venerdì 18 maggio 2018

Criptovalute, cripto anarchia, aletheia.

                       
 
L’origine del fenomeno delle criptovalute non è nel protocollo di Satoshi Nakamoto del 2008, ma in un articolo di Wei Dai di 10 anni anteriore, che delinea esattamente il progetto che Nakamoto realizzerà tecnicamente con la sua moneta elettronica, il bitcoin, ed anche quello della sua principale alternativa, ethereum, che definisce propriamente un contratto elettronico. E’ anzi dal mio punto di vista molto probabile che l'irreperibile e forse ricchissimo Sakamoto sia lo stesso Wei Dai. Troppe le coincidenze del progetto - a cominciare dal nome della valuta (b-money > bitcoin) - che secondo Wei Dai sarebbe stato reinventato autonomamente da Sakamoto. Esiste una scarna corrispondenza email che attesterebbe le dichiarazioni di Wei Dai, ma che certo per un ingegnere informatico non dovrebbe essere un problema aver artefatto. Ma soprattutto mi sembra estremamente improbabile e sospetta l’accanita minimizzazione dei propri meriti da parte di Wei Dai.
Se un geniale precursore non rivendica il primato di un’invenzione che sta cambiando il mondo, ha evidentemente qualcosa da nascondere e ipercompensare. Il movente è semplice: la stessa idea di una criptosocietà regolata da criptomonete e criptocontratti delineata nell’articolo non potrebbe essere realizzata perfettamente che in forma anonima, dunque Wei Dai per realizzarla aveva bisogno di criptare la sua identità.

Bitcoin, etherereum ed altcoin (ce ne sono ormai migliaia) hanno avuto finora (2018) solo un impiego limitato e distorto, quello speculativo, alimentando quella che è forse la più colossale bolla della storia della finanza. Con la prima transazione, regolata il 3 gennaio 2009, furono pagate 2 pizze con 10.000 bitcoin. Il valore di scambio della moneta era dunque di circa 0,0005 €. A dicembre scorso quel valore era arrivato a 20.000 €, dunque si era moltiplicato per 40 milioni. Chi avesse conservato anche 1 solo bitcoin da allora sarebbe ora ultra-milionario, e di fatto lo sono diventati molti ragazzini un po’ intraprendenti, o solo un po’ sconsiderati, oltre che numerosi speculatori più avvertiti.  La bolla scoppierà e si dissolverà in un nulla, o comunque si autolimiterà? A questo punto è difficile dirlo. Quel che è certo però è che il bitcoin non è solo quello, e che anzi originariamente, essenzialmente  e potenzialmente era ben altro.

La criptovaluta è denaro elettronico, non solo virtuale. E’ denaro dunque a cui corrisponde solo una sequenza di caratteri digitali, un hash, memorizzata su un server. Ma tutto il denaro, e anzi tutto il valore è virtuale e fiduciario. Solo il 10% del denaro attualmente circolante ha un suo equivalente in carta o moneta, ma la stessa carta ha come valore d'uso quello di incartare il pesce o scriverci, e l’oro non è più resistente del ferro o della pietra. Siamo noi che gli attribuiamo un valore.

La criptovaluta ha semplicemente definito in forma tecnologica, informatica, criptografica quello che è un principio costitutivo di ogni società, umana ma anche animale, e che potremmo definire il principio di convalidazione reciproca della realtà. Questo principio, che in forma embrionale troviamo naturalmente in Platone o Eraclito, è stato forse analizzato nella sua forma più radicale e seminale da Lacan ne “Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata” (Ecrits).  Nell’articolo Lacan dimostra che l’oggettività temporale dipende dal rigore, la precisione e la tempestività anticipante con cui ciascun essere umano la calcola. Inoltre il principio di intersoggettività, fa intendere Lacan qui e in altri punti della sua opera, è quello che convalida la nostra stessa identità – non solo nel senso di riconoscibilità sociale, ma anche nel senso grammaticale e infine psicologico – e in ultima analisi è quello che convalida ciò che intendiamo per realtà. Un tavolo, un cielo è reale se ci accordiamo reciprocamente sulla sua esistenza, se conveniamo di suscitarlo dal possibile, dall’indeterminato, dal nebuloso che è l’esistente prima del linguaggio e la coscienza. E’ il nome, è la lingua che ritaglia il continuo e produce il discontinuo del reale.
L’ideologia cyberpunk della cripto anarchia traspone questo principio a livello dell’ordine normativo, attraverso lo smart contract e la criptomoneta, e realizza questo progetto attraverso 2 strumenti tecnici, la blockchain e l’algoritmo criptografico (quello prevalentemente utilizzato è attualmente lo sha-256).

La blockchain è la grande, vera innovazione che sta alla base della criptovaluta. Si tratta in sintesi di un registro pubblico decentralizzato. Ogni transazione, finanziaria o contrattuale in senso lato, è registrata in quello che è essenzialmente un file globale,  un database accessibile da ogni punto della world wide web, e quindi verificabile da chiunque, in cui è contenuta la sequenza di tutte le transazioni. Ogni transazione – ogni contratto sociale – consiste in una sequenza alfanumerica (una riga del file) che contiene: la firma (nella forma crittografata e quindi anonima dell’hash) dei 2 negoziatori, i termini e le condizioni dell’accordo che contraggono (ad esempio il passaggio di un bene, materiale o immateriale, o una votazione, o magari uno scambio sessuale come il contratto matrimoniale), una marca temporale, e le firme (gli hash) della transazione che l’ha preceduta e di quella che la seguirà (convalidandola). Attraverso questo meccanismo di incastro ogni anello della catena è indissolubilmente legato all’altro e all’intera sequenza. L’accumulo rende la catena immodificabile e indelebile, perché i costi di un’eventuale manomissione del file diventano progressivamente maggiori di ogni possibile vantaggio delittuoso. Nello stesso tempo il registro è decentralizzato, perché a convalidare la transazione è questo meccanismo e non un ente terzo centrale, quale potrebbe essere la banca, l’archivio notarile o il governo centrale.

La blockchain è una vera e propria “invenzione”,  una scoperta tecnologica che viene studiata da matematici e informatici (non solo nelle università e nelle istituzioni finanziarie) per individuarne i possibili impieghi sociali, e che costituisce il cuore della criptovaluta e lo smart contract. In tal senso il suo contenuto tecnologico garantisce che l’esplosione della criptovaluta non è solo una “bolla”, ma in parte il riconoscimento di un valore reale. Questo aspetto forse non è stato compreso a fondo dai numerosi critici della criptovaluta, fra cui il finanziere più ricco del mondo, Warren Buffett, e il pur lungimirante Bill Gates, progenitore di tutto il possibile internettiano, che la hanno definita una trappola per topi. La criptovaluta è “anche” una bolla e una trappola per topi, ma non solo.

Certamente è un colossale contenitore, un trasparente significatore delle più vertiginose  contraddizioni del mondo contemporaneo... sogno di giustizia, e poi veicolo di rovinosa e tracotante follia finanziaria, di sperequazione esponenziale, di gregarismo fuori controllo... non so se la critpovaluta è il futuro o è la barbarie tecnicamente equipaggiata profetizzata da Debord.

Nel progetto cripto-anarchico di Wei Dai, b-money e smart-contract erano il proiettile intelligente e chirurgico che avrebbe giustiziato il Leviatano, lo Stato centrale con le sue imposizioni dispotiche e vessatorie, la sua logica disumanizzata, la sua iperproliferazione burocratica, e il sistema bancario, strumento di ogni imperialismo economico  – attraverso la rottura del legame fra soggetto di linguaggio e corpo. Nel criptomondo di Wei Dai il governo “non è temporaneamente distrutto, ma è permanentemente vietato e permanentemente inutile”, perché i rapporti sociali sono istituiti fra soggetti anonimi, e regolati dai meccanismi automatici che ci mette a disposizione la tecnologia cibernetica. Il governo è vietato e inutile, la legge è paradossalmente vietata, perché al controllo dello stato si sostituisce un’inferenza logica, un effetto sintattico, l’automatismo necessario di uno script - l’ “If this, than that” dello smart contract. Cosa si sta realizzando di tutto questo, posto che realizzarlo sia possibile?  Innanzitutto la moneta elettronica non ha prodotto per ora nulla, sono pochissimi i venditori che la accettano e persino gli acquirenti che la propongono, soprattutto per la sua alta volatilità, che ne vanifica la funzione di scambio. Nemmeno l’oro e i diamanti sono usati come mezzo di scambio, ma funzionano come riserva di valore. Valgono la loro rarità e il costo della loro faticosa ricerca e estrazione. Bisogna però pensare che queste materie posseggono in sé una valenza simbolica, e cioè linguistica. Il diamante ad esempio è il minerale più duro e più luminoso, e rappresenta in quella architettura amorfa e ramificata di simboli che costituisce lo psichismo umano qualcosa come l’inserzione dell’immateriale nella materia, l’esplosione della luce vitale e informativa nella pesantezza della materia - dal che deriva la sua fascinazione.  L’ichnusite è più rara del diamante ma non rappresenta niente. Il bitcoin non ha per ora né un uso linguistico né economico. Ha prodotto consumo, l’immane quantità di energia (annualmente equivalente al consumo energetico del Marocco) necessaria ai miners per la sua validazione elettronica. E’ una macchina a prodotto negativo, un dissipatore energetico, come una Ferrari che stia ferma ma consumi spropositamente, e sia quotata proprio per la potenza espressa dal suo consumo – o forse come un’arma. In questo senso è sperabile, e probabile, che sia gradualmente sostituito da altre altcoin con tecnologie meno dispendiose. Innanzitutto ethereum (che ha in progetto di virare dall’antieconomica proof ok work alla proof ok stake), o iota, che si basa sulla blockchain sparpagliata del tangle, o altri progetti minori improntati a una visione e un uso responsabile della criptovaluta, come faircoin, wepower o l’algorand dell’italiano Silvio Micali. Il suo costo invalida anche la sua funzione. Di fatto il bitcoin è decentrato sintatticamente, ma computazionalmente è in mano per il 70% a pool di miners cinesi che grazie alla maggior potenza di calcolo delle loro stazioni informatiche riescono a controllare tutti i processi di validazione. Potrebbero decidere da un istante all’altro che il bitcoin torni a valere 0,0005 €, ed esso da un istante all’altro tornerebbe a valere questa cifra insignificante. Potrebbero decidere forse, chissà, che per contratto cibernetico e dunque inesorabile la città di Milano deve esplodere. Nel criptomondo il nome non è legato al corpo e alla localizzazione – alla posizione fisica. I ranghi gerarchici non vengono più definiti in base alla potenza muscolare (alla forza, come nei sistemi sociali arcaici) o a quella spaziale (le terre possedute, i beni posseduti, il capitale come nel sistema borghese e imperialista) ma dalla potenza di calcolo della CPU, del processore informatico. Il taglio fra soggetto e corpo ha solo spostato la sede del potere dal corpo alla macchina.

Difficile che una macchina ci renda liberi. Difficile che una protesi del corpo, più fredda e meno molle del corpo, ci renda liberi. Difficile la libertà, d’altronde.

wei dai - b-money
satoshi nakamoto - white paper
 

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