La coincidenza fra infinito e infinitesimo è stata già
intuita da Cusano, e formulata nel concetto della coincidentia oppositorum; è stata già immaginata da Borges
nell’Aleph, il punto occulto sotto il diciannovesimo scalino di una cantina, in
cui si trovano “senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti
gli angoli”; è stata già percepita dai mistici di molte epoche, fra i quali
citiamo Lao Tzu (il Tao illimitato e limitato), e lo pseudo- Dionigi (la
caligine e il nulla divini).
Tuttavia Cusano si limita ad affermare apoditticamente che
in Dio non c’è opposizione e dunque il minimo coincide col massimo, e i
pensatori e mistici citati non vanno oltre il racconto delle loro immaginazioni
e percezioni.
Proviamo quindi a raccordare questo concetto, quest’immagine
e questo sentimento-percezione alle conoscenze scientifiche di cui disponiamo nel
2019, e a darne una descrizione più argomentata.
Proprio nello scorso anno, la fisica sperimentale ha fatto
sbalorditivi passi avanti nella verifica di un concetto teorizzato dalla
quantistica, quello dell’azione non locale di orientamento degli spin atomici, e
dunque del cosiddetto entanglement, legame a distanza fra particelle anche
lontanissime. Questo legame, apparentemente magico, inspiegabile, strabiliante, è stato verificato già a distanze di oltre 1200
km. Ricordiamo anche che i fisici stanno compiendo sperimentazioni sul
teletrasporto quantistico, e hanno teorizzato l’esistenza di varchi spazio
temporali, che permettano di viaggiare nel tempo o nello spazio, in ordini
dimensionali inferiori a 10^ (-32) metri.
Ovviamente conviene essere cauti nel trarre conclusioni
filosofiche da questi dati,
ma appare evidente che, al di sotto di una certa soglia percettiva, la realtà abbia comportamenti del tutto incompatibili col senso comune, e che vi agiscano forze che prescindono dalle distanze fisiche. R. Thom ci fa notare che un fotone molle, ovvero una particella dotata di un’energia infinitesima, in base al principio di Heisenberg, non essendo definibile e posizionabile, e non avendo dunque propriamente “un posto”, si deve considerare effettivamente esteso in tutto l’universo. Il fisico J.A. Wheeler si avventura a congetturare che esista un unico elettrone, che galoppa avanti e indietro nello spazio tempo, e in tal modo tesse l’universo. La teoria delle stringhe va in qualche senso anche oltre, teorizzando il multiverso, ovvero una realtà costituita da una stratificazione di universi, alcuni dei quali potrebbero, ad esempio, avere uno spessore inferiore al millimetro.
ma appare evidente che, al di sotto di una certa soglia percettiva, la realtà abbia comportamenti del tutto incompatibili col senso comune, e che vi agiscano forze che prescindono dalle distanze fisiche. R. Thom ci fa notare che un fotone molle, ovvero una particella dotata di un’energia infinitesima, in base al principio di Heisenberg, non essendo definibile e posizionabile, e non avendo dunque propriamente “un posto”, si deve considerare effettivamente esteso in tutto l’universo. Il fisico J.A. Wheeler si avventura a congetturare che esista un unico elettrone, che galoppa avanti e indietro nello spazio tempo, e in tal modo tesse l’universo. La teoria delle stringhe va in qualche senso anche oltre, teorizzando il multiverso, ovvero una realtà costituita da una stratificazione di universi, alcuni dei quali potrebbero, ad esempio, avere uno spessore inferiore al millimetro.
Queste immagini ci
descrivono indubbiamente un universo in cui l’infinitamente piccolo coincide
con l’infinitamente grande.
In che modo possiamo però collegare questi esperimenti,
teorie e congetture molto astratte, riguardanti stati della materia molto
spinti e ordini di dimensioni estremi, ottenuti negli enormi acceleratori del
Cern o nelle profondità del Gran Sasso, e che approdano infine a risultati che
potrebbero anche non riguardarci affatto - alla nostra vita quotidiana, e per
quel che ci interessa, ai nostri comportamenti psichici – in che modo possiamo
provare a rapportare tutto questo alla teoria astrologica?
In realtà l’intima continuità e solidarietà col cosmo la
viviamo e constatiamo continuamente, non solo quando, per esistere
biologicamente, convertiamo l’energia elettromagnetica proveniente da una sfera
di fuoco situata a svariati milioni di km,
ma per esempio quando subiamo le forze inerziali che, secondo il
principio di Mach, sono determinate dalla massa totale dell’universo che ci
circonda. L’epistemologo e psico-biologo Raymond Ruyer (cit. in Landscheidt),
ha riassunto nel modo più icastico questa interconnessione profonda: “ Ogni
volta che il bus frena ed io faccio un capitombolo, si dimostra che non sono
vincolato al veicolo, e nemmeno alla Terra, ma che sono una cosa sola con
l’universo”.
E così gli effetti quantistici li abbiamo continuamente
sotto gli occhi, se una mela non si spappola è perché è tenuta insieme da forze
nucleari e elettromagnetiche. C’è però un fenomeno del quotidiano, forse il più
misterioso e il più inspiegato, il più profondo e vertiginoso, eternamente
circoscritto, bordeggiato, circuito, ma mai compreso e dominato, che in un modo
o nell’altro attiene ancora più profondamente al nostro discorso: il Caso. Se
tiriamo una monetina, se tentiamo la vincita di un grattino, se leggiamo una
statistica, noi stiamo probabilmente senza rendercene conto giocando colla
quantistica, stiamo smuovendo i quanti sottesi alla realtà.
Tutto ciò non è ancora ben chiaro alla scienza, e forse non
lo sarà mai, ma noi possiamo provare a analizzarlo con quegli strumenti
speculativi invocati da Thom.
Cos’è il caso? Come il tempo, e l’araba fenice, tutti sanno
che c’è, nessuno sa cos’è. Secondo i deterministi, un evento casuale è
semplicemente il risultato di un effetto causale occulto, invisibile, una concatenazione
avvenuta a un livello submicroscopico, presumibilmente al di sotto della
lunghezza di Planck di 10^(-32) metri, o comunque a un ordine di grandezza
talmente piccolo che il nostro apparato sensoriale non riesce a estrarne
informazioni e predizioni. Secondo gli indeterministi, questo discorso non ha
significato, perché al di sotto della lunghezza di Planck la realtà è
irrimediabilmente inconoscibile, e quindi dal nostro punto di vista
indeterminabile, casuale e acausale. Gli uni e gli altri ammettono la legge dei
grandi numeri di Bernoulli, ma come una specie di regola magica, di
prescrizione del fato. Secondo la scienza, dunque, in realtà la monetina
potrebbe cadere 100 volte, o anche 1000, o anche per sempre, all’infinito,
sullo stesso lato, anche se questa eventualità ha una bassissima probabilità –
un infinitesimo, per un numero di lanci tendente all’infinito.
In effetti un tipo di affermazione del genere già
semanticamente è contraddittoria, perché il verbo “potrebbe”, per di più
declinato al probabilistico condizionale, già incorpora e prezza la
probabilità.
Lo stesso senso del termine probabilità è contestato da Bruno De Finetti, che ci mette in
guardia dall’oggettivarlo in qualsiasi modo. Certo, già Hume sapeva che non
possiamo essere oggettivamente certi che il sole sorgerà domattina, e che il
fatto che questo accada è solo una nostra aspettativa soggettiva. Tuttavia, se
in base a questo ragionamento, acquistassimo un’enorme scorta di lampadine per
il caso che il sole si fermi, saremmo pressoché degli imbecilli. In realtà dunque le sorti del mondo sono
rette da un altro ordine di leggi.
E’ proprio supponendo leggi di altro tipo, basate su constatazioni
empiriche, che agli astrologi e ai maghi sembra allora che se la monetina
sceglie di cadere da un lato piuttosto che da un altro, una causa seppur
infinitesima – che sia il battito d’ali di una farfalla nel pacifico o il
rapporto fra le infime scabrosità della sua superficie e di quella del piano su
cui ricade – ci debba essere per forza. Il
fatto stesso che alla monetina accada “sempre” di cadere, in un verso o nell’altro – e questo è l’unico
dato certo e scientifico, non magico - comprova che, andando a ritroso nella
concatenazione causale, le forze in gioco a un certo punto si arrestano,
trovano una consistenza. E’ in quel
punto che si determina il risultato del lancio, ed è quel punto che possiamo
chiamare causa. Questa causa ultima, ai fini della nostra dimostrazione,
possiamo ammettere che agisca al di sotto della lunghezza di Planck, e non sia
dunque registrabile dall’osservatore. Ma se è così, se questa causa esiste,
perché essa non agisce sempre nello stesso modo, ma lo fa diciamo così
equamente, in maniera tale che, di fatto, una volta prevalgono le forze che fanno
adagiare la moneta sul recto, una volta quelle contrarie? Perché le cause
risultano distribuite secondo la legge umana dell’equità e la giustizia? E
perché questa stabilità delle frequenze è osservabile non solo diacronicamente,
ma anche sincronicamente, non solo sull’insieme di 1000 lanci successivi effettuati
da uno stesso giocatore, ma anche su quello di 1000 lanci contemporanei,
effettuati da 1000 giocatori posizionati ciascuno in un punto distante
dell’universo e non ha dunque una validità locale, ma universale? (10) La
spiegazione può essere una sola: perché la sostanza consistente ultima, quella
che determina l’evento, è diffusa o distribuita in maniera omogenea, e cioè è
una sostanza densa, è un continuo. La
legge dei grandi numeri è il pullulare del continuo, l’addensarsi di cause
continue che producono, in maniera
necessaria e determinata, effetti omogenei. L’equiprobabilità (del moto
browniano e di qualsiasi altro fenomeno descritto dalla Legge dei grandi
numeri) è la forma in cui al continuo accade di manifestarsi nel suo stato
discontinuo, oppure, inversamente, la propensione a dissolversi nel continuo.
Il mondo in tal senso consiste in una temporanea differenziazione dell’indifferenziato.
Considerata in questi termini, l’opposizione determinismo/indeterminismo non ha
senso: tutto è causalmente indeterminato, tutto è determinato, ma produce
indeterminazione. La stabilità delle frequenze non è più quindi un dato
empirico, ma l’effetto di una determinazione causale, che ha origine nel
substrato del continuo soggiacente alla realtà osservabile.
Questo equivale a stabilire una priorità ontologica del continuo rispetto al discontinuo, secondo
l’espressione di R. Thom, e ad affermare che il discontinuo quantistico può
riguardare solo il penultimo strato del reale, quello osservabile. Al di sotto
di questo ordine, il reale è ancora retto da leggi causali, ma non esiste
nessuna causa distinta. La legge di
Bernoulli dimostra che non esiste acausalità, ma solo una causalità
indifferenziata.
Dire che non c’è causa distinta, potrebbe sostenere
qualcuno, è lo stesso che dire che non c’è causa (almeno in senso assoluto), e
non spiega perché se questa causalità è indistinta può determinare frequenze
improbabili per le piccole serie. Si può rispondere all’una e l’altra obiezione
osservando che un fenomeno casuale è comunque un fenomeno locale, che va
considerato sotto questo aspetto.
Ma è un fenomeno locale e relativo originato da una causa
non locale. La causa è dunque una, e agisce solidarmente, sincronicamente e,
potremmo dire, olisticamente. Esiste una concatenazione , un dinamismo solidale
della totalità, che fa sorgere il sole e che produce la distribuzione normale
di testa croce, esiste una rispondenza cosmica che bilancia ogni evento del
mondo. Ecco perché c’è una correlazione probabilistica fra un giocatore che
lancia la moneta a Roma ed uno che la lancia sulla galassia M51. Ecco perché una
particella può orientarsi nello stesso senso di un’altra situata a migliaia di
km di distanza, forse a una distanza infinita.
Se il substrato profondo, primario, germinale del reale è un
continuo, ogni evento si corrisponde a ogni altro evento, ogni evento si
ripercuote, si riflette, si trasmette, ogni evento agisce sull’ultimo punto del
pensabile, e fino all’ultimo istante dell’esistibile. Consideriamo allora in
quest’ottica la sincronicità junghiana, la vaga asserzione che le coincidenze
hanno un significato, ed essa assumerà un senso più preciso. Gli steli
dell’achillea millefolium lanciati in aria dal consultante dell’ I ching si
andranno a disporre necessariamente in un disegno che descriverà il suo stato
d’animo, poiché ciascun punto del continuo in cui l’uno e l’altro sono immersi è
in un rapporto di reciproca interazione (11). L’affastellamento di steli
psichici che è uno stato d’animo corrisponde a quello degli steli
dell’achillea, o delle monetine, perché la loro disposizione dipende da una
casualità che è in realtà una causalità occulta, indifferenziata e solidale, ovvero
perché al livello submicroscopico essa riflette la struttura globale (12).
Per queste stesse ragioni può esistere una solidarietà e una
sincronicità, e cioè possono esistere rapporti causali non locali, fra singolarità distanti dell’universo, e potrebbe (qui ci occorrerebbe un tempo
verbale ipercondizionale, se ci fosse!) esistere una corrispondenza, più o meno
condizionata e specifica, più o meno necessaria, fra la linea apparente tracciata da un
pianeta, e il percorso che traccia con le sue scelte un essere umano. Dire,
come suppone l’astrologia, che quelle scelte sono determinate da una fatalità,
dal destino, significa semplicemente riportarle alla struttura soggiacente che
in qualche modo le unifica, le avvolge, le correla. O in altri termini,
significa dire che la casualità è sempre una causalità occulta, ma sincronica e
solidale. Lo strato soggiacente, o la dimensione fisica, in cui sono
determinate queste scelte, in cui è scritto il destino, è l’intercapedine di
continuo indifferenziato fra l’assente e il presente, fra il nulla e l’ontico,
fra quello che non accade e quello che (non) è osservabile. E’ pressappoco quello
che intendeva Simone Weyl quando scriveva che nella scienza contemporanea
riappare il caso, riappaiono gli dei, sotto forma di entità infinitamente
piccole e immaginarie (13).
Nella prospettiva che abbiamo additato, il destino è la corrispondenza di ogni evento a ogni evento, il
rapportarsi del tutto al tutto della concezione eraclitea - in cui tutti siamo
guidati, senza saperlo, dalla sferza del dio. Se tutto è legato al tutto, tutto
è già scritto, è già accaduto, il movimento del piccione, e il disporsi dei
cocci di una bottiglia che cade, le campagne di Napoleone e i tentativi
scientifici dell’uomo di decifrare la realtà.
La “difficile libertà” bergsoniana, il potenziale di scelta infinita di
cui dispone la coscienza umana, è reale solo fino al pavimento della nostra
psiche, solo dall’interno del nostro punto di vista psicologico, solo fino al
punto in cui si discende nel regno del caso. All’interno dello spazio psichico,
noi possiamo compiere l’atto folle della decisione, come lo definiva Kierkeegard.
Ma tutto ciò che determina la nostra storia e il nostro contesto, la nostra
biologia e le leggi causali che concatenano le nostre dinamiche psichiche, le
proprietà geometriche e matematiche degli oggetti, fino all’ultima molecola del
continuo sotteso, è già predeterminato. Dunque questa libertà è solo apparente,
ma non per questo è meno reale. E’ formale, è pellicolare.
La nostra volontà può modificare gli eventi, può opporsi al
destino. Cionondimeno, era già scritto che essa modificasse quegli eventi nel
modo da noi voluto, prova ne sia che: quell’evento è già accaduto, se il tempo
è essenzialmente un blocco unico, come ipotizzano Einstein e la teoria a loop;
quell’evento si può ripercuotere a 1500 km di distanza o all’infinito, come
mostra il fenomeno dell’entanglement, e dunque è saldato a ogni altro evento.
Il paradosso è solo apparente, e questa consapevolezza non può indurci al
fatalismo. Un paradosso simile è descritto nel film di Zemeckis, Ritorno al
futuro. E’ vero che noi possiamo retrocedere nel tempo, ma ciò non potrebbe
perturbare la realtà presente, perché proprio come il futuro e come quel
passato a cui siamo regrediti, quella realtà è già accaduta, era tutta
contenuta in un unico blocco atemporale. Nel film Marty, ritornato agli anni
50, agisce sulla realtà e dunque sul suo futuro, ma questo è effettivamente
impossibile, perché è impossibile la regressione di un solo elemento del
presente, e cioè solo dell’individuo Marty. Sarebbe possibile solo la regressione
di tutti i punti solidali della realtà con cui Marty è in rapporto, ma in
questa realtà Marty non ci sarebbe, poiché a un certo punto sarebbe inghiottito
dalla sua nascita.
Il Big bell test, un originale esperimento condotto nel
2016, per la prima volta introduce la casualità umana nella verifica di una
teoria quantistica. Abbiamo detto che esistono 2 interpretazioni contrapposte
dei fenomeni quantistici, quella non locale, che fa capo a Niels Bohr, secondo
cui i fenomeni non sono preesistenti all’osservazione, ed essi vengono dunque
prodotti dall’osservazione stessa, e quella di Einstein, detta del realismo
locale, secondo cui essi sono prodotti da istruzioni nascoste (e non ancora
individuate) che non possono viaggiare a velocità maggiore di quella della
luce. La posizione di Einstein, notiamo, può essere riportata alla definizione
di Wittgenstein, secondo cui la causalità è solo la forma di una legge, e
dunque non può essere messa in discussione – o in altri termini che non sono
possibili interazioni fra il reale non razionalizzabili (non causali). Un'altra
formulazione dell’opposizione può essere questa: per Bohr è l’osservazione
stessa che produce la misurazione, per Einstein e Wittgenstein, più
radicalmente, questa misurazione è
prodotta invece dal pensiero logico stesso, e deve necessariamente
corrispondere alle sue leggi. Il problema cui cerca di dare una risposta il
test è questo: se l’osservazione produce la misurazione, essa corrisponderà
necessariamente alle attese. Per avere una misurazione significativa, i criteri
dell’osservazione dovranno essere prodotti con la massima casualità possibile.
A questo scopo sono stati arruolati via web quasi 100.000 volontari che agendo
col proprio libero arbitrio su un videogame hanno inviato ai misuratori istruzioni
sufficientemente casuali. Il risultato è stato che i fenomeni quantistici
dell’entanglement continuavano a verificarsi, e che dunque l’interpretazione di
Bohr risulta corretta.
Azzardo l’ipotesi che i risultati di questo esperimento non
contraddicano le tesi di Bohr, ma nemmeno quelle di Einstein. Essi confermano
piuttosto l’intuizione di Jung, così come definita e sviluppata in questo
scritto, e dimostrano che le particelle entangled come i bit casuali prodotti
dai partecipanti sono semplicemente sincroniche. Sono esponente di uno stesso
continuo solidale, all’interno del quale le informazioni non hanno bisogno di
viaggiare, perché sono simultanee.
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