il linguaggio è un suono del corpo. il significato si
produce nell’altro, nel momento in cui io, in quanto altro dell’altro, associo
quel suono ai suoi differenti atti. il suono dell’altro che mi colpisce è
diverso dal suono dell’altro che mi abbraccia (forse arghh… heeh…). l’io non
esiste che in opposizione all’altro, e per/con/dall’/nell’altro. l’io è il
corpo inghiottito dell’altro.
il non dicibile è detto, non può formularsi che dicendo. la tenebra iperluminosa di Pseudo-Dionigi,
o il silenzio di Proclo, sono ancora tracce, incisioni, scie, pieghe, direzioni nei neuroni, o nelle vibrazioni aeree, o nei campi di significato che ad essi corrispondono. ma anche la piena dell’emozione che definiamo flagrante, intraducibile, inesprimibile. esiste dunque questo centro irradiatore divino, in cui confidiamo… che ci fa balbettare… è forse in uno spessore del pensiero? in una saccatura o un crepaccio del linguaggio? è forse una pura velleità? se tutto è linguaggio, cos’è il linguaggio? o la voce?consideriamo una parola che non esiste… ad es. ploppetto. oppure un relitto fonetico o grafico, che so, fkd. o anche una parola poetica (che non significa mai il suo significato). o una preghiera, che è solo un suono performativo, un atto di adesione emotiva, e si riferisce a un’apofasia. qual è il punto d’applicazione dell’io a queste materie linguistiche, a queste propaggini del corpo? forse è cosmico, è pneumatico, è ierofantico. esiste, si produce, fluisce un fatto materico, e nel suo spessore, nelle sue interruzioni, nei suoi attriti si va a insediare un io. o è il contrario, sono allucinazioni, rappresentazioni di un io cosmico, di cui qualcuno genera una comprensione, che qualcuno viene a prendere?
le nuvole, il lato basso delle nuvole, che scorrono…. e
oltre il vetro una coscienza, una miscela di minerali e segni… cos’è questa
roba, dove sta, che uso ne fa dio…

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