domenica 29 marzo 2015

libera occupazione poetica

LOCANDINA

testi:
 


Manifesti per il XXI secolo a cura di Francesco Forlani e Andrea Inglese
 
In collaborazione con

Carmina dant pastam





Andrea Inglese





Lettera d’invito per un manifesto





Lettera d’invito





Per il 21 marzo, giornata mondiale della poesia, l’Unione Culturale

Antonicelli ci mette a disposizione il suo spazio. Non siamo patiti delle

giornate mondiali della poesia, ma abbiamo pensato che potrebbe essere

l’occasione per cambiare un po’ i connotati a ciò che in Italia si tende a

considerare come poesia. Vorremmo, ad esempio, riattivare la dimensione

utopica della pratica poetica, che è stata ben presente durante tutto il

Novecento, quando le grandi correnti avanguardistiche sono nate spesso per

iniziativa dei poeti. Siamo certo più disincantati rispetto a quegli altisonanti

programmi d’innovazione radicale dell’arte e della vita. E d’altra parte ci

sembra che la dimensione utopica possa oggi sorgere quasi dal rasoterra, in

zone più apparentemente periferiche e residuali o comunque minori. E ci

pare che il modo migliore di scrivere un manifesto sia ancora una volta di

utilizzare una lingua poetica, ossia una lingua non ancora del tutto parlata,

acquisita, condivisa. Per questo motivo abbiamo pensato di invitarvi a

collaborare, contribuendo a scrivere e presentare il vostro manifesto per il

XXI secolo. Siete invitati a scriverlo, dal punto di vista formale, con la più

grande libertà, in versi come in prosa, attraverso un sonetto o una

performance, con il supporto di materiale video e sonoro, utilizzando il

vostro semplice sistema di fonazione all’improvviso. Considerate solamente

dei limiti di tempo. Sarete circa una dozzina, e grosso modo ognuno avrà a

disposizione cinque minuti.










Se la terra si venisse a trovare all’interno di un grosso brillamento solare, un evento di per

se stesso insignificante dal punto di vista astrofisico, la biosfera si sterilizzerebbe all’istante,

e la catastrofe avrebbe sul brillamento un effetto tanto irrilevante quanto quello di una

goccia di pioggia su un vulcano in eruzione. La biosfera in termini di massa, di energia o di

qualsiasi misura astrofisica di rilievo, è una frazione insignificante della Terra, che è a sua

volta una frazione insignificante del sistema solare. (A volte gli astrofisici dicono che il

sistema solare è costituito dal Sole e da Giove: tutto il resto non è che una perturbazione.)

Eppure il Sole è soltanto una stella secondaria alla penisola della Via Lattea, che è una

delle tante galassie dell’universo conosciuto.



(David Deutsch, The Fabric of Reality,





1997)

Da ciò ne consegue che questa nostra insignificanza, moltiplicata

insignificanza, c’impone almeno il dovere, la gioia anche, la malizia doverosa

e gioiosa del perturbamento: tra il Sole e Giove, nella nostra lontana periferia

vivente, storica, di esseri dalla vite breve, tutta ammazzata già dalle abitudini,

nell’inizio del XXI secolo, noi possiamo perturbare, e anche interferire, e

proprio perché l’Occidente, ossia la recente parentesi occidentale della storia,

non vuol più fare nulla, diventare nulla, in questo annullarsi di giornate ogni

minuto è un’occasione di perturbamento, di costruire un manifesto, molti

milioni di manifesti, indirizzato ognuno a un istante, per poterlo già mutare e

stravolgere, non ne basterà uno, di quelli certificati da un gruppo di artisti, ma

ce ne vorranno molti di più, molto più instabili, sciami di manifesti, per il

XXI secolo, se vorremo gioire, ben chini sulla superficie increspata della

nostra insignificanza, con intorno ovunque anche tante macerie, tanti morti,

tante cose che ormai non interferiscono nemmeno più, insignificanze

silenziose, ubbidienti, imperturbabili.





Francesco Forlani





"


Manifeste











Document standardisé, reprenant

l’ensemble du détail

de la marchandise chargée sur le navire.

Les manifestes doivent être remis à

bord avant le départ du navire





Quando una ventina d’anni fa organizzammo la rivista Paso Doble fu quasi

naturale per noi della redazione consacrare un intero numero al tema del

Manifesto. Che cosa volevamo dichiarare a tutti i costi e nella molteplicità di

stili e personalità che ci caratterizzava? Un intento, un programma poetico o

forse solo il bisogno di una direzione che potesse emergere dai desiderata di

una ciurma a bordo di una “nave dei folli”. Ecco perché ci venne incontro la

filologia di Alix Willaert che, avendo tra i propri antenati comandanti di navi

e porti, ci regalò uno dei manifesti del nonno. Un manifesto, per i marinai, è il

diario di bordo, in cui vengano indicati il carico, la rotta, e il senso del viaggio.

Non avendo ben chiaro nessuno di questi dati il nostro manifesto

complessivo non poteva che definirsi in tutta la sua provvisorietà.

Pubblicammo per esempio un eccellente manifesto “timido” di uno scrittore

marsigliese, Roc Sonnet, che più di altri incarnava la profonda contraddizione

tra l’ampiezza del progetto e i mezzi reali a disposizione. Della parola

manifesto avevamo interpretato da una parte la sua fattura manuale, il

mettere le mani nelle questioni fondamentali dell’epoca che stavamo

attraversando nel campo della politica e della letteratura, dall’altra ne

volevamo cogliere il lato festivo, dada, collettivo e jubilatoire. Il nostro

relatore di manifesto ideale sarebbe stato un balbuziente, un afono, un

agorafobico, dalla mimica sballata e dalla postura incerta. Solo così si sarebbe

potuta mostrare la frattura tra il mondo della teoria e della critica e la realtà in

cui nessuna traduzione in pratica dei principi sembrava possibile. Cosa è

cambiato in questi vent’anni? Nulla, apparentemente; la questione del

precariato, gli integralismi religiosi, il modello neo liberista, globalizzazione,

mondializzazione, crisi, parole che ricorrevano nelle nostre invettive

“provvisorie” sembrano oggi più che mai comporre la traccia permanente dei

nostri destini e lo stesso rumore di fondo di allora. Però non siamo cambiati

nemmeno noi se a distanza di vent’anni ritroviamo nella parola manifesto lo

stesso fascino d’un tempo, lo stesso desiderio di prendere il largo,

d’imbarcarsi in viaggi lunghi e misteriosi, senza inchini agli scogli che presto o

tardi ogni cargo che si rispetti incontra tributando loro solo la stessa

attenzione di un avvistamento che si riserva alle ombre.





DonPasta





"


Strut und Drang





Non posso continuare a parlare di cucine ricche di genialità, di dolcefarniente,

di colori e sapori con questo puritanesimo integrista come un pane integrale.

A noi piacciono le focacce unte piuttosto, lo sporcarsi la lingua di crema

pasticciera, il leccarsi le dita. Siamo figli e nipoti di guerre e tanta fame, che se

se stai sciupato ti danno da mangiare di più.. che devi crescere se stai

sovrappeso ti danno da mangiare di più.. che devi mantenerti in buona salute.

Se il mondo continua così, toglierò l'olio da ogni ricetta, mi darò alla

macrobiotica e diventerò adepto di pranzi vegan. Niente carne magra, data la

produzione scriteriata di vacche e buoi per mangiare solo filetti e bistecche. Il

meglio è nella invenzione dal nulla, piuttosto. Pezzetti di cavallo, testa di

vitello, palle di toro e piede di porco I piatti più saporiti, all'epoca attuale,

vengono visti con disgusto. Il contadino non aveva niente. Aveva un cavallo

con cui arava la terra. Il cavallo a un certo punto, vecchio, era pronto a

morire. Il contadino, anche, di fame. Unica soluzione, mangiare il cavallo in

fin di vita. Ma mangiarlo bene. Se il mondo continua così, inizierò a parlare di

sushi, ascoltando Buddha Bar, per rilassarsi, magari dopo aver licenziato

quindici operai, perché mangiare sushi riempie la bocca senza mangiarlo,

semplicemente perché fa fico. Visto che siamo in un mondo fusion,

accompagnate il tutto con un sauvignon e non con il saké, che effettivamente

fa meno fico con quel bicchierino piccolino. Fa niente se disintegrate tutta la

fauna marittima, in particolare i tonni rossi in via di estinzione, perché è una

cucina sana e leggera. Cozze, cozze pelose e polipi crudi. Questo è il nostro

porto, la nostra casa. Parlo chiaro usando la metafora del fruttone. Il nostro

manifesto è ricco di proteine grasse con olio a manetta e strutto perché la

pasta frolla soffre se metti solo il burro. Senza lo strutto, respira a fatica. Il

fruttone è quel suicidio nichilista del pasticciere che in agosto pensa che si

possa mangiare un dolce con pasta di strutto e pasta di mandorla. E' una

sublimazione, cibo dell'anima, qualcosa da offrire per regalare un sorriso. Noi

diventiamo segretamente carbonari, che oltre che movimento per pasta

succulenta è artiglieria di pomodori di stagione per organizzare la passata fatta

in casa. Abbiamo bisogno di spiriti insoddisfatti dai realismi. Di barattoli

conservati a bagnomaria, senza bisogno di microonde. Mettiamo a

disposizione il nostro savoir faire. Esperti e pluridiplomati in cazzeggio.

Dopo anni di spiagge salentine siamo addetti al tempo libero e vogliamo

sfruttarlo nel modo più efficace possibile. Non fare un cazzo. Ma per

davvero, non per finta. Siamo paladini della chiacchiera inutile Siamo il

partito degli occhi rivolti verso il cielo, Siate carbonari sino in fondo.

Esercitatevi alla perdita del tempo. E sopratutto, strutto, strutto e strutto.

Votate donpasta





Raffaele Cutillo





"Mare, mare di sangue e sale, fai di me quello che vuoi”





"Il mare, qui, è quello colorato di rosso dal sangue africano e sbarrato dal

nastro che usa la scientifica per delimitare lo spazio delle indagini. Sul suo

limitare, la mappa scarnificata di Castel Volturno, terra di follia del Sud, che

solo la poesia può salvare"





Beniamino Servino





"


La città cresce nella sua periferia.





La bio-città è quella periferica.





BS 21 02 20 15"_





Necessità monumentale nella città che cresce.

MONUMENTALE significa RICONOSCIBILE.

Riconoscere un luogo. Attivare il pensiero di sé come RICONOSCITORE

DI UN LUOGO attraverso la sua [del luogo]/la propria [di sé medesimo]

memoria.

Trovarsi in un luogo e non riconoscerlo procura spaesamento.


Monumento/Memoria/Riconoscimento/Cura.

[invece di]

Spaesamento/Non cura/Incuria.


Il monumento è il prodotto [il risultato] della costruzione fisica della

Memoria [della propria memoria].

Il monumento-Memoria appartiene a chi riconosce nel monumento la

propria memoria [o crede di riconoscerla].

Se il monumento è generato dall’interno [di un gruppo, del luogo] aumenta il

numero di chi lo riconosce come proprio.

[I monumenti importati, portati da fuori, vengono rimossi con la rivoluzione.

Vengono rimossi quando c’è una rivoluzione.]

Qual è la dimensione [la misura espressa in metri] della memoria di un

gruppo, di un luogo? Piccola, Media o Grande?

Non serve portare in periferia [nella città che cresce] i monumenti della città

che non cresce [della città che si trasforma, forse. Bello lo slogan


Renovatio





urbis



!].





E, al contrario, non serve ri-portare la gente da una parte all’altra.

La Occupazione proletaria dei monumenti e la Gentrificazione sono tutti e

due passaggi traumatici.


La Città che cresce è Città debole [o Città liquida, per


par condicio]. La città che





cresce è città debole perché si fonda e avanza [va avanti] in superficie.

[La Città liquida è forse Città viscida].


Il monumento è il tutore della città debole.

Il monumento-tutore scava [cerca] in profondità. La memoria è sotto la

superficie, ma poi lì arriva. La memoria arriva in superficie e lì rimane. Il

monumento è riconosciuto solo quando arriva in superficie. E’ riconosciuto

perché può essere visto. E’ riconosciuto perché è familiare.

La familiarità [il riconoscimento] avviene nel tempo presente. Il

Riconoscimento avviene nel tempo presente del Riconoscitore. Perché

[affinché] possano essere riconosciute la Memoria deve adattare al tempo

presente le tracce della profondità.





La Memoria è un continuo adattatore di ricordi.

BS 22 02 20 15

La città che cresce itera pattern[s] semplificati



.





Marco Giovenale





____festo per il xxi secolo





con questo festo io – e questo intende ovviamente dimenticarsi mentre si

scrive, o meglio mentre si dice, si dice, non è chiaro, dicono, si chiede per

avere, ci si domanda qualcosa per sapersi qualcosa, non è subito visibile, è

l'ultima c_sa in fondo, quella dopo la svolta, che non si vede alla fine del giro

o riga di muri, non arriva la corrente, né la rete, non arrivano i manifesti, o

con molta incertezza, sudori freddi nel bagno turco, caldo, una perenne

incertezza, che è l'unica costanza, in buona sostanza (se poi è buona), dunque

una costante, ma se è costante è prevedibile, e se è prevedibile c'è strada in

vista, si vede, pare, la strada non svolta veramente, o se svolta si sa già che

svolta, e come, dunque non è necessariamente da cercare, c'è già, sta là, però

è vero che non si sa dove svolta, a che altezza, e per mostrare cosa, allora se è

così è “di ricerca”, veramente, è un tracciato che in fondo (o dopo il fondo, al

giro di boa, o, certo, del boa) non si conosce, non davvero, e poi si cancella,

rimuove tutto il prima, o no, o (il) meglio, (o) perde pezzi, zigzaga fra gli

ostacoli, alcuni li prende, li mangia, gli ostacoli fra parentesi si possono

mangiare, altri li schiva, rischia di divorarsi la coda, come il vecchio snakes da

pochi pixel, dissipa la parte che precede, e gli si dissipa l'orizzonte avanti, non

si orienta senza per questo doversi dire disorientato, sta sullo sgabellino dello

zero senza negativi senza positivi, fa in definitiva, ma non definitivamente,

come il cursore, che si sposta, ha dimenticato da dove partiva, nemmeno fa

finta, ha veramente i piedi piccoli, le radici fragili, ha già preso un'altra

direzione, cos'è che dicevamo, come dicevamo, sta cercando, compare la

clessidra, il cerchio di windows, di apple, del telefono, il telefono a disco, che

i numeri li ha da un'altra parte, di carta, non dentro, nella pancia, chiama di

pancia, se chiama, sta fisso, detesta i traslochi, la bachelite si spacca, non va

pulita con l’alcol, filtra la luce, la luce della comunicazione, si dice per dire,

enfaticamente, si chiede per avere, inutilmente, utilmente si domanda per

deessere, tirando a sorte, ma non è niente, non si è ergo eccetera, con

l'illusione della trasmissione, palese, della comunicazione, evento-annuncio,

appeso al muro, come un manifesto, voltato verso la parete, però, sul verso si

può scrivere, riscrivere, sovrascrivere, (festare)







Remmert & Ragagnin





DECALCOOLOGO

Manifesto per una poetica ben graduata del futuro





1. Da sobri nessun ricordo è innocente.

2. Si esige un contributo alla Totale Standardizzazione della Cultura: ogni

individuo pagherà un’imposta per ogni giorno trascorso senza bere.

3. Un tappo di sughero saldamente intrappolato nella sua bottiglia è una

banca di metafore fallita.

4. Il nitore di un liquore non può mentire.

5. Si pone, anche per noi, la necessità di farla finita con la sobrietà alcolica

propriamente detta e di non fermarci allo svolgimento infantile: «Un

bicchiere d’acqua è un bicchiere d’acqua è un bicchiere d’acqua». Nella

vera realtà che spinge da sotto il (falso)piano fenomenico della vita, un

bicchiere d’acqua è la barbarica provocazione dei violenti.

6. Vodka e tonica non sono solo due parole incastonate ad arte e scelte

con eleganza, ma anche nozioni di un’altra grammatica, perfetta e

inconoscibile.

7. Ogni oste che si rispetti detiene il segreto del mondo.

8. Lo spirito creatore è saldo nella mente anche quando i sentimenti sono

malfermi sulle gambe.

9. Lo shaker è lo strumento più intuitivo per afferrare la rotazione dei

cosmi.

10. La vita è un cerchio. Alla testa.





Pino Tripodi





manifesto pro grammatica nova





cari tutte

ciao. mi chiamo strana. le mie genitori m'hanno nomata così perché loro sono

stranier. anche i loro amici sono straniere.

io pure ho tante amici tutte quante un po' toccati ma italiane tutti sono. più

toccà di ognuno sono mia mamma e mio papà. lui ha il pallino per la

matematica lei per la linguistica. nulla di strano certo ma i loro pallini non

fossero così simpatiche sarebbero una palla mostruosa. mio papà esempio

non gli bastava la matematica pure comunista è. ma un comunista tutto d'un

pezzo non annacquato nell'acqua delle rose. dice che il mondo gira a destra

ma siccome ha fatto la resistenza lui non si arrende e allora pensa che fa. tutto

a sinistra deve girare il mondo suo. la destra l'ha cancellata dalla sua vita. si

alza la mattina oppure sonnambulo poggia terra sempre con il piede sinistro.

è mancino totale di piede di mano d'orecchi e d'occhi. annusa solo di

mancuso e non prende mai i mezzi pubblici ché quelli girano

indifferentemente a destra e a manca. lui no. lui con la vettura la moto la

bicicletta o i piedi gira solo a sinistra. se deve andare a destra non ci sta

scalpita s'imbufalisce si rifiuta poi gira che ti gira tondo finché arriva dove ha

deciso d'andare ma da sinistra. d'accordo ci può stare ma leggere e scrivere

come fa lui non è solo originale. mio papà non scrive e non legge da sinistra a

destra perché la destra ormai lo sapete non la concepisce figuriamoci se può

leggere scrivere da destra a sinistra. non potrebbe. troppa importanza avrebbe

la sorellastra della mancina. e allora legge scrive solo dall'alto verso il basso. a

scrivere ci pensa lui me ne frego ma per leggere ci pens' io a pubblicar libri

c p c d h a c g

o e h i

o l h e

s r e t t e

r

ì r

f i t r a

c

f f a c r i m

o

a o c e o a

m

t r c v m n

e

t t i e a a o

i. u o t t

n c o t l

l

a l' h i e

u

e- e gi.

se si comporta così dove non ha il pallino,ù immaginate cosa combina con la

matematica lì dove il pallino ce l'ha conficcato nella parte più remota del

cervelletto quella dove si fa e si disfa senza sentire ragione alcuna ché la

mente lì va in automatico. con la matematica pure i matti lo prenderebbero

per sbullonato. l'ultima che ha scervellato è la moltiplicazione da sinistra. dice

che ai tempi di pitagora la facevano così. non vi so dire se è vero ma così

fosse pure lui pitagora si vede che aveva qualche problemino in capo. e come

si diverte papà. come le fa lui le moltiplicazioni la destra è messa fuorilegge e

pure i riporti sono eliminati a parte l'addizione finale in colonna.

come li fa ve lo fo con qualche esempio. per moltiplicare135x5 anziché

iniziare da destra e mettere in colonna 5x5 e poi 5x3 e poi 5x1 lui comincia da

sinistra cioè moltiplica 5x1 e 5x3 e 5x5 mette in colonna il 5 poi

il 15 e poi il

25=

675

il risultato vedrà 5 per le unità 7 per le decine e 6 per le centinaia cioè 675

come avviene nell'operazione della destra storica. ha sperimentato il metodo

per le moltiplicazioni a una cifra a due e a tre e passa e funziona a mena dito.

basta stare attenti quando si mette in colonna se il risultato della singola

operazione è a una cifra o a due o più. se non ci credete guardate qua questi

altri esempi

esempio n°2

121x

12=

1

2

1

2

4

2=

1452

esempio n° 3

66x

11=

6

6

6

6=

726

esempio n° 4

342x

23=

6

8

4

9

12

6

7866

esempio n° 5

125x

125=

1

2

5

2

4

10

5

10

25=

15625

esempio n° 6

327x

186=

3

2

7

24

16

56

18

12

42=

59822

basta vero? penso davvero possa bastare la toccataggine del mio papà.

se mio padre è strambo assai mia madre vi sembrerà stramaledettamente

storta. il maritino suo ve l'ho detto non concepisce l'esistenza della destra.

mia mamma peggio non si capacita che esseri così schifosi come i maschi

abbiano la sfacciataggine di vivere impunemente. vi chiederete così a

pensarla come ha fatto a maritarsi senza scrollarsi mai del padre mio. lo

utilizza dice come cavia così a sperimentare la fondatezza d'ogni sua pulsione.

tenendo in vita grama lui fa sopravvivere una cavia di maschio d'uso proprio

per studiare il modo di sopprimere ogni altro simile esemplare.

per lei c'è solo un maschio della storia meritevole di considerazione. diogene

il nome il pazzo il soprannome il cinico la filosofia di coltura sinope la

provenienza. lo salva perché a suo dire diogene non maschio ma femmina

era. diogene la cinica dunque e non ammette discussioni o ombre. solo

permette che anziché femmina diogene possa essere stato il primo maschio

uterato cioè una femmina antilitteram.

la specie umana è una schifezza immonda – il parere è suo - che presto

finirà nell'oltremelma. si salveranno le femmine sole la specie donna diventerà

tutt'uterina.

mia mamma si prepara a quel momento facendo eterna guerra a chicchessia.

la prima guerra l'ha combattuta con le parole. guardate questo è il mio primo

dizionario di bambina ma non ditele che così lo chiamo altrimenti mi cancella

dalla prole. l'ha fatto lei con le sue manine. leggete c'è scritto l


a mia prima





dizionaria



. all'interno trovate solo lemmi femminili. il genere maschile nel suo





programma genetico deve iniziare a scomparire dal vocabolario. purificato

quello donnizzato l'idioma non esisteranno più nomi aggettivi sostantivi

maschili. si potrà partire allora per l'ultima battaglia della soluzione finale.

intanto cambiamo tutte le parole del mondo leggete qua: la mura l'armadia la

lavandina la lampadaria la computer la libra la foglia. quando sono diventata

un po' grandina è proprio sulla parola foglia che ho litigato con lei la prima

volta. mamma ma se fai scomparire il foglio dalla dizionaria come si fa a

distinguere la foglia quella dell'albero dal foglio quello del quaderno. la

mamma mi guardò con compassione ma figlia mia solo i maschi logoici dal

cervellino asciutto non saprebbero distinguere nella cuora di una discorsa

un'albera da frutta da una quaderna da scrittura.

nella campagna elettorale ultima ha presentato la lista maschi zera monda

intera. se l'è presa con tutti i maschi chiaro ma la bersaglia sua più cruda è

stata la femminisma. il femminismo certo perché le femmine del femminismo

altre non sono che sciattalingue maschi spisellati. ma come dice fanno la

minchia a fette senza spada e poi vanno a cercare quote rosa e carezzine da

strapazzo che i maschi concedono loro volentieri tra mille stupri e un

ginecidio senza fine. io dice il maschio non merita riforma alcuna. guerra

totale e basta. senz'arme e senza patimenta in breve tempa avremo risolta la

partita. una generazione due e il maschio sarà bello che estinto. l'utera occorre

mettere a filtrare. solo donne generare. con qualche aborto mascolino la

guerra è vinta. l'utera vendica milionate d'anne d'impostura.

e non parlate a lei di gay transgender e transessuali. li vuole tutti morti come i

maschi. solo donna è l'essere. il resto è sola spazzatura degna soltanto di

perire a sputacchiate.

periti i maschi tutti le donne saranno tutte uguali. le gerarchie certo saranno

abolite a cominciare da quelle paroline. delle maiuscole è fatto divieto stretto

solo minuscola suona la parola.

io a dire il vero non la penso esattamente come lei. i maschi è vero fanno

schifo ma a eliminarli dal creato ce ne passa. mi è sufficiente limitarli ridurre

la gittata del loro sacro pene per impedirgli di fare altre cazzate. e mi

accontento di temperare la lingua fissando regole meno brute di grammatica.

non mi piace che l'utero sia maschile è un'ingiustizia assurda e va lavata. né

voglio più che la somma dei maschi e delle femmine negli aggettivi faccia

sempre maschile. la somma la cambio al femminile se le donne di più sono

viceversa con il maschile ma certo è che se maschio e femmina stanno

assieme non ci dovrà più stare frase senza attributo o articolo al femminile.

anche per i verbi molto si può fare.

care tutti è un modo di dire che sembra una bestemmia dello stile ma a

sentirlo pronunciare s'ode un'estetica alla quale le mie genitori, ma anche i

miei amiche e le mie conoscenti si dovranno abituare.





Giorgio Mascitelli





Note in margine al manifesto più breve del mondo





Alcuni anni or sono mi capitò di redigere un manifesto letterario che per la

sua brevità chiamai il manifesto più breve del mondo ( sono sempre stato

pigro ) e in effetti si componeva di un solo punto che suona così:

1. Oggi una Monna Lisa cyberpunk è più bella di un automobile lanciato

in folle corsa che è più bello di una Vittoria di Samotracia che è più

bella di una Monna Lisa cyberpunk. E puoi capire che il gioco va avanti

sempre così.

Come si può notare facilmente, il manifesto più breve del mondo è

caratterizzato da una certa improntitudine semigoliardica al pari della

situazione in cui fu ideato. Eppure, se si analizza la situazione estetica attuale

dal punto di vista dei valori estetici novecenteschi, possiamo affermare che

esso descriva il presente in maniera ineccepibile. Questa sottospecie di morra

cinese nella quale tutti i valori sono indifferenziati e in fondo niente prevale

su niente è in un certo senso la trascrizione fedele, per quanto goliardica,

dell’assoluta libertà espressiva e comunicativa dell’ Occidente attuale ( in

termini naturalmente di estetiche prescrittive).

E’ chiaro che l’indifferenziata tolleranza produce un effetto di non senso,

soprattutto se si pensa che il Novecento, e tutto sommato anche l’Ottocento,

è stato contrassegnato da aspre battaglie di poetica ed è chiaro che questo

stato di cose, senza volere con ciò idealizzare una situazione che produceva

spesso preconcetti alle soglie del fanatismo e talvolta dell’idiozia, contribuiva

a determinare un orizzonte di significato collettivo che valeva non solo per gli

artisti impegnati dentro queste battaglie di poetica, ma anche per i refrattari,

gli individualisti e i disertori di ogni credo poetico in nome della libertà

d’artista ( perché, si converrà, fare l’individualista laddove regnano idee

collettive ha un senso, che non ha nell’esserlo quando tutti sono, volenti o

nolenti, individualisti). Non è però utile spiegare il non senso che nasce da

questo indifferenziato in termini di nichilismo postmoderno: non che sia

sbagliato, ma non è la prospettiva più interessante. Si può leggere più

utilmente questo effetto di non senso come il segno dell’imporsi di un nuovo

ordine di vedere le cose che vanifica le contrapposizioni precedenti: laddove

una poetica vale l’altra per le istituzioni della cultura, significa che ciò che

conta per la società non è più il modello o l’idea dell’arte.

Il valore della produzione estetica, cioè, non sta più nel veicolare

simbolicamente nella forma o nei contenuti determinati immagini o valori a

vario titolo importanti per la cultura o per la società, ma sta nel suo

accreditarsi pienamente come merce e dunque nella completa uniformazione

alle leggi che determinano il resto degli ambiti sociali ossia quelle di mercato.

Mi è capitato di chiamare estetica del profitto questo nuovo stato di cose,

intendendo con questa espressione l’idea, diffusa tra il pubblico, anche se

ancora priva di una formulazione organica e accattivante dal punto di vista

teorico, che la bellezza di un’opera coincida con il suo successo commerciale.

Si tratta di un’idea veicolata dalle forme di classifica di vendita e poi da tutte

le altre classifiche di merito che popolano la nostra quotidianità mediatica.

Questo pensare per top ten produce progressivamente un’attenuazione

dell’idea estetica in passato corrente basata sull’estetica dell’originalità di

origine romantica, che è quella che spingeva a redigere nuovi manifesti per

nuove poetiche: così l’opposizione tra successo commerciale e successo

artistico per la gran parte del pubblico colto sparirà.

Negli ottanta alcuni scrittori di valore salutarono la fine del clima degli anni

settanta, caratterizzato anche nella letteratura da poetiche di impegno politico

e di sperimentalismo, come un trionfo della libertà dell’autore e del lettore.

Avevano in un certo senso ragione, solo che le libertà che trionfavano erano

quelle dei grandi operatori di mercato e dei loro clienti.

Una delle prove più eloquenti di questo genere di trionfo è la totale

marginalità nel discorso ufficiale della poesia, che sussiste nella memoria

collettiva tutt’al più come ricordo scolastico. Del resto è ovvio che, in

un’epoca determinata dall’estetica del profitto in maniera molto più profonda

di quanto il residuo dibattito culturale registri, un genere così poco

commerciabile sia, per così dire, in una situazione di perenne mobilità in

uscita.

Ora sto per affermare che paradossalmente questa situazione comporta

anche dei vantaggi per la poesia e per i poeti, ma temo che questa mia tesi

venga scambiata per un discorso del tipo “tutto sommato è meglio così”.

Evidentemente non è un bene che la poesia sia così emarginata, ma visto che

la stato dei fatti è questo, è meglio esaminarlo con attenzione e cercare di fare

di necessità virtù. Il fatto che la poesia sia una merce così scadente dal punto

di vista del mercato e che i suoi artefici siano figure paragonabili agli esodati

o a quelli in mobilità lunga, cioè siano figure ormai superflue per il processo

di produzione del valore aggiunto, è disastroso per l’immagine sociale del

poeta e della poesia, ma nel contempo crea alcuni spazi impregiudicati di

manovra.

Infatti tutta la produzione artistica e culturale in una società dominata

dall’estetica del profitto paga un pesante tributo a quel non senso montante a

cui mi riferivo sopra. Anche un film o un romanzo o un’installazione

pregnanti nel significato, innovativi nel linguaggio e critici rispetto alla realtà

presente perdono un parte di significato in un processo di pubblicizzazione

che usa canali di diffusione fatti per le merci: anche opere piene di senso

rischiano di risultare la voce di colui che grida nel deserto delle merci. Il

paradosso della poesia è che la sua marginalità è così accresciuta che anche i

suoi canali di diffusione sono al di fuori di qualsiasi commercializzazione e

dunque sono protetti da questa deriva di non senso.

Insomma potrebbe succedere che alcuni canali artigianali di circolazione

della poesia vengano visti a un certo punto da una parte del pubblico come i

luoghi di verità perché solo lì circolano quelle domande sul senso, che sono

alla base dell’esperienza artistica. Per rendere realizzabile un’ipotesi del

genere occorre, però, che la poesia accetti a pieno il proprio status di paria

sociale e non cerchi di nasconderlo tramite giochi di prestigio mediatici o

accademici. Ogni parola di verità o di senso, se si preferisce, può venire

soltanto da chi non si fa illusioni circa la propria condizione ( sociale, perché

su altre condizioni personali bisogna ammettere che può essere più

complicato smettere di nutrire illusioni su di sé).

Nella società attuale il vecchio proverbio medievale


homo sine pecunia imago





mortis



rappresenta la mentalità dominante amplificata dall’apparato mediatico





con l’aggravante che oggi ai tabù dei discorsi sul sesso si è sostituito quello

dei discorsi sulla morte. E nel suo biglietto da visita ogni poeta, in quanto

poeta, porta scritto questo proverbio. E’ da qui che la poesia può cominciare

a parlare in maniera sensata lontano dal non senso dell’estetica del profitto;

poi naturalmente servono belle poesie, ma questo mi sembra superfluo

aggiungerlo.





Livio Borriello & Gabriella Giordano





je ne pourrai jamais envoyer l'amour par la fenetre







la poesia è un debito





i poeti in genere non buttano l’amore dalla finestra, ma hanno una certa

tendenza a buttare la poesia dalla finestra.

c’era un poeta che guardava le nuvole, mentre la sua amante creola gli urlava

di mangiare la sua minestra. in alternativa alla minestra il poeta sceglie in

genere la finestra. ma quasi mai butta anche l’amante dalla finestra. il poeta si

tiene l’amore in casa e butta la poesia dalla finestra.

l’amore resta a casa, la minestra va nel corpo, la poesia si butta dalla finestra.

la poesia torna al mondo, attraverso la finestra.

la poesia nasce dall’inoperosità e produce altra inoperosità. la poesia comincia

davanti alla finestra, e finisce fuori dalla finestra.

la poesia delimitando dice quel che esclude. dalla finestra della poesia, non si

vede nessun paesaggio, ma si vede l’esistere del paesaggio, il paesaggio che

esiste.

non bisogna buttare l’amore dalla finestra, perché l’amore si deve avere. senza

l’amore, il poeta non avrebbe materiale defenestrabile. non conviene

nemmeno buttare la minestra dalla finestra, perché quella minestra è il futuro

corpo del poeta. la poesia è invece un de-habere. la poesia è un debito. la poesia si deve al mondo.





Beppe Sebaste





Come scrivo i miei quadri





(…)

le cose e le ombre – i colori le stelle i fiori le forme tutto –

sono inseparabili da tracce, segni

scrittura che non sarà mai letta, o mai letta interamente

che anzi deve rimanere illeggibile

salvo essere


vista come pura lingua





lingua che attesta se stessa

significanti che testimoniano l’umano tempo e fare

che si protendono e s’offrono a una trascendenza

(


trans, scando)





che dia loro significato

– solo in questo processo che è un cammino

ascesa e attraversamento, un lento trascendere

una sempre rinviabile epifania

quei segni diventano





parole -





pura lingua il cui essere e senso è nell’offrire

offrirsi all’istante miracoloso in cui

il segno denudandosi nel suo apparire

si espone e diventa significato





Dire



che si veste di ciò che lo denuda





e si invera nella





Lode (preghiera



)





Dare e darsi

in colore, segno, scrittura

come la formica che si arrampica

sul monte lentamente

(virgola),

lentamente

la formica che si arrampica

sul vulcano dell’haiku

che non è mai

spento







Cocina Clandestina

Effeffe & Marco Fedele





Manginfesto





Biagio Cepollaro





Io (mee) manifesto





Compagnia dei lettori d’Assalto

Nikolina Silla & Emanuele Buganza





RéAction poètique





Enzo Campi





Video performance





Francesca Genti





Poesia Manifesto





Paolo Gentiluomo





Manifesto Poesia





Massimo Rizzante





Io (non) manifesto



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