domenica 28 gennaio 2018

agenti del caos - il 77

Agenti del caos è una manifestazione organizzata da Gabriele Perretta e Ivan Fassio, che si tiene a Bologna il 2 e il 3 febbraio 2018 (io ci sarò il 3). E' un tributo a Stratos e Freak Antoni, ma sostanzialmente un tributo al '77 e al suo significato politico. Ho buttato giù di getto queste "scritte" dopo aver parlato a telefono con Gabriele di quegli anni.



Scritte sulle pagine
 

Il 77 è stato innanzitutto esperienza. L’ultima reale esperienza/esperimento politico, nel senso che è stato l’ultimo ad avere una consistenza semantica, l’ultimo alle cui prassi, ai cui discorsi corrispondessero dei corpi reali. Dopo il 77, è cominciata una lunga rappresentazione del 77.
L’ultimo momento politico dell’inoperosità e dell’improduttività, in cui la parola crescita era bandita, l’ultima età mitica in cui l’oggetto non era ancora un feticcio di consumo, in cui il collettivo, la coscienza collettiva, era un’entità reale, in cui ciascuno trasfondeva un po’ del suo sangue. Dopo, queste cose si sono continuate a dire, e a volte anche a gridare nelle piazze, ma col cellulare nella tasca e il pensiero alla trasmissione tv, l’articolo del venerdì di repubblica o la pagina facebook in cui sarebbero state raccontate.

Il 77 è stato selvatico, selvaggio, barbarico.
Gli hippy e i beat degli anni ’60 erano naturisti, ma in un senso pastorale e millenarista, il 68 è stato anti-borghese, ma nello spazio borghese della città, il 77 è stato selvaggio e dionisiaco. Gli autonomi e gli indiani metropolitani che invadevano le piazze ululando, i re nudi e i corpi nudi a Castelporziano e a Parco Lambro, le pistole delle sue frange violente, Zanardi e Rankxerox, le scritte sui muri, le radio libere, il vino e la canapa, la musica ribelle, gli zingari felici, gioia e rivoluzione e il mitra contrabbasso... ma in generale tutto era lussureggiante e fiorente, le parole, le pulsioni, i gesti sociali, tutto era in iperproliferazione, perché l’ideologia, o solo l’idea, del 77 era libertaria, indeterminista e euforica – ed è nella libertà assoluta che lo slancio vitale sviluppa la sua massima energia. Agenti del caos, come scrive Perretta.
Tutto in iperproliferazione, ma anche tutto in contrapposizione, tutto in lotta.  Il 77 fu una colluttazione col “sistema”, con le regole e con i limiti, con la precauzione e con la misura, con la vecchia politica, che era ancora il perimetro e l’asse polare del 68, e forse ahimè anche con Marx, e con l’avanzante rampantismo. Fu infine una colluttazione con la lingua, una colluttazione impossibile, perché nell'umano è sempre il linguaggio a vincere. Nudi verso la follia, si chiamava un video un po’ ingenuo su Parco Lambro, nudi verso la dismisura. In tal senso, fu anche una colluttazione con l’invisibile, in quanto tensione creativa a un mondo nuovo possibile.  

Indico nella bibliografia del 77 alcuni eventi o scritture, 7 eventi e scritture, che non hanno con esso un rapporto sincronico.

Hurlements en faveur de Sade, di Guy Debord, di 15 anni precedente, il bianco e il nero, l’azzeramento.

Corpus di Jean Luc Nancy, di 15 anni posteriore (1993). Il 77 sono i corpi che avanzano, che rivendicano, che si espongono, che hanno fame e sete.

La morte di Pasolini e il delitto Moro, novembre 75 e maggio 78. La morte del poeta, e quella del re. 2 morti per ideologia, quella fascista e quella comunista, si potrebbe dire, ma in realtà, al di là delle ideologie, Pasolini  morì per un intreccio e concomitanza di cause, che furono soprattutto erotiche, ma infine eroiche. Da poeta-eroe Pasolini morì gridando : mamma, mamma, come Lorca morì piangendo come un bambino. Moro morì nello stesso modo, piagnucolando con Zaccagnini e Andreotti, ma fu un anti-eroe. La differenza è nel fatto che Moro per morire (o per Mor-ire, per essere se stesso) dovette rinnegare la sua ideologia, quella dello Stato, e Pasolini dovette confermarla, domandandosi che madri avevano avuto i suoi assassini. Cordelli riassume il senso dei 2 delitti raffrontando la foto di Moro nel bagagliaio della Renault alla deposizione di Carmignano del Pontormo. La foto di Moro, come quella di Pasolini dilaniato dalle gomme della sua Giulietta, rimanda solo a se stessa. E’ immagine del potere del potere. Nella deposizione di Carmignano, il cadavere di Cristo non è più un cadavere, perché il suo corpo proprio è raccolto, accolto, avvolto dalle donne. Quel cadavere era sorretto da un sistema di valori condiviso. E’ forse quel sistema di valori che dobbiamo ricostituire, ed è contro quel potere del potere che si era mosso il 77. 

Un poemetto di Baudelaire, Enivrez-vous: Bisogna essere sempre ubriachi. Tutto è in questo...di vino, di poesia o di virtù ... a vostra scelta.

Il festival di Castelporziano, il cui senso, valore e potere germinativo non è stato compreso nemmeno dagli organizzatori, come Cordelli stesso. Il festival fu un epico disastro, dis-aster, culminato e simbolizzato dal crollo finale del palco. Ma fu un disastro dovuto a esuberanza e lungimiranza. La distruttività di Castelporziano aveva una radice etica. La poesia che fu contestata, la poesia a cui fu sostituito il minestrone, era la poesia come letteratura, da un lato, e la poesia agonistica, la poesia gloriosa, dall’altro. La poesia che vinse invece fu la poesia 77ina e situazionista, la poesia come “testo globale”, espressione vitale, e in ultima analisi scrittura biologica, parola, fenomeno della nostra essenza di linguaggio. Chi fece poesia e politica a Castelporziano furono i minestrones, e non i poeti. Quale frase o anche pensiero dei funzionari della poesia contestati allora, in gran parte poeti da salotto o da camera romani, sono oggi ricordati, sono entrati a far parte delle nostre vite? Se Ginsberg e i blues-rap dell’ignoto LeRoy Jones o la ragazza-cioè (e cioè Paoletta, infermiera di Avellino), furono applauditi, non fu perché erano divi americani, ma perché esprimevano una poesia vivente, situata, biologica. Il modello del pubblico era Woodstock, non i salotti romani. Il pubblico letterario italiano, quello che la legge filtrata sul Venerdì di Repubblica, ancora parla alla salma di quella poesia di letterati per letterati.   


Il piacere del testo, di Barthes, del 1973. Il piacere è di destra, è sempre stato considerato un valore della destra, come faceva notare B. Bertolucci. La prima grande invenzione socio politica del 77, che lo ha differenziato rispetto all’austero e ortodosso 68, è che se il piacere è di destra, il godimento è di sinistra. E dunque la fantasia, l’eccesso, il dispendio.
Infine, i quadri di Van Gogh, i loro colori esplosivi, violenti e psichedelici – attualizzati negli abbigliamenti etnici e multicolori, nei fumetti, nella riscoperta cromatica della transavanguardia.
 

Van Gogh, il suicidato dalla società secondo Artaud... perché il 77 è anche un grande suicidato, suicidato per congestione, per iperemia, per overdose, o suicidato dagli anni ’80, forse dalla tv e la tecnologia, certamente dai suoi errori, i suoi eccessi e le sue degenerazioni, dal terrorismo alla new age, agli antiautoritarismi sistematici e ingenui, agli starnazzamenti tecnologici sulla rete, come pure dall’incomprensione della sinistra di potere che non ha saputo metabolizzarlo, oltre che, più scontatamente e palesemente, dai nuovi miti produttivistici, consumisti, auxologici, edonisti (ma incapaci del godere operaio che ne fu uno slogan), populistici e leaderistici. Le risate del 77 non sono riuscite a seppellire il potere, ma la retorica del potere e della stessa sinistra, gli oggetti e la plastica, il marketing  generalizzato, l’elettrificazione e la conseguente moltiplicazione esponenziale del segno che ne hanno azzerato il tempo di decodifica, sono riusciti a seppellire il 77.     
 

Io credo però che se non si rigenera questo morto, nessuna sinistra, o metasinistra che non distingua più fra destra e sinistra, può avere le gambe per andare avanti, perché è nel 77, non solo nei suoi epifenomemi  più estremi e caratteristici, ma nella sua temperie, nel complesso delle sue prassi, dei gesti politici, dei paradigmi mentali che dominavano in quegli anni, nel suo fervore e nella sua tensione, che si sono formati tutti i valori su cui ci sembra ancora possibile fondare una società più giusta e più vera – quelli in sostanza che hanno resistito alla disgregazione dei socialismi reali. L’ambientalismo e il ritorno alla terra, l’ecumenismo sociale, i diritti delle minoranze, l’idea di una politica partecipativa e anti-gerarchica, l’idea di decrescita felice, la lotta allo strapotere della finanza, la fantasia, l’immaginazione, la cultura come prassi politiche, gli attuali codici musicali, estetici, letterari, nati e comunque definitisi tutti in quegli anni, l’eticità contrapposta al formalismo e al legalismo, la giustizia sociale come risultato di questo insieme di processi evolutivi e non come imposizione di uno stato programmatore e autoritario. Senza che ce ne rendiamo bene conto, tutto quello che oggi diciamo, è stato detto per la prima volta nell’intorno cronologico del 77, e purtroppo tutto quello che facciamo, tutto il sistema valoriale che di fatto abbiamo metabolizzato nelle nostre pratiche sociali, è nato col craxismo, il reganismo, il berlusconismo degli anni 80, e cioè dal suicidio del 77. Viviamo attualmente in uno stato di schizofrenia permanente fra valori rappresentati, la libertà, i diritti, la giustizia, e valori praticati, che sono quelli del successo, del denaro e del piacere senza godere.  Il 77 non è riuscito purtroppo a scongiurare il processo che temeva, la sostituzione dei vecchi criteri gerarchici detti borghesi con nuovi criteri altrettanto gerarchici.
 

I numeri non tornano indietro, e il 77 è stato conteggiato 41 anni fa, quasi 2 generazioni fa. Ma forse questo era il tempo necessario per accorgersi della consistenza di quei valori, per verificarli.
Noi non dobbiamo necessariamente rivendicare l’attualità del 77. Ma dobbiamo avere una coscienza storica di quel che ha rappresentato in un senso che ci interessa o in un senso che non ci interessa più.


Forse la grande e feconda idea politica del 77, ancora tutta da esplorare e da praticare, è stata quella della politica come insurrezione percettiva, dell’insurrezione percettiva come atto politico. Rifondare il mondo nel proprio corpo, pensare un altro mondo possibile dopo aver costruito un altro individuo possibile. In questo senso, parlare del 77 e dei suoi “eroi” è un ritorno al futuro.


Io credo che noi ora ci troviamo in un a situazione di questo genere. Alcuni sentimenti radicali, che hanno poi prodotto alcuni principi, del 77, ad es. quello anti-gerarchico, appaiono inutilizzabili e inapplicabili. D’altra parte questi sentimenti e principi, a ben sentirli e a ben comprenderli, appaiono in realtà inevitabili, appaiono un’evoluzione necessaria di tutti i principi libertari e egualitari che hanno origine in Marx.  Devono essere una specie di nuovo punto all’infinito, di sfondo, di prassi impossibile che genera quelle possibili, di metafisica influente. Il 77 per me è ancora un nodo e uno snodo.



 


 

 

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