venerdì 5 luglio 2019

la valduga... non è una località sciistica

la valduga non è che parla come mangia, e nemmeno scrive come mangia, e nemmeno vive, credo... ma in fondo è perché vuole sedurre, fa una puntata più alta... e inevitabilmente sbrocca, irrita, è antipatica...  ci si potrebbe poi chiedere come mangia.

spesso il risultato della sua sofisticata teatralità, della sua raffinata messinscena,  della sua sublime cerimonia è la signora pina, la moglie di fantozzi, a cui somiglia sia fisicamente che negli atteggiamenti della voce e del corpo.(paragone che mi permetto proprio perché la considero una splendida donna)

con ciò, non voglio affatto sminuire il valore, l’irresistibile intensità della sua poesia. prescindendo dalle considerazioni più comuni, la valuto sugli effetti. è indubbio che le sue poesie agiscono da poesie, si leggono, impongono la lettura, emozionano,
dischiudono visioni. questo non accade per la maggior parte delle produzioni contemporanee, per la metà soliloqui  a ruota libera che si pretendono poetici perché vanno daccapo o perché usano parole del vocabolario poetese a vari livelli di competenza, l’altra metà ancora più esangui e freddi giochi formali. entrambi un sentito dire, quando pure non si siano mai sentiti dire, come in genere nel secondo caso. la valduga gioca molto con la forma, ma sempre per trattenere un violento sgorgo corporeo, un trasalimento emozionale, per governare uno scarto o un’impennata della carne. è autenticamente lei, nell’inscenarsi, come se fosse una bambina a bambineggiare, una folle a folleggiare, una puttana a inscenare una cerimonia erotica, con un effetto di ipersignificazione. non stilizza, si stilizza. per tutto ciò mi è simpatica, mi attrae, mi attrae la sua presenza, il suo corpo, come le propaggini e estensioni del suo corpo, del suo fiatare parole, delle sue dita che protrude nei libri.

pochi e poche sono scesi così profondamente nella propria assenza, nel proprio de-siderio, poche e pochi hanno saputo così puramente cosa volevano. pochi e poche, d’altronde, che ciò sia causa o effetto, lo hanno voluto con tale intensità.

che sia una “stronzetta che fa rime”, o una “donna di buriane e di dolori”, o più probabilmente l’uno e l’altro insieme, la valduga non è una che passa nel mondo senza accorgersene.

il vero problema è piuttosto un altro, e riguarda più in generale la poesia. la valduga è una grande manierista, la più impeccabile e irresistibile manierista, la regina del sonetto e della lauda trapiantati nell’era del cazzeggio sull’iphone. quel che desta sospetti, è che lei non esce MAI dalla maniera. non mi risulta un suo solo verso veramente libero – sarebbe espunto d’altronde – tutta la sua opera ricalca schemi metrici del passato. questa è la sua scelta poetica, è evidente, e lei l’ha lucidamente teorizzata. la poesia è veramente libera quando è costretta in una forma ecc. (questo però lo diceva verlaine... baudelaire, più profondo, intendeva la scienza della parola, bergsonianamente, come infinita possibilità di scelta...)

diceva landolfi, citato da c. bene, mi pare in Rien ne va plus, che non si può fare poesia con la poesia, teatro con il teatro ecc. . una poesia di maniera è appunto una poesia fatta con la poesia.  in realtà, vita ne passa in qualche modo attraverso i suoi versi. però ci si può certamente chiedere: ma la poesia di cui abbiamo bisogno, la poesia che ci porta alle cose stesse, la poesia che decostruisce le abitudini percettive e ci fa toccare la realtà cruda, l’organo vitale,  la poesia che ci propone un’altra vita possibile, la poesia davvero etica, può davvero costringersi in questi schemi metrici e fonetici che hanno inventato  poeti che stavano in un altro luogo e un altro tempo? non è la forma, la costrizione che creiamo, la vera invenzione? la poesia che dice a noi cosa possiamo/dobbiamo essere, può essere detta nella lingua degli altri, può essere SEMPRE prigioniera di ciò che è già accaduto?

di fatto la poesia della valduga sembra farlo, sembra riuscirci, eppure io vorrei che il magistero tecnico, la perizia impareggiabile, l’intensità del sentire, la forza poetica, qualche volta si disfacciano, che si scompongano e decompongano. vorrei vedere la valduga trasparire da questa disgregazione, vorrei vederla con il suo dolore e la sua violenza, con la sua incandescenza nel dolore e nell’eros, attraverso queste forme distrutte e devastate.

 

P.S.

personalmente io mi muovo in una direzione poetica opposta, antitetica, io rifiuto a priori ogni forma precostituita. il mio indiscutibile insuccesso, sembrerebbe comprovare che la strada veramente rischiosa, la strada che porta nei posti nuovi, è la mia...

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