domenica 3 febbraio 2019

Si dà il caso...

Estratto dal saggio in progress La scienza fabulosa


La coincidenza fra infinito e infinitesimo è stata già intuita da Cusano, e formulata nel concetto della coincidentia oppositorum; è stata già immaginata da Borges nell’Aleph, il punto occulto sotto il diciannovesimo scalino di una cantina, in cui si trovano “senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”; è stata già percepita dai mistici di molte epoche, fra i quali citiamo Lao Tzu (il Tao illimitato e limitato), e lo pseudo- Dionigi (la caligine e il nulla divini).

Tuttavia Cusano si limita ad affermare apoditticamente che in Dio non c’è opposizione e dunque il minimo coincide col massimo, e i pensatori e mistici citati non vanno oltre il racconto delle loro immaginazioni e percezioni.

Proviamo quindi a raccordare questo concetto, quest’immagine e questo sentimento-percezione alle conoscenze scientifiche di cui disponiamo nel 2019, e a darne una descrizione più argomentata.

Proprio nello scorso anno, la fisica sperimentale ha fatto sbalorditivi passi avanti nella verifica di un concetto teorizzato dalla quantistica, quello dell’azione non locale di orientamento degli spin atomici, e dunque del cosiddetto entanglement, legame a distanza fra particelle anche lontanissime. Questo legame, apparentemente magico, inspiegabile, strabiliante,  è stato verificato già a distanze di oltre 1200 km. Ricordiamo anche che i fisici stanno compiendo sperimentazioni sul teletrasporto quantistico, e hanno teorizzato l’esistenza di varchi spazio temporali, che permettano di viaggiare nel tempo o nello spazio, in ordini dimensionali inferiori a 10^ (-32) metri.

Ovviamente conviene essere cauti nel trarre conclusioni filosofiche da questi dati,
ma appare evidente che, al di sotto di una certa soglia percettiva, la realtà abbia comportamenti del tutto incompatibili col senso comune, e che vi agiscano forze che prescindono dalle distanze fisiche. R. Thom ci fa notare che un fotone molle, ovvero una particella dotata di un’energia infinitesima, in base al principio di Heisenberg, non essendo definibile e posizionabile, e non avendo dunque propriamente “un posto”, si deve considerare effettivamente esteso in tutto l’universo. Il fisico J.A.  Wheeler si avventura a congetturare che esista un unico elettrone, che galoppa avanti e indietro nello spazio tempo, e in tal modo tesse l’universo. La teoria delle stringhe va in qualche senso anche oltre, teorizzando il multiverso, ovvero una realtà costituita da una stratificazione di universi, alcuni dei quali potrebbero, ad esempio, avere uno spessore inferiore al millimetro. 

Queste immagini ci descrivono indubbiamente un universo in cui l’infinitamente piccolo coincide con l’infinitamente grande.

In che modo possiamo però collegare questi esperimenti, teorie e congetture molto astratte, riguardanti stati della materia molto spinti e ordini di dimensioni estremi, ottenuti negli enormi acceleratori del Cern o nelle profondità del Gran Sasso, e che approdano infine a risultati che potrebbero anche non riguardarci affatto - alla nostra vita quotidiana, e per quel che ci interessa, ai nostri comportamenti psichici – in che modo possiamo provare a rapportare tutto questo alla teoria astrologica?

In realtà l’intima continuità e solidarietà col cosmo la viviamo e constatiamo continuamente, non solo quando, per esistere biologicamente, convertiamo l’energia elettromagnetica proveniente da una sfera di fuoco situata a svariati milioni di km,  ma per esempio quando subiamo le forze inerziali che, secondo il principio di Mach, sono determinate dalla massa totale dell’universo che ci circonda. L’epistemologo e psico-biologo Raymond Ruyer (cit. in Landscheidt), ha riassunto nel modo più icastico questa interconnessione profonda: “ Ogni volta che il bus frena ed io faccio un capitombolo, si dimostra che non sono vincolato al veicolo, e nemmeno alla Terra, ma che sono una cosa sola con l’universo”. 

E così gli effetti quantistici li abbiamo continuamente sotto gli occhi, se una mela non si spappola è perché è tenuta insieme da forze nucleari e elettromagnetiche. C’è però un fenomeno del quotidiano, forse il più misterioso e il più inspiegato, il più profondo e vertiginoso, eternamente circoscritto, bordeggiato, circuito, ma mai compreso e dominato, che in un modo o nell’altro attiene ancora più profondamente al nostro discorso: il Caso. Se tiriamo una monetina, se tentiamo la vincita di un grattino, se leggiamo una statistica, noi stiamo probabilmente senza rendercene conto giocando colla quantistica, stiamo smuovendo i quanti sottesi alla realtà.

Tutto ciò non è ancora ben chiaro alla scienza, e forse non lo sarà mai, ma noi possiamo provare a analizzarlo con quegli strumenti speculativi invocati da Thom.

Cos’è il caso? Come il tempo, e l’araba fenice, tutti sanno che c’è, nessuno sa cos’è. Secondo i deterministi, un evento casuale è semplicemente il risultato di un effetto causale occulto, invisibile, una concatenazione avvenuta a un livello submicroscopico, presumibilmente al di sotto della lunghezza di Planck di 10^(-32) metri, o comunque a un ordine di grandezza talmente piccolo che il nostro apparato sensoriale non riesce a estrarne informazioni e predizioni. Secondo gli indeterministi, questo discorso non ha significato, perché al di sotto della lunghezza di Planck la realtà è irrimediabilmente inconoscibile, e quindi dal nostro punto di vista indeterminabile, casuale e acausale. Gli uni e gli altri ammettono la legge dei grandi numeri di Bernoulli, ma come una specie di regola magica, di prescrizione del fato. Secondo la scienza, dunque, in realtà la monetina potrebbe cadere 100 volte, o anche 1000, o anche per sempre, all’infinito, sullo stesso lato, anche se questa eventualità ha una bassissima probabilità – un infinitesimo, per un numero di lanci tendente all’infinito.

 

In effetti un tipo di affermazione del genere già semanticamente è contraddittoria, perché il verbo “potrebbe”, per di più declinato al probabilistico condizionale, già incorpora e prezza la probabilità.

Lo stesso senso del termine probabilità è contestato da Bruno De Finetti, che ci mette in guardia dall’oggettivarlo in qualsiasi modo. Certo, già Hume sapeva che non possiamo essere oggettivamente certi che il sole sorgerà domattina, e che il fatto che questo accada è solo una nostra aspettativa soggettiva. Tuttavia, se in base a questo ragionamento, acquistassimo un’enorme scorta di lampadine per il caso che il sole si fermi, saremmo pressoché degli imbecilli.  In realtà dunque le sorti del mondo sono rette da un altro ordine di leggi.

E’ proprio supponendo leggi di altro tipo, basate su constatazioni empiriche, che agli astrologi e ai maghi sembra allora che se la monetina sceglie di cadere da un lato piuttosto che da un altro, una causa seppur infinitesima – che sia il battito d’ali di una farfalla nel pacifico o il rapporto fra le infime scabrosità della sua superficie e di quella del piano su cui ricade – ci debba essere per forza. Il fatto stesso che alla monetina accada “sempre” di cadere,  in un verso o nell’altro – e questo è l’unico dato certo e scientifico, non magico - comprova che, andando a ritroso nella concatenazione causale, le forze in gioco a un certo punto si arrestano, trovano una consistenza. E’ in quel punto che si determina il risultato del lancio, ed è quel punto che possiamo chiamare causa. Questa causa ultima, ai fini della nostra dimostrazione, possiamo ammettere che agisca al di sotto della lunghezza di Planck, e non sia dunque registrabile dall’osservatore. Ma se è così, se questa causa esiste, perché essa non agisce sempre nello stesso modo, ma lo fa diciamo così equamente, in maniera tale che, di fatto,  una volta prevalgono le forze che fanno adagiare la moneta sul recto, una volta quelle contrarie? Perché le cause risultano distribuite secondo la legge umana dell’equità e la giustizia? E perché questa stabilità delle frequenze è osservabile non solo diacronicamente, ma anche sincronicamente, non solo sull’insieme di 1000 lanci successivi effettuati da uno stesso giocatore, ma anche su quello di 1000 lanci contemporanei, effettuati da 1000 giocatori posizionati ciascuno in un punto distante dell’universo e non ha dunque una validità locale, ma universale? (10) La spiegazione può essere una sola: perché la sostanza consistente ultima, quella che determina l’evento, è diffusa o distribuita in maniera omogenea, e cioè è una sostanza densa, è un continuo. La legge dei grandi numeri è il pullulare del continuo, l’addensarsi di cause continue che producono,  in maniera necessaria e determinata, effetti omogenei. L’equiprobabilità (del moto browniano e di qualsiasi altro fenomeno descritto dalla Legge dei grandi numeri) è la forma in cui al continuo accade di manifestarsi nel suo stato discontinuo, oppure, inversamente, la propensione a dissolversi nel continuo. Il mondo in tal senso consiste in una temporanea differenziazione dell’indifferenziato. Considerata in questi termini, l’opposizione determinismo/indeterminismo non ha senso: tutto è causalmente indeterminato, tutto è determinato, ma produce indeterminazione. La stabilità delle frequenze non è più quindi un dato empirico, ma l’effetto di una determinazione causale, che ha origine nel substrato del continuo soggiacente alla realtà osservabile.

Questo equivale a stabilire una priorità ontologica del continuo rispetto al discontinuo, secondo l’espressione di R. Thom, e ad affermare che il discontinuo quantistico può riguardare solo il penultimo strato del reale, quello osservabile. Al di sotto di questo ordine, il reale è ancora retto da leggi causali, ma non esiste nessuna causa distinta. La legge di Bernoulli dimostra che non esiste acausalità, ma solo una causalità indifferenziata.

Dire che non c’è causa distinta, potrebbe sostenere qualcuno, è lo stesso che dire che non c’è causa (almeno in senso assoluto), e non spiega perché se questa causalità è indistinta può determinare frequenze improbabili per le piccole serie. Si può rispondere all’una e l’altra obiezione osservando che un fenomeno casuale è comunque un fenomeno locale, che va considerato sotto questo aspetto.

Ma è un fenomeno locale e relativo originato da una causa non locale. La causa è dunque una, e agisce solidarmente, sincronicamente e, potremmo dire, olisticamente. Esiste una concatenazione , un dinamismo solidale della totalità, che fa sorgere il sole e che produce la distribuzione normale di testa croce, esiste una rispondenza cosmica che bilancia ogni evento del mondo. Ecco perché c’è una correlazione probabilistica fra un giocatore che lancia la moneta a Roma ed uno che la lancia sulla galassia M51. Ecco perché una particella può orientarsi nello stesso senso di un’altra situata a migliaia di km di distanza, forse a una distanza infinita.

Se il substrato profondo, primario, germinale del reale è un continuo, ogni evento si corrisponde a ogni altro evento, ogni evento si ripercuote, si riflette, si trasmette, ogni evento agisce sull’ultimo punto del pensabile, e fino all’ultimo istante dell’esistibile. Consideriamo allora in quest’ottica la sincronicità junghiana, la vaga asserzione che le coincidenze hanno un significato, ed essa assumerà un senso più preciso. Gli steli dell’achillea millefolium lanciati in aria dal consultante dell’ I ching si andranno a disporre necessariamente in un disegno che descriverà il suo stato d’animo, poiché ciascun punto del continuo in cui l’uno e l’altro sono immersi è in un rapporto di reciproca interazione (11). L’affastellamento di steli psichici che è uno stato d’animo corrisponde a quello degli steli dell’achillea, o delle monetine, perché la loro disposizione dipende da una casualità che è in realtà una causalità occulta, indifferenziata e solidale, ovvero perché al livello submicroscopico essa riflette la struttura globale (12). 

 

Per queste stesse ragioni può esistere una solidarietà e una sincronicità, e cioè possono esistere rapporti causali non locali,  fra singolarità distanti dell’universo, e potrebbe (qui ci occorrerebbe un tempo verbale ipercondizionale, se ci fosse!) esistere una corrispondenza, più o meno condizionata e specifica, più o meno necessaria,  fra la linea apparente tracciata da un pianeta, e il percorso che traccia con le sue scelte un essere umano. Dire, come suppone l’astrologia, che quelle scelte sono determinate da una fatalità, dal destino, significa semplicemente riportarle alla struttura soggiacente che in qualche modo le unifica, le avvolge, le correla. O in altri termini, significa dire che la casualità è sempre una causalità occulta, ma sincronica e solidale. Lo strato soggiacente, o la dimensione fisica, in cui sono determinate queste scelte, in cui è scritto il destino, è l’intercapedine di continuo indifferenziato fra l’assente e il presente, fra il nulla e l’ontico, fra quello che non accade e quello che (non) è osservabile. E’ pressappoco quello che intendeva Simone Weyl quando scriveva che nella scienza contemporanea riappare il caso, riappaiono gli dei, sotto forma di entità infinitamente piccole e immaginarie (13).

 

 

Nella prospettiva che abbiamo additato, il destino è la corrispondenza di ogni evento a ogni evento, il rapportarsi del tutto al tutto della concezione eraclitea - in cui tutti siamo guidati, senza saperlo, dalla sferza del dio. Se tutto è legato al tutto, tutto è già scritto, è già accaduto, il movimento del piccione, e il disporsi dei cocci di una bottiglia che cade, le campagne di Napoleone e i tentativi scientifici dell’uomo di decifrare la realtà.  La “difficile libertà” bergsoniana, il potenziale di scelta infinita di cui dispone la coscienza umana, è reale solo fino al pavimento della nostra psiche, solo dall’interno del nostro punto di vista psicologico, solo fino al punto in cui si discende nel regno del caso. All’interno dello spazio psichico, noi possiamo compiere l’atto folle della decisione, come lo definiva Kierkeegard. Ma tutto ciò che determina la nostra storia e il nostro contesto, la nostra biologia e le leggi causali che concatenano le nostre dinamiche psichiche, le proprietà geometriche e matematiche degli oggetti, fino all’ultima molecola del continuo sotteso, è già predeterminato. Dunque questa libertà è solo apparente, ma non per questo è meno reale. E’ formale, è pellicolare.

La nostra volontà può modificare gli eventi, può opporsi al destino. Cionondimeno, era già scritto che essa modificasse quegli eventi nel modo da noi voluto, prova ne sia che: quell’evento è già accaduto, se il tempo è essenzialmente un blocco unico, come ipotizzano Einstein e la teoria a loop; quell’evento si può ripercuotere a 1500 km di distanza o all’infinito, come mostra il fenomeno dell’entanglement, e dunque è saldato a ogni altro evento. Il paradosso è solo apparente, e questa consapevolezza non può indurci al fatalismo. Un paradosso simile è descritto nel film di Zemeckis, Ritorno al futuro. E’ vero che noi possiamo retrocedere nel tempo, ma ciò non potrebbe perturbare la realtà presente, perché proprio come il futuro e come quel passato a cui siamo regrediti, quella realtà è già accaduta, era tutta contenuta in un unico blocco atemporale. Nel film Marty, ritornato agli anni 50, agisce sulla realtà e dunque sul suo futuro, ma questo è effettivamente impossibile, perché è impossibile la regressione di un solo elemento del presente, e cioè solo dell’individuo  Marty. Sarebbe possibile solo la regressione di tutti i punti solidali della realtà con cui Marty è in rapporto, ma in questa realtà Marty non ci sarebbe, poiché a un certo punto sarebbe inghiottito dalla sua nascita.

 

Il Big bell test, un originale esperimento condotto nel 2016, per la prima volta introduce la casualità umana nella verifica di una teoria quantistica. Abbiamo detto che esistono 2 interpretazioni contrapposte dei fenomeni quantistici, quella non locale, che fa capo a Niels Bohr, secondo cui i fenomeni non sono preesistenti all’osservazione, ed essi vengono dunque prodotti dall’osservazione stessa, e quella di Einstein, detta del realismo locale, secondo cui essi sono prodotti da istruzioni nascoste (e non ancora individuate) che non possono viaggiare a velocità maggiore di quella della luce. La posizione di Einstein, notiamo, può essere riportata alla definizione di Wittgenstein, secondo cui la causalità è solo la forma di una legge, e dunque non può essere messa in discussione – o in altri termini che non sono possibili interazioni fra il reale non razionalizzabili (non causali). Un'altra formulazione dell’opposizione può essere questa: per Bohr è l’osservazione stessa che produce la misurazione, per Einstein e Wittgenstein, più radicalmente,  questa misurazione è prodotta invece dal pensiero logico stesso, e deve necessariamente corrispondere alle sue leggi. Il problema cui cerca di dare una risposta il test è questo: se l’osservazione produce la misurazione, essa corrisponderà necessariamente alle attese. Per avere una misurazione significativa, i criteri dell’osservazione dovranno essere prodotti con la massima casualità possibile. A questo scopo sono stati arruolati via web quasi 100.000 volontari che agendo col proprio libero arbitrio su un videogame hanno inviato ai misuratori istruzioni sufficientemente casuali. Il risultato è stato che i fenomeni quantistici dell’entanglement continuavano a verificarsi, e che dunque l’interpretazione di Bohr risulta corretta.

Azzardo l’ipotesi che i risultati di questo esperimento non contraddicano le tesi di Bohr, ma nemmeno quelle di Einstein. Essi confermano piuttosto l’intuizione di Jung, così come definita e sviluppata in questo scritto, e dimostrano che le particelle entangled come i bit casuali prodotti dai partecipanti sono semplicemente sincroniche. Sono esponente di uno stesso continuo solidale, all’interno del quale le informazioni non hanno bisogno di viaggiare, perché sono simultanee.

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