Nota introduttiva
Questo scritto si era
posto certo un fine troppo ambizioso, quello di raccordare la più antica
scienza dell’uomo alle più avanzate conoscenze contemporanee, di ordine
scientifico come di ambito umanistico.
L’astrologia,
proiettando il cielo lontano, minerale e incorruttibile sul piano
dell’esistenza individuale, rappresenta il primo tentativo dell’uomo di
situarsi nel mondo, il suo primo approccio conoscitivo verso di esso. Tuttavia,
da un punto di vista teorico e scientifico, si può dire che essa sia restata
ferma a quei primi tentativi. Provare a elaborare una teoria astrologica
compatibile con quanto si sa oggi significava dunque ripartire quasi da zero, e
in particolare significava risolvere uno dei nodi più insolubili della
conoscenza umana, quello del rapporto fra macrocosmo e microcosmo.
Impresa temeraria, che
naturalmente non credo di avere portato a termine. Mi sembra tuttavia di avere
gettato luce, anche se una luce discontinua e provvisoria, su una buona parte dei problemi che mi ero
posto, e di aver indicato le strade più percorribili per la loro soluzione.
Sfrutto una delle possibilità del web, quella di pubblicare i propri risultati
provvisori e in progress, nella
speranza di poterli integrare e definire man mano che il tempo e le capacità me
lo consentiranno.
Ogni contributo
teorico esterno, soprattutto quelli provenienti dall’area conoscitiva per cui
ho meno competenza, cioè quella scientifica, sarà gradito, e eventualmente
pubblicato in un’apposita sezione.
Proviamo a farci
animali, a percepire come abbiamo percepito per milioni di anni.
Immaginiamo notti lunghissime, fino a 16 ore o più, immersi nel buio assoluto,
alla ricerca di una preda o in fuga da un predatore, nel freddo e
nell’incertezza dei pericoli naturali, in uno stato di terrore continuo, perché
privi anche della capacità razionale di prevedere il ritorno della luce. E
immaginiamo cosa abbia rappresentato in una condizione simile l’apparire della
luna in cielo, prima un filo di luce, poi uno spicchio, infine un bagliore
dilagante e fosforico che faceva riapparire il paesaggio inghiottito dalla
notte e rendeva di nuovo possibili le attività vitali.
Immaginiamo infine il ritorno del sole, della luce piena, del calore, con la sua alternanza notte-giorno e poi i suoi ritmi stagionali. E’ evidente che questi cicli, o ritmi, luminosi e termici non possono non essersi impressi profondamente nelle nostre strutture percettive... anzi, si può affermare che la nostra psiche si sia organizzata e strutturata su quei ritmi. Il sistema percettivo e nervoso si è cominciato a differenziare, a rapportare all’ambiente esterno, e a costruire mappe territoriali che poi hanno assunto una configurazione stabile nel nostro sistema sensoriale, proprio cominciando a reagire ai primi stimoli luminosi, ad assorbire i primi bagliori ondulatori, i primi pacchetti di fotoni provenienti da sole e luna. Tutto questo ha permesso il consolidarsi di una struttura permanente dell’io. Per convincersi di tutto ciò, basta pensare a quanto siano profondamente interiorizzati in noi i ritmi sonno-veglia detti circadiani, a livello sociale, psicologico, ormonale, biologico – al punto che ci sembrerebbe stranissimo immaginare un essere umano privo della necessità del sonno, e che il nostro orologio biologico continua a funzionare secondo questi ritmi in ogni condizione. Ma pensiamo anche ai cicli biologici di 28 giorni della donna, corrispondenti e probabilmente, milioni di anni fa, sincronizzati a quelli lunari; all’universalità del calendario basato sui mesi e le settimane, ovvero sulla luna; a una serie di fenomeni psicologici, biologici e naturali che sono comprovatamente condizionati dal ritmo lunare, dalle crisi psicotiche e nevrotiche, ai cicli di assorbimento delle piante, alle attività di molti organismi e microrganismi (ad es. i cicli dei platelminti, o l’ovideposizione della tartarughe); agli esperimenti condotti sulla flocculazione del sangue e su altri fenomeni fisiologici; allo studio di Malin e Srivastava su 5000 casi che mostra una correlazione fra infarti e attività solare; o alla dipendenza dalle fasi lunari delle maree, delle onde radio e elettromagnetiche e di un'altra serie di fenomeni fisici (cfr. L’astrologia di fronte alla scienza, di M. Gauquelin).
E infine, pensiamo all’universo descritto dalla fisica quantistica: un “cosmo immenso, elastico e costellato di galassie... mosso da onde simili alle onde del mare” (C. Rovelli), un’immensa fluttuazione di particelle senza posizione, ovvero inavvertibili, e in termini puramente logici inesistenti, che si definiscono, determinano, materializzano, solo quando il nostro sistema percettivo le estrae dal nulla, le ricostruisce, le reinventa. E’ quel che ci ha spiegato il principio di Heisenberg. Naturalmente la vaghezza probabilistica dell’universo quantistico, in cui, in termini assoluti, è “vero” tutto e il contrario di tutto, non ci autorizza alle facili e arbitrarie conclusioni di certe pseudo-teorie new-age, ma è certo profondamente compatibile con la visione astrologica, e con la sua idea che esista una profonda connessione fra macrocosmo e microcosmo, fra universo oggettivo e soggettivo, fra il mondo e quello che Hegel chiamava lo spirito autocosciente, ovvero l’ego dell’essere umano che lo percepisce.
Alla prima domanda non si può che provare a rispondere con documentazioni statistiche e probabilistiche. Esistono varie altre ricerche che vale la pena di citare, dagli
studi estremamente ampi di Didier Castille, che dimostra su oltre 10 milioni di
casi una correlazione fra data di nascita e data di decesso, e su circa 17
milioni di casi un rapporto (in questo caso non inequivocabile) fra i segni
zodiacali dei coniugi, a una ricerca ancora
di Gauquelin su 25.000 date che mostra una correlazione positiva fra le
posizioni planetarie di genitori e figli (già individuata da Keplero), a quello
su 12.191 date di Discepolo (3) e Miele che conferma il principio di
ereditarietà astrale, individuando una significativa coincidenza fra segno solare
(il cosiddetto segno zodiacale) del padre e segno ascendente (dipendente
dall’ora di nascita) del figlio, a uno studio della Columbia University su 1,7
milioni di casi che dimostra una correlazione fra mese di nascita e
predisposizione alle malattie, alle verifiche del rapporto fra Saturno e
orfelinato di Barbault, agli studi di Landschdeit, di Eysenck, di John Addey, di
Lasson, di Choisnard, di Kraft, fino a quelli, pur controversi, dello stesso
Jung. Da segnalare, fra quelle più recenti, sono anche le ricerche di G. Ruscelli che, pur
condotte con minori pretese scientifiche, sembrano individuare un plausibile
rapporto statistico fra le professioni e i segni zodiacali, e soccorrono dunque
quello che è forse il punto più debole della teoria astrologica, la divisione tropica
dello zodiaco (4). La cosiddetta scienza ufficiale si è accanita a più riprese su
queste indagini, dimostrando che non sempre sono statisticamente inattaccabili.
Il dubbio però è che queste critiche siano dettate più da pregiudizi di tipo
scientista e positivista che da una vera tensione alla verità, per quanto insospettata,
sconcertante e magari indesiderata essa possa rivelarsi. Un acuto e rigoroso epistemologo,
e cioè uno scienziato delle scienze, come Feyerabend, ci fa notare che nessuna
teoria scientifica corrente passerebbe attraverso le strettissime maglie
statistiche e concettuali che i detrattori, accecati da sacro furore
positivista, applicano all’astrologia,
visto che la maggior parte di queste teorie presentano profonde contraddizioni
(ad es. l’elettromagnetismo classico) che si pensa di risolvere in futuro,
oppure sono suffragate da casistiche esigue e sperimentazioni non ripetibili (ad
es. la gran parte delle tesi medico-scientifiche, sovente in contraddizione fra
loro) o sono inverificabili e comunque non falsificabili (ad es. la
paleontologia o l’astrofisica... nessuno potrà mai accertare che l’universo è a
forma di cetriolo invece che sferico o che il pitecantropo non mangiasse solo
nutella), o prive di ripetibilità e predittività (come le leggei
economico-finanziarie, o quello psicologiche). Feyerabend ne conclude che “senza una frequente
rinuncia alla ragione non esiste progresso”, e che gli uomini di scienza cadono
spesso in una forma di superstizione scientifica ben più perniciosa, paralizzante
e insipiente delle superstizioni astrologiche.
Grossolana è anche la più classica delle obiezioni che
vengono mosse all’astrologia, quella secondo cui la precessione degli equinozi,
facendo ruotare all’indietro lo zodiaco, e sfasando segni e costellazioni, ne invaliderebbe
tutte le asserzioni. E’ un’obiezione che non ha alcun senso: non sono certo le
figure arbitrarie e indefinite tracciabili fra una stella e l’altra a dare
senso al sistema zodiacale, le costellazioni sono un quadrante che influisce
sullo zodiaco esattamente tanto poco quanto lo spostamento del quadrante di un
orologio influisce sullo scorrere delle ore.
Con ciò, anch’io, che parlo di astrologia con cognizione di causa e non per vaga antipatia, ovvero per tornaconto psichico, sono convinto che non è stata prodotta al momento nessuna spiegazione plausibile delle sue asserzioni, che il suo percorso conoscitivo è appena iniziato, e che della dottrina astrologica attuale è destinato a sopravvivere, forse il 30% degli studi più seri. Assolutamente nulla, ovviamente, dell’astrologia da rotocalco e da “maghi”.
Ma che un fenomeno non sia (ancora) spiegabile non significa che non sia vero. E seppure fosse contenuto un solo granello di verità in tutta la teoria astrologica, per quanto questo granello di verità possa essere minuscolo, l’idea di una connessione fra l’uomo e il cosmo, fra noi e le stelle remote, è talmente sconvolgente, affascinante e scandalosa che non si può rinunciare ad esplorarla.
E al momento, se vogliamo provare a esplorare i misteriosi legami fra uomo e cosmo, non abbiamo altra griglia interpretativa che lo zodiaco, e altro modello, altro strumento tecnico che il classico tema natale – quello utilizzato da Galileo fino a Jung. Meglio rinunciarci o meglio rischiare?
Il paradosso originario, generatore di tutti i paradossi, è
che noi conteniamo un mondo che ci contiene. Ogni paradosso può essere
riportato a questo. La spiegazione più profonda del paradosso di Zenone, è che effettivamente
Achille non raggiunge la tartaruga, se non nell’ambiente spazio temporale della
nostra mente e nel nostro sistema di rappresentazione del reale. Oppure, che è
lo stesso: Achille raggiunge la tartaruga, e il paradosso è un artefatto della
nostra mente. Sono 2 soluzioni opposte e coincidenti che equivalgono a dire che
tutto è nella nostra mente che è nel tutto.
Una parziale rappresentazione, e apparente soluzione, di
questo paradosso la possiamo ottenere considerando 2 anelli, o meglio toroidi,
concatenati. Noi possiamo con una certa plausibilità immaginare il nostro
universo come un volume toroidale chiuso, nel cui spazio vuoto centrale si
inanella un secondo toroide chiuso, che rappresenta la nostra psiche – ricalcando qui il modello atomico – nel cui
foro si intreccia a sua volta il primo toroide. Otterremo una figura che
ricorda il simbolo del tao, con lo yin e yang intrecciati, ma in dimensione 3,
e che effettivamente rappresenta una struttura M che contiene una struttura m
che la contiene.
Sicuramente quest’immagine ci chiarisce alcuni aspetti formali e topologici del rapporto fra io e mondo, se però l’analizziamo più accuratamente ci rendiamo conto che in effetti l’arco di toro M contenuto nel toro m, non è quello che lo contiene, e viceversa. Ovvero ciascuna figura considerata complessivamente contiene l’altra figura, ma propriamente ne fascia solo un segmento. In altri termini, questo tipo di rappresentazione è basata sulla parentela semantica fra contenere e circondare, che però sono 2 azioni che hanno una rappresentazione grafico-topologica diversa (una circonferenza A può circondare il punto a, ma solo un cerchio A può contenerlo)...
La verità è che qui noi ci troviamo di fronte a un vero paradosso, un paradosso che è insolubile nei termini del sistema di riferimenti linguistico che stiamo adoperando, perché noi ci troviamo all’interno di questo sistema. E’ un po’ quello che concludeva o comunque implicava il teorema di incompletezza di Godel, quello che emerge dalle “scandalose” (e dunque sottovalutate dai matematici di vedute più ristrette) analisi dei fondamenti matematici di Wittgenstein, e che l’infallibile R. Thom sintetizza affermando che “tutte le analisi dei fondamenti possono avere un certo interesse locale, ma non possono risolvere il problema filosofico di sapere da dove sorgono le strutture matematiche”.
Un problema di questo tipo, dunque, si può affrontare solo costruendo un’altra lingua, compito per il quale ha probabilmente più competenza il filosofo, l’artista e il mistico che non lo scienziato.
...................................................
Proviamo quindi a raccordare questo concetto, quest’immagine e questo sentimento-percezione alle nostre conoscenze del 2018, e a darne una descrizione più profonda.
Proprio nello scorso anno, la fisica sperimentale ha fatto sbalorditivi passi avanti nella verifica di un concetto teorizzato dalla quantistica, quello dell’azione non locale di orientamento degli spin atomici, e dunque del cosiddetto entanglement, legame a distanza fra particelle anche lontanissime. Questo legame, apparentemente magico, inspiegabile, mirabolante, pare sia stato verificato già a distanze di oltre 2000 km. Ricordiamo anche che i fisici stanno compiendo sperimentazioni sul teletrasporto quantistico, e hanno teorizzato l’esistenza di varchi spazio temporali, che permettano di viaggiare nel tempo o nello spazio, in ordini dimensionali inferiori a 10^(-32) metri.
Ovviamente conviene essere cauti nel trarre conclusioni filosofiche da questi dati, ma appare evidente che, al di sotto di una certa soglia percettiva, la realtà abbia comportamenti del tutto incompatibili col senso comune, e che vi agiscano forze che prescindono dalle distanze fisiche. R. Thom ci fa notare che un fotone molle, ovvero una particella dotata di un’energia infinitesima, in base al principio di Heisenberg, non essendo definibile e posizionabile, e non avendo dunque propriamente “un posto”, si deve considerare effettivamente esteso in tutto l’universo. Il fisico J.A. Wheeler si avventura a congetturare che esista un unico elettrone, che galoppa avanti e indietro nello spazio tempo, e in tal modo tesse l’universo. La teoria delle stringhe va in qualche senso anche oltre, teorizzando il multiverso, ovvero una realtà costituita da una stratificazione di universi, alcuni dei quali potrebbero, ad esempio, avere uno spessore inferiore al millimetro.
Queste immagini ci descrivono indubbiamente un universo in cui l’infinitamente piccolo coincide con l’infinitamente grande.
In che modo possiamo però collegare questi esperimenti, teorie e congetture molto astratte, riguardanti stati della materia molto spinti, ottenuti negli enormi acceleratori del Cern o nelle profondità del Gran Sasso, e che approdano infine a risultati che potrebbero anche non riguardarci affatto - alla nostra vita quotidiana, e per quel che ci interessa, ai nostri comportamenti psichici – in che modo possiamo provare a rapportare tutto questo alla teoria astrologica?
In realtà gli effetti quantistici li abbiamo continuamente sotto gli occhi, se una mela non si spappola è perché è tenuta insieme da forze nucleari e elettromagnetiche. C’è però un fenomeno del quotidiano, forse il più misterioso e il più inspiegato, il più profondo e vertiginoso, eternamente circoscritto, bordeggiato, circuito, ma mai compreso e dominato, che in un modo o nell’altro attiene al nostro discorso: il Caso. Se tiriamo una monetina, se tentiamo la vincita di un grattino, se leggiamo una statistica, noi stiamo probabilmente senza rendercene conto giocando colla quantistica, stiamo smuovendo i quanti sottesi alla realtà.
Tutto ciò non è ancora ben chiaro alla scienza, e forse non lo sarà mai, ma noi possiamo provare a analizzarlo con quegli strumenti speculativi invocati da Thom.
Cos’è il caso? Come il tempo, e l’araba fenice, tutti sanno che c’è, nessuno sa cos’è. Secondo i deterministi, un evento casuale è semplicemente il risultato di un effetto causale occulto, invisibile, una concatenazione avvenuta a un livello submicroscopico, presumibilmente al di sotto del valori di Planck di 10^(-32) metri, o comunque a un ordine di grandezza talmente piccolo che il nostro apparato sensoriale non riesce a estrarne informazioni e previsioni. E insomma, una casualità è una causalità occulta. Secondo gli indeterministi, questo discorso non ha significato, perché al di sotto della lunghezza di Planck la realtà è irrimediabilmente inconoscibile, e quindi dal nostro punto di vista indeterminabile, casuale e acausale. Gli uni e gli altri ammettono la legge dei grandi numeri di Bernoulli, ma come una specie di regola magica, di prescrizione del fato. Secondo la scienza, dunque, in realtà la monetina potrebbe cadere 100 volte, o anche 1000, o anche per sempre, all’infinito, sullo stesso lato, anche se questa eventualità ha una bassissima probabilità – un infinitesimo, per un numero di lanci tendente all’infinito.
Agli astrologi e ai maghi sembra invece che se la monetina sceglie di cadere da un lato piuttosto che da un altro, una causa seppur infinitesima – che sia il battito d’ali di una farfalla nel pacifico o un’infima scabrosità della sua superficie – ci debba essere per forza. Il fatto stesso che alla monetina accada “sempre” di cadere in un verso o nell’altro – e questo è l’unico dato certo e scientifico, non magico, - comprova che, andando a ritroso nella concatenazione causale, le forze in gioco a un certo punto si arrestano, trovano una consistenza. E’ in quel punto che si determina il risultato del lancio, ed è quel punto che possiamo chiamare causa. Questa causa, ai fini della nostra dimostrazione, possiamo ammettere che agisca al di sotto della lunghezza di Planck, e non sia dunque registrabile dall’osservatore. Ma se è così, se questa causa esiste, perché essa non agisce sempre nello stesso modo, ma lo fa diciamo così equamente, in maniera tale che una volta prevalgono le forze che fanno adagiare la moneta sul recto, una volta quelle contrarie? Perché le cause risultano distribuite secondo la legge umana dell’equità e la giustizia?
Dire che non c’è causa distinta, potrebbe sostenere qualcuno, è lo stesso che dire che non c’è causa (almeno in senso assoluto), e non spiega perché se questa causalità è indistinta può determinare frequenze improbabili per le piccole serie. Si può rispondere all’una e l’altra obiezione osservando che un fenomeno casuale è comunque un fenomeno locale, che va considerato sotto questo aspetto.
Ma è un fenomeno locale e relativo originato da una causa non locale. La causa è dunque una, e agisce solidarmente e sincronicamente. Ecco perché la legge dei grandi numeri stabilisce una relazione fra un giocatore che lancia la moneta a Roma ed uno che la lancia da un pianeta extrasolare. Ecco perché una particella può orientarsi nello stesso senso di un’altra situata a migliaia di km di distanza, forse a una distanza infinita.
Ed ecco perché può esistere una solidarietà e una sincronicità, e cioè possono esistere rapporti causali non locali, fra singolarità distanti dell’universo, e potrebbe esistere una corrispondenza fra la linea apparente tracciata da un pianeta, e il percorso che traccia con le sue scelte un essere umano. Dire, come suppone l’astrologia, che quelle scelte sono determinate da una fatalità, dal destino, significa semplicemente collegarle alla struttura soggiacente che in qualche modo le unifica, le avvolge, le fa corrispondere. O in altri termini, significa dire che la causalità è sempre una causalità occulta, ma sincronica e solidale. Lo strato soggiacente, o la dimensione fisica, in cui sono determinate queste scelte, in cui è scritto il destino, è l’intercapedine di continuo indifferenziato fra l’assente e il presente, fra il nulla e l’ontico, fra quello che non accade e quello che non è osservabile.
Immaginiamo infine il ritorno del sole, della luce piena, del calore, con la sua alternanza notte-giorno e poi i suoi ritmi stagionali. E’ evidente che questi cicli, o ritmi, luminosi e termici non possono non essersi impressi profondamente nelle nostre strutture percettive... anzi, si può affermare che la nostra psiche si sia organizzata e strutturata su quei ritmi. Il sistema percettivo e nervoso si è cominciato a differenziare, a rapportare all’ambiente esterno, e a costruire mappe territoriali che poi hanno assunto una configurazione stabile nel nostro sistema sensoriale, proprio cominciando a reagire ai primi stimoli luminosi, ad assorbire i primi bagliori ondulatori, i primi pacchetti di fotoni provenienti da sole e luna. Tutto questo ha permesso il consolidarsi di una struttura permanente dell’io. Per convincersi di tutto ciò, basta pensare a quanto siano profondamente interiorizzati in noi i ritmi sonno-veglia detti circadiani, a livello sociale, psicologico, ormonale, biologico – al punto che ci sembrerebbe stranissimo immaginare un essere umano privo della necessità del sonno, e che il nostro orologio biologico continua a funzionare secondo questi ritmi in ogni condizione. Ma pensiamo anche ai cicli biologici di 28 giorni della donna, corrispondenti e probabilmente, milioni di anni fa, sincronizzati a quelli lunari; all’universalità del calendario basato sui mesi e le settimane, ovvero sulla luna; a una serie di fenomeni psicologici, biologici e naturali che sono comprovatamente condizionati dal ritmo lunare, dalle crisi psicotiche e nevrotiche, ai cicli di assorbimento delle piante, alle attività di molti organismi e microrganismi (ad es. i cicli dei platelminti, o l’ovideposizione della tartarughe); agli esperimenti condotti sulla flocculazione del sangue e su altri fenomeni fisiologici; allo studio di Malin e Srivastava su 5000 casi che mostra una correlazione fra infarti e attività solare; o alla dipendenza dalle fasi lunari delle maree, delle onde radio e elettromagnetiche e di un'altra serie di fenomeni fisici (cfr. L’astrologia di fronte alla scienza, di M. Gauquelin).
E infine, pensiamo all’universo descritto dalla fisica quantistica: un “cosmo immenso, elastico e costellato di galassie... mosso da onde simili alle onde del mare” (C. Rovelli), un’immensa fluttuazione di particelle senza posizione, ovvero inavvertibili, e in termini puramente logici inesistenti, che si definiscono, determinano, materializzano, solo quando il nostro sistema percettivo le estrae dal nulla, le ricostruisce, le reinventa. E’ quel che ci ha spiegato il principio di Heisenberg. Naturalmente la vaghezza probabilistica dell’universo quantistico, in cui, in termini assoluti, è “vero” tutto e il contrario di tutto, non ci autorizza alle facili e arbitrarie conclusioni di certe pseudo-teorie new-age, ma è certo profondamente compatibile con la visione astrologica, e con la sua idea che esista una profonda connessione fra macrocosmo e microcosmo, fra universo oggettivo e soggettivo, fra il mondo e quello che Hegel chiamava lo spirito autocosciente, ovvero l’ego dell’essere umano che lo percepisce.
L’oroscopo è “vero”?
L’astrologia è tutta da esplorare, tutta da verificare. Con
questa idea provai a iscrivermi a 18 anni ai corsi di Astrofisica
dell’osservatorio di Arcetri... per poi prendere altre strade. La questione
fondamentale, preliminare e imprescindibile da risolvere, naturalmente è
questa: ma l’astrologia è “vera”? Funziona? Corrisponde a reali dati empirici? E
se si come e perché, e insomma su quali basi teoriche si regge? Alla prima domanda non si può che provare a rispondere con documentazioni statistiche e probabilistiche.
Con ciò, anch’io, che parlo di astrologia con cognizione di causa e non per vaga antipatia, ovvero per tornaconto psichico, sono convinto che non è stata prodotta al momento nessuna spiegazione plausibile delle sue asserzioni, che il suo percorso conoscitivo è appena iniziato, e che della dottrina astrologica attuale è destinato a sopravvivere, forse il 30% degli studi più seri. Assolutamente nulla, ovviamente, dell’astrologia da rotocalco e da “maghi”.
Ma che un fenomeno non sia (ancora) spiegabile non significa che non sia vero. E seppure fosse contenuto un solo granello di verità in tutta la teoria astrologica, per quanto questo granello di verità possa essere minuscolo, l’idea di una connessione fra l’uomo e il cosmo, fra noi e le stelle remote, è talmente sconvolgente, affascinante e scandalosa che non si può rinunciare ad esplorarla.
E al momento, se vogliamo provare a esplorare i misteriosi legami fra uomo e cosmo, non abbiamo altra griglia interpretativa che lo zodiaco, e altro modello, altro strumento tecnico che il classico tema natale – quello utilizzato da Galileo fino a Jung. Meglio rinunciarci o meglio rischiare?
.....
Chiediamoci ora cosa rappresenta il momento della nascita di
un individuo, quello che secondo l’ipotesi astrologica influenza, o meglio, per
quanto abbiamo detto, significa
alcuni suoi aspetti caratteriali (e probabilmente contiene avviluppati,
potenzialmente, alcuni eventi della sua vita). Questo momento, per la specie
uomo - limitiamoci prudenzialmente a questa – è il momento in cui sorge una
nuova coscienza, un vertiginoso specchio parabolico in cui si duplicherà e
riassommerà il mondo. Umbra profonda
sumus, scriveva Giordano Bruno agli albori del pensiero scientifico, ma è
ragionevole pensare che l’ombra non si diraderà mai, se il falso-positivista
Wittgenstein (l’iper razionale che, come
forse prima solo Bruno, grazie alla sua logica ferrea ha forzato i confini
della logica, e ne ha dischiuso i limiti) 350 anni dopo ammetteva ancora: L’io è il mistero profondo. Quest’individuo
dirà io e avrà coscienza di sé e del mondo che lo circonda. Potrà percepirlo
giallo, viola, regolato da un logos o confuso nella follia. In verità, dunque,
quando sorge una coscienza, non appare semplicemente una struttura che riflette
un mondo, ma appare un mondo, un nuovo mondo – che prima non esisteva: un
microcosmo. In questo microcosmo è avviluppato un macrocosmo, che a sua volta
lo contiene. Macrocosmo e microcosmo iniziano e terminano l’uno nell’altro,
come nella figura dell’uroboro. Ebbene, secondo l’ipotesi astrologica, il punto
all’infinito in cui si toccano il macrocosmo contenuto nel microcosmo che a sua
volta lo contiene, e il microcosmo che contiene il macrocosmo che a sua volta
ne è contenuto, è la carta astrale dell’individuo. In questo punto
l’infinitamente piccolo, il punto sorgente della consapevolezza e la coscienza,
l’intimità più sottile dell’individuo, in cui è prefigurata come in un’aleph (borgesiana
più che cantoriana) la struttura della sua psiche, coincide con l’infinitamente
grande, con l’impensabile bolla cosmica sferica ipotizzata dalla relatività.
Sono l’una il significato e il significante dell’altro, il rovescio e il
diritto della pagina saussurriana.
..................................................
Sicuramente quest’immagine ci chiarisce alcuni aspetti formali e topologici del rapporto fra io e mondo, se però l’analizziamo più accuratamente ci rendiamo conto che in effetti l’arco di toro M contenuto nel toro m, non è quello che lo contiene, e viceversa. Ovvero ciascuna figura considerata complessivamente contiene l’altra figura, ma propriamente ne fascia solo un segmento. In altri termini, questo tipo di rappresentazione è basata sulla parentela semantica fra contenere e circondare, che però sono 2 azioni che hanno una rappresentazione grafico-topologica diversa (una circonferenza A può circondare il punto a, ma solo un cerchio A può contenerlo)...
La verità è che qui noi ci troviamo di fronte a un vero paradosso, un paradosso che è insolubile nei termini del sistema di riferimenti linguistico che stiamo adoperando, perché noi ci troviamo all’interno di questo sistema. E’ un po’ quello che concludeva o comunque implicava il teorema di incompletezza di Godel, quello che emerge dalle “scandalose” (e dunque sottovalutate dai matematici di vedute più ristrette) analisi dei fondamenti matematici di Wittgenstein, e che l’infallibile R. Thom sintetizza affermando che “tutte le analisi dei fondamenti possono avere un certo interesse locale, ma non possono risolvere il problema filosofico di sapere da dove sorgono le strutture matematiche”.
Un problema di questo tipo, dunque, si può affrontare solo costruendo un’altra lingua, compito per il quale ha probabilmente più competenza il filosofo, l’artista e il mistico che non lo scienziato.
Si dà il caso...
La coincidenza fra infinito e infinitesimo è stata già
intuita da Cusano, e formulata nel concetto della coincidentia oppositorum; è
stata già immaginata da Borges nell’Aleph, il punto occulto sotto il
diciannovesimo scalino di una cantina, in cui si trovano “senza confondersi,
tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”; è stata già percepita
dai mistici di molte epoche, fra i quali citiamo Lao Tzu (il Tao illimitato e
limitato), e lo pseudo- Dionigi (la caligine e il nulla divini).
Tuttavia Cusano si limita ad affermare che in Dio non c’è
opposizione e dunque il minimo coincide col massimo, e agli scrittori citati non
interessa andare oltre i loro racconti. Proviamo quindi a raccordare questo concetto, quest’immagine e questo sentimento-percezione alle nostre conoscenze del 2018, e a darne una descrizione più profonda.
Proprio nello scorso anno, la fisica sperimentale ha fatto sbalorditivi passi avanti nella verifica di un concetto teorizzato dalla quantistica, quello dell’azione non locale di orientamento degli spin atomici, e dunque del cosiddetto entanglement, legame a distanza fra particelle anche lontanissime. Questo legame, apparentemente magico, inspiegabile, mirabolante, pare sia stato verificato già a distanze di oltre 2000 km. Ricordiamo anche che i fisici stanno compiendo sperimentazioni sul teletrasporto quantistico, e hanno teorizzato l’esistenza di varchi spazio temporali, che permettano di viaggiare nel tempo o nello spazio, in ordini dimensionali inferiori a 10^(-32) metri.
Ovviamente conviene essere cauti nel trarre conclusioni filosofiche da questi dati, ma appare evidente che, al di sotto di una certa soglia percettiva, la realtà abbia comportamenti del tutto incompatibili col senso comune, e che vi agiscano forze che prescindono dalle distanze fisiche. R. Thom ci fa notare che un fotone molle, ovvero una particella dotata di un’energia infinitesima, in base al principio di Heisenberg, non essendo definibile e posizionabile, e non avendo dunque propriamente “un posto”, si deve considerare effettivamente esteso in tutto l’universo. Il fisico J.A. Wheeler si avventura a congetturare che esista un unico elettrone, che galoppa avanti e indietro nello spazio tempo, e in tal modo tesse l’universo. La teoria delle stringhe va in qualche senso anche oltre, teorizzando il multiverso, ovvero una realtà costituita da una stratificazione di universi, alcuni dei quali potrebbero, ad esempio, avere uno spessore inferiore al millimetro.
Queste immagini ci descrivono indubbiamente un universo in cui l’infinitamente piccolo coincide con l’infinitamente grande.
In che modo possiamo però collegare questi esperimenti, teorie e congetture molto astratte, riguardanti stati della materia molto spinti, ottenuti negli enormi acceleratori del Cern o nelle profondità del Gran Sasso, e che approdano infine a risultati che potrebbero anche non riguardarci affatto - alla nostra vita quotidiana, e per quel che ci interessa, ai nostri comportamenti psichici – in che modo possiamo provare a rapportare tutto questo alla teoria astrologica?
In realtà gli effetti quantistici li abbiamo continuamente sotto gli occhi, se una mela non si spappola è perché è tenuta insieme da forze nucleari e elettromagnetiche. C’è però un fenomeno del quotidiano, forse il più misterioso e il più inspiegato, il più profondo e vertiginoso, eternamente circoscritto, bordeggiato, circuito, ma mai compreso e dominato, che in un modo o nell’altro attiene al nostro discorso: il Caso. Se tiriamo una monetina, se tentiamo la vincita di un grattino, se leggiamo una statistica, noi stiamo probabilmente senza rendercene conto giocando colla quantistica, stiamo smuovendo i quanti sottesi alla realtà.
Tutto ciò non è ancora ben chiaro alla scienza, e forse non lo sarà mai, ma noi possiamo provare a analizzarlo con quegli strumenti speculativi invocati da Thom.
Cos’è il caso? Come il tempo, e l’araba fenice, tutti sanno che c’è, nessuno sa cos’è. Secondo i deterministi, un evento casuale è semplicemente il risultato di un effetto causale occulto, invisibile, una concatenazione avvenuta a un livello submicroscopico, presumibilmente al di sotto del valori di Planck di 10^(-32) metri, o comunque a un ordine di grandezza talmente piccolo che il nostro apparato sensoriale non riesce a estrarne informazioni e previsioni. E insomma, una casualità è una causalità occulta. Secondo gli indeterministi, questo discorso non ha significato, perché al di sotto della lunghezza di Planck la realtà è irrimediabilmente inconoscibile, e quindi dal nostro punto di vista indeterminabile, casuale e acausale. Gli uni e gli altri ammettono la legge dei grandi numeri di Bernoulli, ma come una specie di regola magica, di prescrizione del fato. Secondo la scienza, dunque, in realtà la monetina potrebbe cadere 100 volte, o anche 1000, o anche per sempre, all’infinito, sullo stesso lato, anche se questa eventualità ha una bassissima probabilità – un infinitesimo, per un numero di lanci tendente all’infinito.
Agli astrologi e ai maghi sembra invece che se la monetina sceglie di cadere da un lato piuttosto che da un altro, una causa seppur infinitesima – che sia il battito d’ali di una farfalla nel pacifico o un’infima scabrosità della sua superficie – ci debba essere per forza. Il fatto stesso che alla monetina accada “sempre” di cadere in un verso o nell’altro – e questo è l’unico dato certo e scientifico, non magico, - comprova che, andando a ritroso nella concatenazione causale, le forze in gioco a un certo punto si arrestano, trovano una consistenza. E’ in quel punto che si determina il risultato del lancio, ed è quel punto che possiamo chiamare causa. Questa causa, ai fini della nostra dimostrazione, possiamo ammettere che agisca al di sotto della lunghezza di Planck, e non sia dunque registrabile dall’osservatore. Ma se è così, se questa causa esiste, perché essa non agisce sempre nello stesso modo, ma lo fa diciamo così equamente, in maniera tale che una volta prevalgono le forze che fanno adagiare la moneta sul recto, una volta quelle contrarie? Perché le cause risultano distribuite secondo la legge umana dell’equità e la giustizia?
E soprattutto, perché questa stabilità delle frequenze è
osservabile non solo diacronicamente, ma anche sincronicamente, non solo sull’insieme
di 1000 lanci successivi effettuati da uno stesso giocatore, ma anche su quello
di 1000 lanci contemporanei, effettuati da 1000 giocatori posizionati ciascuno
in un punto distante dell’universo, e non ha dunque una validità locale, ma
universale? La spiegazione può essere una sola: perché la sostanza consistente
ultima, quella che determina l’evento, è distribuita in maniera omogenea, e
cioè è una sostanza densa, è un continuo. La legge dei grandi numeri è il
brulicare del continuo, l’addensarsi di cause continue che producono, in maniera necessaria e determinata, effetti
omogenei. In questi termini, l’opposizione determinismo/indeterminismo non ha
senso: tutto è causalmente indeterminato, tutto è determinato, ma produce
indeterminazione. La stabilità delle frequenze, non è più quindi un dato
empirico, ma l’effetto di una determinazione causale, che ha origine nel
substrato del continuo soggiacente alla realtà osservabile.
Questo equivale a stabilire una priorità ontologica del
continuo rispetto al discontinuo, secondo l’espressione di R. Thom, e ad
affermare che il discontinuo quantistico può riguardare solo il penultimo
strato del reale, quello osservabile. Al di sotto di questo ordine, il reale è
ancora retto da leggi causali, ma non esiste nessuna causa distinta. La legge
di Bernoulli dimostra che non esiste acausalità, ma solo una causalità
indifferenziata. Dire che non c’è causa distinta, potrebbe sostenere qualcuno, è lo stesso che dire che non c’è causa (almeno in senso assoluto), e non spiega perché se questa causalità è indistinta può determinare frequenze improbabili per le piccole serie. Si può rispondere all’una e l’altra obiezione osservando che un fenomeno casuale è comunque un fenomeno locale, che va considerato sotto questo aspetto.
Ma è un fenomeno locale e relativo originato da una causa non locale. La causa è dunque una, e agisce solidarmente e sincronicamente. Ecco perché la legge dei grandi numeri stabilisce una relazione fra un giocatore che lancia la moneta a Roma ed uno che la lancia da un pianeta extrasolare. Ecco perché una particella può orientarsi nello stesso senso di un’altra situata a migliaia di km di distanza, forse a una distanza infinita.
Ed ecco perché può esistere una solidarietà e una sincronicità, e cioè possono esistere rapporti causali non locali, fra singolarità distanti dell’universo, e potrebbe esistere una corrispondenza fra la linea apparente tracciata da un pianeta, e il percorso che traccia con le sue scelte un essere umano. Dire, come suppone l’astrologia, che quelle scelte sono determinate da una fatalità, dal destino, significa semplicemente collegarle alla struttura soggiacente che in qualche modo le unifica, le avvolge, le fa corrispondere. O in altri termini, significa dire che la causalità è sempre una causalità occulta, ma sincronica e solidale. Lo strato soggiacente, o la dimensione fisica, in cui sono determinate queste scelte, in cui è scritto il destino, è l’intercapedine di continuo indifferenziato fra l’assente e il presente, fra il nulla e l’ontico, fra quello che non accade e quello che non è osservabile.
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spassosissimo.
RispondiEliminaaggiungo solo che un recente studio di S. Ucker et al. su Stochastic Astrology ha dimostrato una interessante relazione causale inversa, secondo la quale sarebbero gli uomini ad influenzare i pianeti. ad esempio, nel famoso “effetto-Marte” di Michel Gauquelin sarebbe la nascita di uno sportivo di successo a far sorgere Marte e non il contrario.
comunque, oltre allo “spirito autocosciente” di quell’assolutista ingessato di Hegel, credo che andrebbe citato anche lo spirito libero di zio Arturo, il quale su Parerga e Paralipomena (uno dei miei saggi filosofici preferiti d’ogni epoca) scrive testualmente: “un esempio grandioso della miserabile soggettività degli esseri umani − onde essi riferiscono tutto quanto a sé stessi, e da ogni pensiero ripiegano senz'altro e immediatamente su di sé − è fornito dall'astrologia, la quale riporta al meschino individuo il corso dei grandi corpi celesti, e così pure mette in collegamento le comete del cielo con gli affari e le sciocchezze terrene.”
: ))
in rete non trovo niente di questo studio, mi interesserebbe... ovviamente suppongo che la conclusione paradossale sia da intendere in qualche senso simbolico... lo zio arturo in realtà lo cito, ma come solipsista... tuttavia starei ben attento a sottovalutare lo zio giorgio guglielmo federico... letto a scuola, con tutte quelle triadi e pesantezze fa venire a tutti l'orchite... ma a leggerlo, a volte in un attimo è grande grande grande come lui è grande solamente lui... non per sottovalutare lo zio martino... e ovviamente lo zio severino... insomma tutto lo ziame...
RispondiEliminacmq se mi trovi qualche info interessante su questo ucker vinci un oroscopo gratuito
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