Nella
saggistica spicciola in rete e su riviste, Paoloni è approdato a una posizione
che a mio avviso tenta di conciliare molto superficialmente questa ambivalenza,
e si dichiara “ateo papista”, ma in
questo racconto emerge piuttosto l’ “hemingwayano mistico”, o ascetico, ovvero
un combattente che per non farsi schiacciare dal senso della morte come è
accaduto allo scrittore americano, per non soccombere tragicamente alla realtà,
ipotizza una realtà oltre quella realtà, o una vita oltre la morte, e si pone
alla sua ricerca o si predispone alla sua manifestazione.
Cosa trova?
Stavolta una forma di religiosità molto antropica, concreta e coscientemente
ingenua. Il racconto comincia con una laicissima bestemmia, con un anatema
indirizzato alla condizione umana (poco importa se qui designata da un problema
alla valigia), e termina con una richiesta di protezione al santo (“Ovunque
proteggi”), a cui mi sembra credere poco lo stesso Paoloni. Se risposte alla
domanda profonda che ispira il viaggio ci sono, come vedremo esse si
manifesteranno per vie rapsodiche e meno prevedibili.
Il titolo
del libro, Abbronzati a sinistra,
descrive la direzione del viaggio, da oriente a occidente, e quindi col sole
sempre a sinistra, ma ironizza anche felicemente sulla componente trendy,
turistica e radical chic che alimenta le fila dei camminatori ai nostri giorni.
Certo sul “camino” Paoloni, o il narratore che grosso modo gli
corrisponde, ha incontrato soprattutto
una curiosa fauna di consumatori del sacro, o consumistici se vogliamo, sessantottini delusi convertiti al
new age, millennials a corto di materiale per Facebook, ragazzine in leggings
colorati e attillati che distraggono il probo asceta alle loro spalle, podisti in trasferta mistica, grassone all’ultima spiaggia, sparuti ecologisti e pochi veri
quanto improbabili viaggiatori dello spirito. Gli abbronzati a destra,
d’altronde, quelli che vanno da occidente a oriente, probabilmente sono anche
peggio, con prevalenza della componente new age che l’autore vede come il fumo
negli occhi.
Se il Dio, o
il Santo, ha ritenuto di dire qualcosa a questa umanità, lo ha fatto
probabilmente, più che attraverso lo sguardo della statua di san Giacomo che è
la meta del viaggio, nelle forme imprevedibili, intermittenti, criptiche e
spesso quasi sprezzanti e ironiche che si addicono a un dio.
E
innanzitutto, probabilmente, attraverso lo spossamento e la prostrazione
indotti dalla fatica del viaggio. Il momento più autenticamente mistico
sperimentato da Paoloni sopraggiunge infatti, come in certi film di Herzog o in
Ecuador di Michaux, nel momento di
massima debilitazione, all’alba di una mattina livida, seduto su una tazza di
cesso di un ostello malattrezzato, dopo una di quelle scariche di diarrea che
costituiscono una delle inevitabili problematiche ( la “lava nelle viscere”) di
questo tipo di imprese. Il protagonista perviene in questo modo all’assoluto
vuoto, al nirvana, dopo che tutte le sue energie bio-chimiche, glucidiche,
nervose, muscolari sono state completamente aspirate dai 20 km quotidiani,
dallo snervamento e spossamento (e cioè dalla rinuncia al possesso di sé) e dai
batteri intestinali all’opera, attraverso una sorta di evacuazione trascendentale.
E’ forse questo il problema occidentale, il corpo? Dio arriva, o meglio si può
arrivare o aggirarsi intorno a Dio, solo dopo che si è neutralizzato,
annullato, sgombrato il corpo, il corpo ipertrofico, iperemico e congestionato
dell’abitante dell’Occidente?
E come mai
Dio, inseguito per centinaia di chilometri, non appare né a nessuna svolta del
cammino né al termine del viaggio, come pare usasse, lui o i suoi messi angelici, con i pellegrini medievali
e, sotto forma di visioni surreali e oniriche, ancora ai viandanti della Via
Lattea di Bunuel? Perché ce lo dobbiamo andare a cercare così lontano, e con tanta fatica? Perché non appare mai che so in televisione o su Instagram? Non gli interessiamo più, non ci ama più? Ci considera ormai irrecuperabili? O forse è lui che è stanco, che perde colpi, che non trova più senso nel dare senso al mondo?
Queste ed
altre simili domande induce il libro, oltre a fornire una serie di utilissimi
consigli e informazioni accorte sul viaggio, il tutto in uno stile brioso e
ironico (nei primi capitoli forse con qualche forzatura) . Un libro in
definitiva non superfluo, che aggiorna la ricca bibliografia sul Camino,
raccontandolo con contemporaneo disincanto e un sentimento antico del sacro, o
forse, al contrario, nuovi sentimenti e antico disincanto.
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