giovedì 31 luglio 2014

dove sta zazà – rivisitata da francesco forlani

Ce sta pure le reveil des employés de banque et de Bou­rse, into the second arrondissement, et l’opera Operà, ah les grands Boulevà, et curre curre guagliò, curre curre toulemòn qui parait qui dansent de la boca du metrò jusqu’au burò. Le soleil naissant le trouve aussi à la Porte a Paris qui est terre d’orient et d’Italie, trei­ze arrò qui porte fortuna lo nummero, et treize pè nu loto loto gagnant. Ce sta n’artro quartè pe se reveiller en tuta calma et mesura, ma tene lo nummero skara­mantique et tique que te pasa la poisse et alors de sfik nun se ne parle aqui. Et putisse fa d’autres exemples de lumina luminà pour gnuno des 20 arrondissements, trane uno d’arrò, quartè après quarté, et pour chaque quartè demonstrari que lo istisse nun l’est manko de poncto à poncto du quarté, et que financo de maison à maison, de casa à la case la chose la istissa nun l’est, nun se sumilia pennient, et financo sur le palier, de pianirottoli à pianirottoli, ça change et parfois de cam­mira à cammira, de leto à leto, comme li cristiani quoi.
’nzomme st’alba à Paris tene mènemo mènemo 1154 paroles différents pour le diciri. Et Naples aussi.



                                                                                   Zazà et tuti l’ati sturiellett, edizioni Anthelme

zazà è ciò che non si sa – non si sa dove.
una specie di godot più umano, carnale, tenero e consistente – che non esiste non perché non esista, ma perché pur esistendo è altrove, è eternamente e strutturalmente introvabile.

a differenza di godot, è quasi come se esistesse, è prossimo all’esistere, ma esiste in un luogo irrimediabilmente sfalsato da quello in cui esistiamo noi, è sempre lì, a un centimetro di distanza, e per questo ancora più irraggiungibile, o comunque ancora più irreale e vagheggiabile. francesco forlani si diverte a dare tinte metafisiche alla canzoncina più ingenua, più disarmata, più innocente e lieve della storia canzonettistica, quella Dove sta Zazà che racconta un evento tanto insignificante quanto ricco di risonanze universali, una specie di apologo basico, di ur-apologo sull’ immaginario  e sull’assenza.
 
francesco ha inventato una specie di lingua, un forlanese,  che ci porta in un luogo che non esiste, e che tuttavia resta convenzionale e condiviso come deve essere una lingua, non è quella contraddizione in termini che è una lingua privata. Il forlanese è un codice da laboratorio come l’esperanto, cui in effetti somiglia, ma e-laborato nel corpo (seppur di letterato), in vivo e non in vitro, e dunque in una condizione sperimentalmente corretta. in questo non-luogo egli contamina, impasta, metabolizza:  il francese, il napoletano, l’ispanico, l’umbro arcaico di Iacopone e degli scongiuri cassinesi, il proto-italico del notaro Adenolfo  e i pastiches di Folengo, lingua d’oc e lingua d’oil,  forse qualche rigurgito dell’estinto proto-nostratico del sapiens, e qualche segmento alla deriva di polinesiano, amerindio o centro-africano. L’importante per lui è negare il tempo e lo spazio, come fa nei suoi photoshoperò, video surreali, corrivi e arlecchinali, in cui trapassando diversi livelli di linguaggio elabora una sorta di percezione nuova, radicata nel corpo e non nelle culture e nelle loro coordinate . Costruendo questa lingua pre-babelica, ubiqua, trans-etnica, Forlani in effetti cerca un punto di coincidenza fra il suo corpo e il suo sogno, o il suo non-corpo,  il punto in cui il corpo si dissolve, si scatena da spazio e tempo, e vaga angelicamente in un etere al di sopra delle dogane.

Forlani è un dissipatore, un dispositivo di dispendio che esiste in quanto si rilascia e sperpera nel mondo. Forlani si produce nel mancare a se stesso, è quella cosa che è dove prima sarebbe stato, e dove dopo era stato, perché non è mai quello che è appena stato e che sta or ora per essere. E’ una migrazione continua, un esiliarsi incessante, una sparizione perpetua, che come certi animali selvatici è identificabile solo dalle tracce del passaggio, borre, escrementi, carcasse delle vittime, impronte, ricordi annebbiati di chi l’ha visto, che però non sa dire bene se si trattava di un gatto, una pantera fuggita dal serraglio di un miliardario, lo yeti nemmeno tanto rasato, un’ipnagogia da sbronza,  o il pezzo di un oggetto esploso che sarà poi ritrovato nei paraggi. E’ il nomade perfetto, il girovago e saltimbanco. Si firma spesso effeffe, e in questo senso l’ho chiamato talvolta l’effeffervescente. Con termine moderno, è il performativo, o il processuale, colui che si definisce in itinere. e così il codice che si è inventato.



4 commenti:

  1. ho letto di recente un suo racconto su NI, che ho trovato particolamente intrigante. non lo conosco abbastanza... ha un suo blog/sito non-spazio non-tempo virtuale in cui e-labora in etere condivisioni di pensiero? eniuei, direi che se possiede effe-ttivamente anche solo metà delle qualità che gli attribuisci è un uomo da sposare!!!
    : ))))

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  2. su ff puoi trovare varie notizie sul web, credo sia anche su FB... è un redattore storico di Nazione Indiana, il suo ultimo libro è Parigi senza passare dal via (con Laterza), oltreché scrittore 'è performer, video-maker, regista teatrale... e altro...

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  3. eccolo! l'FF è apparso in carne ed ossa (quasi) nel mio blog...seppur con un'intervento incomprensibile... malos, hai la straordinaria possibilità di contattarlo!! per le donne: l'uomo da sposare non è ancora sposato...

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