martedì 11 giugno 2019

Alla ricerca del Dio perduto. Nota su Abbronzati a sinistra di Elio Paoloni.

Autofiction sarebbe la definizione più corretta, o racconto... l’editore per adescare lettori stampiglia sulla copertina “romanzo”, e già questo ci dice qualcosa dei tempi in cui viviamo, e dei processi di mercificazione e digestione consumistica che deve subire anche il racconto di un quasi pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Dico quasi, perché in realtà Paoloni è un laico e un razionale che vive molto solidamente e quasi tecnicamente nel mondo, uno sportivo che ha voluto mettere alla prova un corpo pare ancora efficiente, ma anche uno di quegli spiriti inquieti che avverte l’insufficienza del corpo, della tecnica e della ragione, e vive nell’attesa di una rivelazione  o di una esperienza del sacro che non arriva, e che direi non è arrivata nemmeno sulla strada di Santiago.


Nella saggistica spicciola in rete e su riviste, Paoloni è approdato a una posizione che a mio avviso tenta di conciliare molto superficialmente questa ambivalenza, e si dichiara  “ateo papista”, ma in questo racconto emerge piuttosto l’ “hemingwayano mistico”, o ascetico, ovvero un combattente che per non farsi schiacciare dal senso della morte come è accaduto allo scrittore americano, per non soccombere tragicamente alla realtà, ipotizza una realtà oltre quella realtà, o una vita oltre la morte, e si pone alla sua ricerca o si predispone alla sua manifestazione. 

Cosa trova? Stavolta una forma di religiosità molto antropica, concreta e coscientemente ingenua. Il racconto comincia con una laicissima bestemmia, con un anatema indirizzato alla condizione umana (poco importa se qui designata da un problema alla valigia), e termina con una richiesta di protezione al santo (“Ovunque proteggi”), a cui mi sembra credere poco lo stesso Paoloni. Se risposte alla domanda profonda che ispira il viaggio ci sono, come vedremo esse si manifesteranno per vie rapsodiche e meno prevedibili. 

Il titolo del libro, Abbronzati a sinistra, descrive la direzione del viaggio, da oriente a occidente, e quindi col sole sempre a sinistra, ma ironizza anche felicemente sulla componente trendy, turistica e radical chic che alimenta le fila dei camminatori ai nostri giorni. Certo sul “camino” Paoloni, o il narratore che grosso modo gli corrisponde,  ha incontrato soprattutto una curiosa fauna di consumatori del sacro, o consumistici se vogliamo, sessantottini delusi convertiti al new age,  millennials a corto di materiale per Facebook, ragazzine in leggings colorati e attillati che distraggono il probo asceta alle loro spalle, podisti in trasferta mistica, grassone all’ultima spiaggia, sparuti ecologisti e pochi veri quanto improbabili viaggiatori dello spirito. Gli abbronzati a destra, d’altronde, quelli che vanno da occidente a oriente, probabilmente sono anche peggio, con prevalenza della componente new age che l’autore vede come il fumo negli occhi.

Se il Dio, o il Santo, ha ritenuto di dire qualcosa a questa umanità, lo ha fatto probabilmente, più che attraverso lo sguardo della statua di san Giacomo che è la meta del viaggio, nelle forme imprevedibili, intermittenti, criptiche e spesso quasi sprezzanti e ironiche che si addicono a un dio.

E innanzitutto, probabilmente, attraverso lo spossamento e la prostrazione indotti dalla fatica del viaggio. Il momento più autenticamente mistico sperimentato da Paoloni sopraggiunge infatti, come in certi film di Herzog o in Ecuador di Michaux,  nel momento di massima debilitazione, all’alba di una mattina livida, seduto su una tazza di cesso di un ostello malattrezzato, dopo una di quelle scariche di diarrea che costituiscono una delle inevitabili problematiche ( la “lava nelle viscere”) di questo tipo di imprese. Il protagonista perviene in questo modo all’assoluto vuoto, al nirvana, dopo che tutte le sue energie bio-chimiche, glucidiche, nervose, muscolari sono state completamente aspirate dai 20 km quotidiani, dallo snervamento e spossamento (e cioè dalla rinuncia al possesso di sé) e dai batteri intestinali all’opera, attraverso una sorta di evacuazione trascendentale. E’ forse questo il problema occidentale, il corpo? Dio arriva, o meglio si può arrivare o aggirarsi intorno a Dio, solo dopo che si è neutralizzato, annullato, sgombrato il corpo, il corpo ipertrofico, iperemico e congestionato dell’abitante dell’Occidente?

E come mai Dio, inseguito per centinaia di chilometri, non appare né a nessuna svolta del cammino né al termine del viaggio, come pare usasse, lui o i suoi messi angelici, con i pellegrini medievali e, sotto forma di visioni surreali e oniriche, ancora ai viandanti della Via Lattea di Bunuel? Perché ce lo dobbiamo andare a cercare così lontano, e con tanta fatica? Perché non appare mai che so in televisione o su Instagram? Non gli interessiamo più, non ci ama più? Ci considera ormai irrecuperabili? O forse è lui che è stanco, che perde colpi, che non trova più senso nel dare senso al mondo?

Queste ed altre simili domande induce il libro, oltre a fornire una serie di utilissimi consigli e informazioni accorte sul viaggio, il tutto in uno stile brioso e ironico (nei primi capitoli forse con qualche forzatura) . Un libro in definitiva non superfluo, che aggiorna la ricca bibliografia sul Camino, raccontandolo con contemporaneo disincanto e un sentimento antico del sacro, o forse, al contrario, nuovi sentimenti e antico disincanto.

Nessun commento:

Posta un commento