ieri ho visto Col corpo capisco, di adriana borriello. in ogni suo spettacolo c'è sempre un'idea nuova, un pensiero nuovo che si sviluppa in figure... adriana è in effetti una pensatrice di figure... bello all'inizio il modo in cui ha "prodotto spazio" sgombrando la scena dagli “oggetti”, bello il modo in cui ha esplorato il numero 3 - mai il senso che fosse una sommatoria, un’addizione - ogni rapporto era necessario, e questo è tipico del suo rigore... ma ancor più interessante mi è sembrato il rapporto molto evidente che ha istituito fra corpo e suono/rumore... la sonorità era il rumore dei corpi, e i corpi una cosa sonora...i corpi erano una cosa del mondo, considerata nella loro dimensione sonora...
lo scopo principale dello spettacolo mi è parso questo: descrivere una singolarità umana ( 3 singolarità, numero dinamico e sintetico, che dopo il 2 oppositivo e relazionale ci stabilisce nel mondo quale organismo sociale complesso) nella sua essenza costitutiva, che è innanzitutto fenomenica, percepibile.
questa sostanza elementare, questa carne nel senso di merleau ponty, questo quinto elemento che è la carne d’uomo, innanzitutto si manifesta nelle forme visive e sonore, come timbro (spiega bene adriana, che è teorica e filosofa prima che contenuto della sua teoria) e risonanza della materia. ciascuno di noi ha uno specifico tipo di frizione, di attrito, di rapporto, una peculiare corrispondenza col mondo. chi è legnoso, chi ha una consistenza fibrosa, vegetale ma strutturata come il legno, ha risonanze secche e dure, chi è destrutturato fluisce, avvolge, infiltra...ecc. questo è il nostro primo atto di comunicazione col mondo. e questo gesto depura e dispone sulla scena adriana, in una configurazione coessenziale all’eccellente e innovativa base musicale di roberto paci dalò , e assecondata dalla sensibilità delle ex allieve donatella morrone e ilenia romano, esatta e morbida (gelatina? acqua coagulata e stabilizzata?) l’una, elegante come una regina notturna e orientale l’altra ...
risolto appare anche il rapporto maestra-allieve che è un’altra delle tematiche sottese alla coreografia... la maestra non prevale, fa spazio, lascia spazio, ma vigila e pro/muove.
c’era
della cosa, della materia animata, muscoli insaccati, sangui e fluidi
incanalati e in circolo, cordami di nervi ecc. che entrava in fricazione o
consonanza, attrito o compenetrazione, urto soffice o drammatico, concorde o
discorde col resto dello spazio, e questo rapporto produceva ronzii, sciabolate
nell’aria vuota, stridii, gemiti, cigolii, gorgoglii, aderenze e disaderenze. i
corpi erano un addensamento stesso dello spazio, e diventavano dunque spazio
stesso che si muove, e configura. se siamo il corpo, questo corpo fa un certo
rumore poco indagato, in funzione di ciò di cui è fatto... quel qualcosa che
siamo fa takt, tokt, qualche altro zzz...qualcosa ancora swish, o glo glo, o
bfff...un rumore acqueo o ventoso o igneo o tellurico...e noi siamo questa sostanza
e materia nel mondo prima e più intimamente che le parole... così ci
propaghiamo più essenzialmente nel mondo...
la
ricerca di a.b., grazie all’assoluto controllo tecnico, al rigore compositivo, al
senso visionario, si inscrive perfettamente in quel lavoro di rifondazione
percettiva che mi sembra il compito più alto e necessario che si sono posti la
danza e il teatro contemporaneo
ulisse, eroe del nostos in omero e del telos in dante.
l’uomo moderno fondato in qualche modo nel canto di ulisse
(XXVI). l’uomo di linguaggio, l’uomo che si fonda nella conoscenza non più come
gesto utilitaristico, ma come atto gratuito. l’uomo che non intende più
l’ignoto come esterno a sé, che non lo demanda alla divinità, ma lo assume in
sé, e assume dunque il divino in sé. non è la curiosità – impulso banale – non è l’utile. la brama di ulisse è identificazione fra lingua e mondo, fra lingua e assoluto, il desiderio di conoscenza si identifica con un desiderio di assoluto, e definisce dunque un uomo inedito, per il quale la conoscenza è valore (che sostituisce di fatto, al di là delle intenzioni e dichiarazioni di dante, l’uomo “religioso” medievale).
in tal senso in dante si chiude il medioevo, e nasce l’umanesimo.(e l’umanesimo nasce dunque molto prima di quando lo pone la storiografia tradizionale) .
mi costa ammetterlo, ma l’avventura del comunismo nel ‘900
non può che definirsi come un tragico cancro del linguaggio, dell’ideologia. la
proliferazione mostruosa e incontrollata di una parola, un’astrazione, quella
di marx, che in sé era nobile e per alcuni aspetti anche fondata
scientificamente, e tuttavia non a sufficienza nella corporeità, e nella
complessità dell’individuo, di quell’accozzo di forze organiche che è l’uomo.
questo prodotto di degrado dell’idea, l’ideologia, ha sorretto l’incredibile confusione
di crudeltà e idiozia che è stato lo stalinismo, la cui aberrazione ha superato
– difficile negarlo dopo aver (appena) letto Arcipelago Gulag di Solgenitsin -
quella del nazismo.
(si tratta di 2 mostruosità...ma una mostruosità perpetrata a fin di bene fa ancora più paura, è ancora più sconcertante e disperante di una mostruosità malvagia... è se possibile più atroce)(per qualcuno che pensasse che esagero cito un solo dato: al 17mo congresso del Pcus stalin fece fucilare 3/4 dei delegati...fra cui uno che in tono un po' polemico aveva interrotto l'applauso troppo presto)
l’america ha ottenuto cogli allettamenti del piacere, della
merce, del benessere – con la persuasione profonda e inconscia – lo stesso
risultato che la russia staliniana perseguì, infine fallimentarmente, con la
costrizione e coi lager: il controllo del linguaggio, l’azzeramento
dell’individuo. in quella russia nessuno poteva dissentire – ma in realtà lì è
nato il dissenso - negli usa nessuno ha convenienza a dissentire. il linguaggio
americano è piatto, impersonale – come se non fosse mai esistito baudelaire o van
gogh - e il pensiero è una sommatoria meccanica di questa lingua omologata
(pasolini dixit, basta sostituire i termini urss e usa a fascismo e società dei
consumi).
essendo a forma di uomo (pochi peli, occhi, percezione del
tempo ecc.), e essendo per varie altre ragioni classificabile come tale, esisto
primariamente nello spazio meraviglioso quanto poco appariscente e spesso
inavvertibile del mio linguaggio.... la risata, l’allegria , il buonumore sono
fenomeni psichici altrettanto meravigliosi e numinosi – soprattutto nei bambini
e nelle ragazzine adolescenti – ma non possono diventare la cifra dell’umano,
il segno della dispersione in una società che, per dare intensità
alla vita, ha sostituito l’emozione di essere col di-vertimento, con lo
sviamento, cioè, alla lettera, l’emozione di essere con l’emozione di non
essere.
mi diceva ieri la mia amica f. che se risponde al telefono
mentre sta leggendo spesso le domandano: ma stavi dormendo? a me capita lo
stesso, mi chiama g. e al mio tono di voce chiede: ma che stai depresso? io
magari stavo in un momento di sublime entusiasmo (en thous, il dio dentro)
procurato dalla lettura di wittgenstein, nancy o novarina...
la spiegazione ovviamente è nel fatto che leggendo ci si
addentra dall’esteriorità e la visibilità nell’interiorità. il problema è che
ciò viene percepito sempre più con sospetto. ma il mondo dell’esteriorità è
esattamente quello che produce ingiustizie e stupidità, quello del denaro e del
successo. il mondo ha bisogno di depressione, di incentivare la depressione
(come riduzione della pressione, o quale profondità, scavo, originarietà...),
non delle pochezze di jovanotti e renzi. dovremmo dire a chi incontriamo: mi fa
piacere, ti trovo proprio depresso! e se troviamo qualcuno troppo allegro: ma
che ti è successo? che c’è che non va? forse hai fatto soldi? sei andato alla
tv? frequenti un animatore della valtur? hai partecipato a un seminario new age
sulle vibrazioni armoniche? a un corso motivazionale in cui sei diventato
protagonista della tua vita? non mi dire che hai preso degli antidepressivi? il
tuo nuovo vicino di casa ti saluta sempre con gli occhi che gli luccicano? tua
moglie è una fan di antonella clerici?
aiutatelo, parlatene, spiegategli che si può uscire dal tunnel, esistono
libri, persone, eventi (psicoterapeuti per ora purtroppo non ancora) che lo
possono riportare al senso radicale delle cose.
questa positività finta, proferita, non produce nulla di positivo, è la nuova
droga o la nuova propaganda del mondo.
le persone “positive” non dicono più niente della realtà, e
vivono solo nel loro umore “aumentato”, dopato, indotto, fasullo (un malumore
camuffato da buonumore).... si imbottiscono di neurotrasmettitori e ormoni
spremuti a forza dalle ghiandole, se non acquistati in farmacia – “dicono” la
loro positività, e ciò produce solo una negatività lastricata di intenzioni,
come un cattivo odore mascherato dallo spray del supermercato....sviliscono il
mondo...quel che produce “cattiva” depressione è proprio la simulazione, e tutto il sistema che ne consegue.
siate disperati se siete disperati, siate vecchi se siete vecchi, siate assoluti, siate voi, siate qualcosa...così glorificherete il mondo...
pensiamo a un tizio che vanta il suo amore per la cucina
genuina, i cibi tradizionali ecc., e che invitato a pranzo da nuovi amici, si vede servire la “genuina simmenthal della
nonna”. i suoi “host” alle rimostranze o dissimulata ma trasparente perplessità
di questi, replicano “correttamente” e “ineccepibilmente”: ma come, questa
carne “è” genuina, è addirittura e
incontrovertibilmente “scritto” sulla scatola.
lo dice con voce chiara, tracciata e socialmente legittimata la pubblicità: la
buona simmenthal che preparava la nonna (ed è del tutto plausibile che qualche
nonna abbia ammannito una simmenthal). in base a quale indimostrabile sensazione
gustativa o arbitrario pregiudizio soggettivo tu vuoi confutarlo (quel che è
peggio è che lo dicono in buona fede)?
ecco, così io mi sento ora nel mondo, e sempre di più.
restando nella gastronomia, potremmo fare l’esempio del tofu – un prodotto
senza storia, senza geografia e senza sapore, che o è abusivo o è stato un anno
nella plastica, prodotto da quegli stessi cinesi che hanno avvolto pechino in
una cappa impenetrabile di smog (sarebbe invece certo squisito un vero tofu
prodotto sul posto da un contadino coscienzioso...ma chi ha la minima idea di che
sapore abbia?)
dire come dico che fare cultura e fare politica significa
unicamente fare percezione, educarsi a percepire, impattare radicalmente la
propria carne sulla carne che sta, o starebbe, al di là dei suoi segni, non
significa negare la natura culturale e codificata di ogni nostra sensazione e
percezione, significa al contrario ammetterla, acquisirla, e elaborare una
reale cultura della carne e della corporeità. è dire che la simmenthal o la
ricciola appena pescata non può essere “letta”, che il produttore non può
limitarsi a proferirla, ma deve essere mangiata, “rimangiata”, riappresa in un rapporto reale, radicale...da
alibi deve diventare futura porzione del proprio corpo...
nella nostra società schizoide, dietro l’apparenza della
socialità globale, dietro il mito della condivisione, io avverto una
progressiva contrazione dell’individuo su di sé. si condivide tutto, ma per
pubblicizzarsi, illustrarsi, promuoversi, e tutto si condivide
superficialmente, nella sfera superficiale del web o della dimensione pubblica
in generale. in realtà già in una conversazione a telefono percepiamo
l’isolamento profondo, il disinteresse profondo reciproco, che è poi una
coscienza progressiva dell’impossibilità di sentire dalla parte dell’altro, coi
nervi dell’altro, di connettere la propria lingua all’altrui corpo - se non
forse nelle fasi folli e illusorie dell’innamoramento, o della prima maternità.
ciascuno cerca di attrarre la conversazione su sé, sull’unica cosa del mondo che in definitiva
avverte esistere. ciascuno inscena il resto – la solidarietà, l’ammirazione,
l’amore, l’etica ecc.
ecco un’altra delle ragioni per cui io credo alla necessità
di una riforma radicale della percezione, del rapporto stesso fra il sistema
nervoso o l’oggetto – del superamento di questa divisione che profondamente non
esiste.
dimmi una parola bianca
ioio chi?
l’io, il sé
siete da soli? quanti siete?
un popolo
dove va questo popolo
al baratro o al cielo
Jomo Kenyatta : Quando i missionari giunsero, gli africani
avevano la terra e i missionari la Bibbia. Essi ci dissero di pregare a occhi
chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia.
l’abito è un linguaggio avvolto sul corpo
tutti sono troppo convinti di essere qualcosa, a volte perfino
qualcuno, non sanno di essere poco più che tubi di diverso peso, calibro e
profilo attraversati da tutti i linguaggi che li hanno preceduti…
g. è un poeta per ambienti, nel senso del deodorante
ecologismo problematico: è ecologico reintrodurre la vipera,
ma non lo sarebbe ancora di più il vaiolo?
la crisi del libro è tutta qua: a una civiltà che pensava
per parole, se ne è sostituita una che pensa non dico per immagini, ma per
simulacri
vorrei creare una fondazione per 16enni che si amano,
aiutare i 16enni che si amano ad essere felici, perché essersi riusciti ad
amare a quell’età è l’unica cosa che può dare senso all’aver vissuto, 36 anni
dopo
il mondo sembra una conferenza stampa di un allenatore: una
cosa insignificante, in cui non si dice niente, e tutti sono contenti perché
non c’era niente da dire
scrivere deve essere come lo
sforzo dello scimpanzé quando si riconosce nello specchio... capire che quelle
macchie confuse sono qualcosa che si è. capire che qualsivoglia accozzo
insignificante è necessariamente un io, perché solo l’io produce insignificanza.
d’altronde è vero l’inverso, che
siamo morti linguacciuti – con una fiamma nella bocca viva – morti linguistici,
morti parlanti, e dunque solo nella foto, nell’immagine, vediamo ciò che siamo
più continuamente e stabilmente.
anche quando esiste un dialogo
nel film porno, esso costituisce un tessuto trasparente – insignificante. è una
trama di grida e singulti, o frasi fatte, meccaniche, accessorie, frasi come
una specie di peluria o sudorazione.
nel porno c’è una specie di
tridimensionalità, di emergenza di realtà, il corpo che c’era stato, il corpo
che è stato il precursore, l’evento generatore, l’evento nel tempo esistito
della ripresa, in qualche modo sfonda il tempo e cade nella riproduzione,
grazie alla riproducibilità resta polposo e fisico. l’annullamento della lingua
libera il rilascio del mondo, il mondo irrompe in tutta la sua flagranza, nella
sua flagrante irruenza.
film porno fra scimpanzé, fra
bonobo? sono i noi stessi senza lingua, i culi nudi e sessi nudi alla potenza.
ti trovo molto zen(itsin), qui.
RispondiElimina: )
e liberandomi dalla positività finta (ovvero volendo essere cattivo fino in fonod), mi verrebbre l'istinto di generalizzare dicendo che la poesia tutta è un deodorante per ambienti. l'essere umano ne ha bisogno, soprattutto in ambienti vissuti, dove l'aria è viziata. sì sì sì, delle due l’una: o apri le finestre o ingentilisci l'aria con un po' di po'esia. dovrebbero rendere obbligatorio per decreto legge, alla fine di ogni film porno, uno scampolo d'arte in cui la protagonista accaldata e odorosa di liquidi biologici infrange la quarta parete - id est, guarda in camera (da letto) - e dopo qualche attimo, a scelta, o va aprire la finestra o recita una poesia. non sto scherzando, pensavo... una sorta di "sfondamento percettivo".
mmmm... sto delirando (o forse no). bacioni
: )
sono tanto d'accordo che sono stato tentato di aggiungere al post la frase: "e come dice malos, d'altronde tutta la poesia è un deodorante per ambienti". ho poi rinunciato perché la questione del fine della poesia è troppo complessa per liquidarla così...certo però è forte il sospetto che infine sia solo quello... peraltro mi preoccupa anche che la ns sintonia è perfetta quando deliri...
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