nuovi, è la mia...
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