’nzomme st’alba à Paris tene mènemo mènemo 1154 paroles différents pour le diciri. Et Naples aussi.
Zazà et tuti l’ati sturiellett, edizioni Anthelme
zazà è ciò che
non si sa – non si sa dove.
una specie di godot
più umano, carnale, tenero e consistente – che non esiste non perché non
esista, ma perché pur esistendo è altrove, è eternamente e strutturalmente
introvabile.
francesco
ha inventato una specie di lingua, un forlanese, che ci porta in un luogo che non esiste, e che
tuttavia resta convenzionale e condiviso come deve essere una lingua, non è
quella contraddizione in termini che è una lingua privata. Il forlanese è un codice
da laboratorio come l’esperanto, cui in effetti somiglia, ma e-laborato nel
corpo (seppur di letterato), in vivo e non in vitro, e dunque in una condizione
sperimentalmente corretta. in questo non-luogo egli contamina, impasta, metabolizza: il francese, il napoletano, l’ispanico,
l’umbro arcaico di Iacopone e degli scongiuri cassinesi, il proto-italico del
notaro Adenolfo e i pastiches di Folengo,
lingua d’oc e lingua d’oil, forse
qualche rigurgito dell’estinto proto-nostratico del sapiens, e qualche segmento
alla deriva di polinesiano, amerindio o centro-africano. L’importante per lui è
negare il tempo e lo spazio, come fa nei suoi photoshoperò, video surreali, corrivi
e arlecchinali, in cui trapassando diversi livelli di linguaggio elabora una
sorta di percezione nuova, radicata nel corpo e non nelle culture e nelle loro
coordinate . Costruendo questa lingua pre-babelica, ubiqua, trans-etnica, Forlani
in effetti cerca un punto di coincidenza fra il suo corpo e il suo sogno, o il
suo non-corpo, il punto in cui il corpo
si dissolve, si scatena da spazio e tempo, e vaga angelicamente in un etere al
di sopra delle dogane.
Forlani
è un dissipatore, un dispositivo di dispendio che esiste in quanto si rilascia
e sperpera nel mondo. Forlani si produce nel mancare a se stesso, è quella cosa
che è dove prima sarebbe stato, e dove dopo era stato, perché non è mai quello
che è appena stato e che sta or ora per essere. E’ una migrazione continua, un
esiliarsi incessante, una sparizione perpetua, che come certi animali selvatici
è identificabile solo dalle tracce del passaggio, borre, escrementi, carcasse
delle vittime, impronte, ricordi annebbiati di chi l’ha visto, che però non sa
dire bene se si trattava di un gatto, una pantera fuggita dal serraglio di un
miliardario, lo yeti nemmeno tanto rasato, un’ipnagogia da sbronza, o il pezzo di un oggetto esploso che sarà poi
ritrovato nei paraggi. E’ il nomade perfetto, il girovago e saltimbanco. Si
firma spesso effeffe, e in questo senso l’ho chiamato talvolta
l’effeffervescente. Con termine moderno, è il performativo, o il processuale,
colui che si definisce in itinere. e così il codice che si è inventato.
ho letto di recente un suo racconto su NI, che ho trovato particolamente intrigante. non lo conosco abbastanza... ha un suo blog/sito non-spazio non-tempo virtuale in cui e-labora in etere condivisioni di pensiero? eniuei, direi che se possiede effe-ttivamente anche solo metà delle qualità che gli attribuisci è un uomo da sposare!!!
RispondiElimina: ))))
su ff puoi trovare varie notizie sul web, credo sia anche su FB... è un redattore storico di Nazione Indiana, il suo ultimo libro è Parigi senza passare dal via (con Laterza), oltreché scrittore 'è performer, video-maker, regista teatrale... e altro...
RispondiEliminaoi marò de l'arc!
RispondiEliminaeccolo! l'FF è apparso in carne ed ossa (quasi) nel mio blog...seppur con un'intervento incomprensibile... malos, hai la straordinaria possibilità di contattarlo!! per le donne: l'uomo da sposare non è ancora sposato...
RispondiElimina