Diciamo
la verità: chi si tatua è “alla moda”, si conforma alla moda fin nella sua
consistenza più intima e essenziale, e esclude così ogni spazio dell’eterno e
del sacro. E’ una cosa davvero penosa, davvero deprimente. Chi si tatua è un
oggetto sociale dentro, è una vacca marchiata dentro.
Le mie perplessità su uso e abuso di FB, questo starnazzamento tecnicamente equipaggiato (di cui non si può negare peraltro l’utilità e la potenza comunicativa) le ho espresse fra l'altro qui, la mia insofferenza per i tatuaggi è ancora più radicale. Ma non è stizza o moralismo, è proprio in nome della passione che aborro questo cattivo tribalismo che non ne recupera la naturalità, il vitalismo o il senso del sacro, ma solo il gregarismo. Quello che era stato rivalutato dalle controculture degli anni ’70 come una discutibile forma di riappropriazione del corpo, ne è diventata un’espropriazione a tutti gli effetti.
La prima cosa che mi viene da dire è che non mi potrei mai e non mi sarei mai potuto innamorare di una donna con un tatuaggio importante e indelebile, o che comunque l’amerei meno.
Ma chiunque ama una persona tatuata l’ama meno, perché qualcosa che di lei ama non è lei. Chi è tatuato è meno, esiste meno, è meno sé proporzionalmente a quanta area del suo corpo è stata decisa da un tatuatore, o da un io sociale, gregario o comunque secondario. Credo che il vero innamoramento, quello che non è infatuazione, che non è parcellizzazione, quello che fa del corpo dell’amato, ovvero di ciò in cui egli essenzialmente consiste, la manifestazione dell’alterità assoluta, e dunque di ciò che è puro e ciò che è sacro, non possa non essere interferito, disturbato e profondamente inibito perfino da una depilazione ascellare, così come da tutto ciò che diminuisce l’individualità e l’originalità (intesa non come bizzarria e eccentricità, ma come legame all’origine), da tutto ciò che degrada da se stessi e ci allontana dall’essenza e comunque l’essenziale. Nessuna donna tatuata potrà essere amata senza limiti. Un corpo tatuato non è più adorabile, feticizzabile, sublimabile, è un prodotto adulterato, sofisticato, è come un metallo o un quadro falso, che per quanto possa essere indistinguibile dall’originale, ha posto un limite e una determinazione alla sua origine. Un diamante falso non vale meno perché è meno splendente o perché al microscopio presenta imperfezioni, visto che nessuno si porta il microscopio alle prime della Scala per valutare la fitness delle spettatrici. Vale meno perché ha un’origine artificiale, tecnica, tracciabile e ordinaria, in definitiva perché ha un’origine umana, e non è prodotto dal dio o dall’altrettanto numinoso lavorio della natura. Che l’origine sia l’una o l’altra, ci sono voluti 4 milioni di anni per produrre e perfezionare quel tessuto organico levigato, serico, delicato ma elastico e resistente, profumato e seducente, luminoso o scuro ma sempre lucente, portentoso, irriproducibile e insostituibile che è la pelle umana.
La massificazione
progressiva è forse inevitabile, indotta com’è dall’incontrollabile
proliferazione della specie uomo, e dall’esponenziale e mostruosa saturazione
della semiosfera? Non saprei, la completa estroflessione dello psichico, di
quell’invisibile interiore che caratterizza l’umano, lo porterà a svuotarsi e
denaturarsi completamente, e probabilmente così a perdere il suo primato, il
che potrebbe essere un’autoguarigione... Io credo però che con ciò molto si
sarà perso, e che dunque molto ci sia da guadagnare a evitarlo.
Le mie perplessità su uso e abuso di FB, questo starnazzamento tecnicamente equipaggiato (di cui non si può negare peraltro l’utilità e la potenza comunicativa) le ho espresse fra l'altro qui, la mia insofferenza per i tatuaggi è ancora più radicale. Ma non è stizza o moralismo, è proprio in nome della passione che aborro questo cattivo tribalismo che non ne recupera la naturalità, il vitalismo o il senso del sacro, ma solo il gregarismo. Quello che era stato rivalutato dalle controculture degli anni ’70 come una discutibile forma di riappropriazione del corpo, ne è diventata un’espropriazione a tutti gli effetti.
La prima cosa che mi viene da dire è che non mi potrei mai e non mi sarei mai potuto innamorare di una donna con un tatuaggio importante e indelebile, o che comunque l’amerei meno.
Ma chiunque ama una persona tatuata l’ama meno, perché qualcosa che di lei ama non è lei. Chi è tatuato è meno, esiste meno, è meno sé proporzionalmente a quanta area del suo corpo è stata decisa da un tatuatore, o da un io sociale, gregario o comunque secondario. Credo che il vero innamoramento, quello che non è infatuazione, che non è parcellizzazione, quello che fa del corpo dell’amato, ovvero di ciò in cui egli essenzialmente consiste, la manifestazione dell’alterità assoluta, e dunque di ciò che è puro e ciò che è sacro, non possa non essere interferito, disturbato e profondamente inibito perfino da una depilazione ascellare, così come da tutto ciò che diminuisce l’individualità e l’originalità (intesa non come bizzarria e eccentricità, ma come legame all’origine), da tutto ciò che degrada da se stessi e ci allontana dall’essenza e comunque l’essenziale. Nessuna donna tatuata potrà essere amata senza limiti. Un corpo tatuato non è più adorabile, feticizzabile, sublimabile, è un prodotto adulterato, sofisticato, è come un metallo o un quadro falso, che per quanto possa essere indistinguibile dall’originale, ha posto un limite e una determinazione alla sua origine. Un diamante falso non vale meno perché è meno splendente o perché al microscopio presenta imperfezioni, visto che nessuno si porta il microscopio alle prime della Scala per valutare la fitness delle spettatrici. Vale meno perché ha un’origine artificiale, tecnica, tracciabile e ordinaria, in definitiva perché ha un’origine umana, e non è prodotto dal dio o dall’altrettanto numinoso lavorio della natura. Che l’origine sia l’una o l’altra, ci sono voluti 4 milioni di anni per produrre e perfezionare quel tessuto organico levigato, serico, delicato ma elastico e resistente, profumato e seducente, luminoso o scuro ma sempre lucente, portentoso, irriproducibile e insostituibile che è la pelle umana.
Le donne lo sentono così bene,
da angustiarsi ad ogni sua minima lesione, discontinuità, corruzione. Eppure
sono oggigiorno così assordate dal bombardamento dei segni, da aver smarrito il
senso e l’istinto profondo dalla vera bellezza, al punto da farsi indurre a
deturpare volontariamente con disegnetti scadentissimi, puerili e mezzi stinti
il loro immacolato manto. Certo questo accade in forma più invasiva e eclatante
con la chirurgia estetica... a cui sono ovviamente contrarissimo nella gran
parte dei casi...tuttavia l’intervento estetico, se eseguito con criterio e
discrezione, persegue un fine di armonizzazione che è perlomeno più
sensato...il tatuaggio è anche stupido, pura induzione della moda – e infatti
apprezzato in epoche recenti solo da galeotti e minorati intellettuali vari –
un tentativo ridicolo di decorarsi se nessuno ci decora, un fregio
standardizzato scelto da un catalogo, che ha la stessa qualità estetica di un
autoadesivo o del logo del brodo in scatola. Chi si tatua lo fa con l'intento
di personalizzarsi, ma non si rende conto che: 1) sovrappone a un unicum
genetico, con la sua peculiare fisicità, grana, gradazione cromatica ecc., un
segno standardizzato; 2) imbratta una superficie pura e intatta. Chi si tatua
si fa sporcare per farsi possedere, poiché un marchio è in ogni caso un segno
di appartenenza, che sia erotica, sociale o generalmente antropica. Inutile far
notare quanto superficiale, fuggevole e rapsodico sia l’impulso estetico che
decide questa appartenenza, basti pensare ai pentimenti sistematici, seguiti da
abrasioni e sfracelli vari, per marchiature di nomi e iniziali di ex-amati
ormai dimenticati o visceralmente odiati. E abradere una dermoincisione può
essere assai più traumatico che divorziare.
Il risultato è che
l'individuo-corpo, da che era la forma sublime immortalata dalla grande
figurazione (pensiamo a una Venere di Milo o botticelliana con un drago sulle
tette), la macchina evolutissima ammirata dalla scienza, l’impronta del divino
adorata nelle antiche e moderne religioni, diventa un capo di bestiame
marchiato e pronto alla vendita, il prodotto psichico in serie con l’etichetta
della moda e il codice estetico del momento, il forzato dell’insipienza seriale,
e insomma qualcuno a cui è stato negato l’accesso alla vera bellezza
A questo individuo sommerso,
soffocato, affogato nei segni, minato dall’inquinamento semiotico che avviluppa
la terra meno visibilmente ma più insidiosamente della CO2, non è concesso
stupirsi del mondo, dell’evento ontologico che è l’esistere in sé, è preclusa
l’estasi animale del proto-sapiens della savana, quella mistica di Angela da
Foligno che si denudava davanti al crocefisso, quella estetica e furiosa di
Michelangelo davanti ai suoi modelli. Ma più profondamente appare preclusa la
possibilità di un rapporto con l’altro che non sia mediato dal sociale, dal
mediatico e tecnologico, nella dimensione del contingente e dell’istantaneo che
esso comporta. Alle nuove generazioni pare concesso solo lo stupore
artificiale, le babbionate tecnologiche dell’Expo, le evoluzioni dei
telefonini, o l’incessante rinnovamento degli stimoli che sostituisce quelli
più duraturi – se non quelli eterni, quelli che almeno toccano i bordi del
tempo. Ma io non credo che dei loro angeli di plastica e fibre ottiche si
potranno mai innamorare seriamente, violentemente, impossibilmente. Un angelo
tecnogeno è sempre controllabile e possibile, perché circoscritto in uno spazio
antropologico...è amputato della sua angelicità, della sua indefinibilità,
inderivabilità, inspiegabilità. E’ un angelo senza ignoto, e insomma è un
animale tecnicamente equipaggiato – di cui si potranno al massimo amare
attributi esteriori come il successo sociale, il potere, e una bellezza intesa
come conformità. Un animale che paradossalmente non ha nulla di naturale, che
ha perduto l’innocenza e non ha acquisito la saggezza. A sostituire questa
perdita, interverrà una retorica della natura e della spiritualità, a base di
tofu, new age e naturalismo da rivista patinata. Una vera sensibilità
ecologista, che non può avere la sua radice che nel sentimento del sacro, non è
compatibile con questa pratica che devasta e antropizza il paesaggio
epidermico, l’ambiente e l’oikos del corpo proprio, e un ambientalista tatuato,
non può esser tale che per moda o per patofobia.
PS per chi volesse approfondire il problema parallelo della depilazione (anche questo meno frivolo di quanto possa sembrare) rimando a uno storico pezzo di elio paoloni http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/02/17/il-nuovo-tab%C3%B9/
PS per chi volesse approfondire il problema parallelo della depilazione (anche questo meno frivolo di quanto possa sembrare) rimando a uno storico pezzo di elio paoloni http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/02/17/il-nuovo-tab%C3%B9/
ohi, sono proprio d'accordo con te (su feisbùc e tatuaggi) probabilmente perché sono vecchio.
RispondiElimina: )
però sviluppando in modo consequenziale il ragionamento, ne dovrei inferire, come naturale corollario, che è inevitabile amare di meno una donna che si tinge i capelli, o che ha la vitiligine o che ha perso un braccio in un incidente d'auto o che ha una cicatrice "importante e indelebile" a causa di un intervento chirurgico (subìto, chessò, a causa di un'appendicite flemmonosa o di un astrocitoma pleomorfo) o a causa di una grave ustione, "proporzionalmente a quanta area del suo corpo è stata decisa dal" chirurgo o dal colare dell'olio bollente, che ha "interferito" con ciò che è puro e sacro". mmmm....
mmmh...obiezione intelligente, e che pertanto gradisco anche se mette in crisi alcuni punti del pezzo...ce ne vorrebbe un altro per rispondere, o dovrei rimettere mano il che è sempre difficile...cmq in sintesi: su ustione ecc. bisogna amaramente ammettere che se tali problemi sono tanto temuti, è proprio perché ci rendono meno amabili...tuttavia in quel caso un supplemento di amore per le qualità "profonde" di una persona, è quasi dovuto, e può compensare la "riduzione" precedente... sulla tintura non saprei, diciamo che è un ripristino e infine più accettabile (non sempre)del tatuaggio...discorso ancor più valido per il dente rifatto...tuttavia io quando ero davvero innamorato amavo profondamente anche il dente cariato...
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