senso che è stata l’ultima
ad avere una consistenza semantica, l’ultima ai cui
discorsi corrispondesse
una prassi, e alle cui prassi corrispondessero degli
eventi reali messi in atto
da corpi reali. Dopo il 77, è cominciata una lunga
rappresentazione della
politica.
Il 77 è stato selvaggio, barbarico, dionisiaco. Gli hippy e i beat
degli anni ’60erano naturisti, ma in un
senso pastorale e ambiguamente rousseauiano, il
68 è stato anti-borghese,
ma nello spazio borghese della città, il 77 è stato
selvatico e puro,
primitivo. Gli indiani metropolitani, che invadevano le piazze
ululando, i re nudi e i
corpi nudi a Castelporziano e a Parco Lambro, le pistole
delle sue frange violente,
Zanardi e Rankxerox, le scritte sui muri, le radio
libere, il vino e la
canapa, la musica ribelle, gli zingari felici, gioia e rivoluzione
e il mitra contrabbasso…
ma in generale tutto era lussureggiante e fiorente, le
parole, le pulsioni, i
gesti sociali, tutto era in iperproliferazione, perché l’ideologia,
o solo l’idea, del 77 era
libertaria, indeterminista e euforica – ed è nella
libertà assoluta che lo
slancio vitale sviluppa la sua massima energia. Agenti
del caos, come scrive
Gabriele Perretta.
Tutto in
iperproliferazione, ma anche tutto in contrapposizione, tutto in lotta.
Il 77 fu una colluttazione
col “sistema”, con le regole e con i limiti, con la precauzione
e con la misura, con la
vecchia politica, che era ancora il perimetro
e l’asse polare del 68,
con l’avanzante rampantismo, e forse ahimè anche
con Marx. Nudi verso la
follia, si chiamava un video un po’ ingenuo su Parco
Lambro, nudi verso la
dismisura. In tal senso, fu anche una colluttazione con
l’invisibile, in quanto
tensione creativa a un mondo nuovo possibile.
Indico nella bibliografia
del 77 alcuni eventi o scritture, 7 eventi e scritture, che
non hanno con esso un
rapporto sincronico.
Hurlements
en faveur de Sade, di Guy Debord, di 15 anni precedente, il bianco
e il nero, l’azzeramento.
Corpus
di Jean Luc Nancy, di 15 anni posteriore (1993). Il 77 sono i corpi
che
avanzano, che rivendicano,
che si espongono, che hanno fame e sete.
La morte di Pasolini e il
delitto Moro, novembre 75 e maggio 78. La morte
del poeta, e quella del
sovrano. 2 morti per ideologia, quella fascista e quella
comunista, si potrebbe dire, ma in realtà, al di là delle ideologie, Pasolini morì
per un intreccio e
concomitanza di cause, che furono soprattutto erotiche,
ma infine eroiche. Da
poeta-eroe Pasolini morì gridando : mamma, mamma,
come Lorca morì piangendo
come un bambino. Moro morì nello stesso modo,
rinnegando lo Stato, e
piagnucolando con Zaccagnini e Andreotti, ma con ciò
fu un anti-eroe. La
differenza è nel fatto che Moro per morire (per Mor-ire,
per essere se stesso) dovette
rinnegare la sua ideologia, quella dello Stato, e
Pasolini dovette
confermarla, domandandosi che madri avevano avuto i suoi
assassini. Cordelli
riassume il senso dei 2 delitti raffrontando la foto di Moro
nel bagagliaio della
Renault alla deposizione di Carmignano del Pontormo. La
foto di Moro, come quella
di Pasolini dilaniato dalle gomme della sua Giulietta,
rimanda solo a se stessa.
È immagine del potere del potere. Nella deposizione
di Carmignano, il cadavere
di Cristo non è più un cadavere, perché il suo
corpo proprio è raccolto, accolto, avvolto
dalle donne. Quel cadavere era sorretto
da un sistema di valori
condiviso. È forse quel sistema di valori che dobbiamo
ricostituire, ed è contro
quel potere del potere che si era mosso il 77.
Un poemetto di Baudelaire,
Enivrez-vous: Bisogna essere sempre ubriachi.
Tutto è in questo… di
vino, di poesia o di virtù… a vostra scelta.
Il festival di
Castelporziano, il cui senso, valore e potere germinativo non è
stato compreso nemmeno
dagli organizzatori, come Cordelli stesso. Il festival
fu un epico disastro,
dis-aster, culminato e simbolizzato dal crollo finale del
palco. Ma fu un disastro
dovuto a esuberanza e lungimiranza. La distruttività
di Castelporziano aveva
una radice etica. La poesia che fu contestata, la
poesia a cui fu sostituito
il minestrone, era la poesia come letteratura, da un
lato, e la poesia
agonistica, la poesia gloriosa, dall’altro. La poesia che vinse
invece fu la poesia 77ina
e situazionista, la poesia come “testo globale”,
espressione vitale, e in
ultima analisi scrittura biologica, parola, fenomeno
della nostra essenza di
linguaggio. Chi fece poesia e politica a Castelporziano
furono i minestrones, e
non i poeti. I minestrones non erano il becerume incolto
che descrive Cordelli
(c’ero fra l’altro anch’io, nel becerume): era la sinistra
austera che aveva scoperto
il corpo, sotto forma di minestrone. Se Ginsberg
e i blues-rap dell’ignoto
LeRoy Jones o la ragazza-cioè (e cioè Paoletta, infermiera
di Avellino), furono
applauditi, non fu perché erano divi americani,
ma perché esprimevano una
poesia vivente, situata, biologica. Il modello del
pubblico era Woodstock,
non i salotti romani. Quale frase o anche pensiero
dei funzionari della
poesia contestati allora, in gran parte poeti da salotto o da
camera romani, sono stati
trasfusi nelle nostre vite?
Il
piacere del testo, di Barthes, del 1973. Il piacere è di destra, è
sempre stato
considerato un valore
della destra. La prima grande invenzione socio politica
del 77, che lo ha
differenziato rispetto all’austero e ortodosso 68, è che se il
piacere è di destra, il godimento è di sinistra. E dunque la fantasia, l’eccesso,
il dispendio.
Infine, i quadri di Van
Gogh, i loro colori esplosivi, violenti e psichedelici – attualizzati
negli abbigliamenti etnici
e multicolori, nei fumetti, nella riscoperta
cromatica della
transavanguardia. Van Gogh, il suicidato dalla società secondo
Artaud… perché il 77 è
anche un grande suicidato, suicidato per congestione,
per iperemia, per
overdose, o suicidato dagli anni ’80, forse dalla tv e
la tecnologia, certamente
dai suoi errori, i suoi eccessi e le sue degenerazioni.
Le risate del 77 non sono
riuscite a seppellire il potere, ma la retorica del potere
e della stessa sinistra,
gli oggetti e la plastica, il marketing generalizzato,
l’elettrificazione e la
moltiplicazione esponenziale del segno, sono riusciti a
seppellire il 77.
Io credo però che se non
si rigenera questo morto, nessuna sinistra, o presunto
metamovimento che non
distingua più fra destra e sinistra, può avere le
gambe per andare avanti,
perché è nel 77, non solo nei suoi epifenomemi più
estremi e caratteristici,
ma nella sua temperie, nel complesso delle sue prassi,
nel suo fervore e nella
sua tensione, che si sono formati tutti i valori su cui ci
sembra ancora possibile
fondare una società più giusta e più vera – quelli in
sostanza che hanno
resistito alla disgregazione dei socialismi reali. L’ambientalismo
e il ritorno alla terra,
l’ecumenismo sociale, i diritti delle minoranze,
l’idea di una politica
partecipativa e anti-gerarchica ma non populista, l’idea
di una decrescita,
innanzitutto demografica, realistica, responsabile e riequilibrata
dalla crescita psichica,
la lotta allo strapotere della finanza, la fantasia,
l’immaginazione, la
cultura come prassi politiche, gli attuali codici musicali,
estetici, letterari, nati
e comunque definitisi tutti in quegli anni, la riappropriazione
del corpo in una chiave
etica che incorpori e scavalchi il biologismo (attualmente
a ragione vincente) della
destra, l’eticità contrapposta al formalismo
e al legalismo, la
giustizia sociale come risultato di questo insieme di processi
evolutivi e non come
imposizione di uno stato programmatore e autoritario, la
politica come biopolitica.
Senza che ce ne rendiamo bene conto, tutto quello
che oggi diciamo, è stato
detto per la prima volta nell’intorno cronologico del
77. Più radicalmente la
grande e feconda idea politica del 77, ancora tutta da
esplorare e da praticare,
è stata quella della riforma percettiva come atto politico.
Rifondare il mondo nel
proprio corpo, pensare un altro mondo possibile
dopo aver costruito un
altro individuo possibile.
Io credo che noi ora siamo
in una situazione di questo genere. Alcuni sentimenti
radicali, che hanno poi
prodotto alcuni principi, del 77, ad es. quello
anti-gerarchico, appaiono
inutilizzabili e inapplicabili. D’altra parte questi sen-
timenti e principi, a ben
sentirli e a ben comprenderli, appaiono in realtà inevitabili,
appaiono un’evoluzione
necessaria di tutti i principi libertari e egualitari
che hanno origine in Marx
o magari nei bonobo. Devono essere una specie di
nuovo punto all’infinito,
di sfondo, di prassi impossibile che genera quelle possibili,
di metafisica influente.
Il 77 per me è ancora questo sfondo.
Nessun commento:
Posta un commento