io vado a napoli.
a “io” corrisponde un corpo, a “vado” corrisponde una traslazione
nello spazio di quel corpo, a “napoli” corrisponde un conglomerato di pietre
disposte in un certo modo ecc., “a” è una bolla vuota nella frase, e perciò mi
ha sempre interessato.
“a” starebbe a indicare delle forme, delle modalità... una
modalità di tensione... così, se era l’affine “in” una penetrazione, un taglio
del mio corpo nel corpo di napoli. ma il fatto stesso che un segno stia per una
modalità, tradisce la natura astratta e inconsistente della lingua, di questo
congegno fatto di fremiti dell’aria e sagomature della glottide, di
deviazioni e sbarramenti e occlusioni dell’acido gallico o i cristalli al
plasma.
eppure questa lingua, questo tessuto di marche oppositive, questo
gioco di deviazioni – sono io, in questa lingua mi insedio e consisto, io non
sono fatto di altro che della sostanza gassosa, delle turbolenze dei vuoti di
questa lingua.
quando taccio, e se per assurdo tace ogni mia intima fonte
di impulsi, io svengo da me, io mi esento, mi evacuo, io non esisto.
di notte, ammonticchiate su un letto ortogonale, restano le
mie carni ancora pulsanti, ma io non ci sono più, mi sono inabissato,
riaffiorerò nel linguaggio ai primi incerti albori che sbiancheranno il mio
occhio, e dunque ristabiliranno il gioco binario dei bianchi e dei neri, e io
mi ricondenserò insieme a questa possibilità di linguaggio.
tutta la notte, certo, avrò parlato, ma linguaggi dissolti e
pazzi, che non faranno un me – cieli violacei e gialli, ferro senza peso,
proposizioni intrecciate di fumi o numeri o tempi successivi – tutto questo
“sognare” era una lingua non parlata da un me, da un posto condensato e
coerente.
io ahimé esisto solo in questa lingua, e in questo tempo in
cui si allinea e incastra istante per istante questa lingua. io sono questa
concatenazione di bolle. se questi vacuoli, se questi vuoti scoppiano, fanno
emboli o sbollono, o si sviluppano e slentano troppo, io non sono più.
io, certo, ci sono in ogni caso come una cosa discontinua, a
strappi, a sbalzi, saltellante, una cosa come la fila di sassi tirata
mentalmente fra due sponde, una cosa che non si accorge di tutti gli abissi di
disattenzione che scavalca, di tutto il carsismo dell’accadere che lo circonda.
ma, questa intermittenza non si riassume come io, non si tiene come io se non quando
riesce a aggrapparsi a una liana resistente, a rapportarsi a una linea, a un meccanismo
che procede secondo la modalità “una cosa dietro un’altra”, non si dispone in
un’adiacenza.
io sono nel tempo, qui. questa condizione mi precede, accade
prima che io accada, irrora la mia logica e la mia sintassi prima che la vada a
occupare, sorregge coi suoi soffi e cicli d’aria, percussioni di valvole e
battiti elettro-chimici, il metabolismo
del mio corpo, porta la materia del mio corpo da un punto all’altro, porta il
corpo di un istante al corpo dell’altro istante, procede per un lasso
indeterminato (o da me indeterminabile) con questa magia, con questa
riapparizione continua. il mio corpo sparisce e ricompare a ogni istante, e
così tutto il mondo, tutto l’esistente è miracolosamente ridato alla luce dall'azione magica del tempo, da questo incredibile congegno che fa essere le cose non una
volta per tutte, ma indeterminatamente. il tempo come forza di frantumazione, centrifugazione e dispersione dell'essere.
noi stiamo sempre di fronte a questi misteri, ma poi ci
contentiamo di credere all’angusta scienza, o ai piccoli dii delle religioni, o
addirittura alle sofisticazioni di parole e ai trucchi psichici di certi
uomini, quando dovremmo stupirci continuamente di questo, e in questo credere.
"eppure questa lingua sono io, in questa lingua consisto e mi insedio, io non sono fatto di altro che della sostanza gassosa, delle turbolenze dei vuoti di questa lingua."
RispondiEliminammmm... provamelo.
: )
intendo, sali a bordo di un linguaggio, entra in autostrada (occhio agli autovelox) e arriva a Napoli.
: ))
oppure quando hai mali di testa prendi un bicchiere, scioglici dentro la parola Aspirina e fammi sapere se sfrizza e funziona
: )
le parole sono stanze meravigliose di un castello in aria, ovvero, come diceva un mio amico romano de Roma: so' stanze stupefacenti". ciò non toglie che farsi di parole, nonché di adulterarle, sia divertente e ricco di neurotrasmettitori orgasmici.
peraltro, non vedo come l'angusta scienza (che non è né gusta né angusta poiché è scienza e come tale non cerca altro se non riproducibilità sperimentali) possa confliggere con l'arte (sia essa letteraria, filosofica, religiosa, figurativa o altro), visto che stupiscono universi diversi, solo *tangenti* nell'io (e quindi nel tempo)
: )
ohi, però, come sempre trovo affascinante come lo scrivi. che trucco psichico usi?
: )))
e di che siamo se non di parole, di che è fatto un io se non di depositi di memorie, e strutture di linguaggio...senza parole, il nostro io sarebbe quello meccanico dell’animale...la differenza fra noi e l’animale è appunto che lui nno può dire: io vado a napoli, e nemmeno solo “io”...
RispondiEliminala scienza...mica che voglio fare dell’anti-razionalismo a tempo perso... ma se non attingiamo a uno stupore vero e profondo del mondo, e non fondiamo all’origine il senso delle cose, la scienza può solo insegnarci a essere insensati e folli più efficacemente...
ah, beh, allora aveva ragione zio Gianni e il contadino di Rhò, quello che coglieva pere da un però.
RispondiElimina: )
però pperò pperò... mica dico che non sia bello pensarlo! giocare con le parole è spesso fonte di grande stupore, anzi, di più, è proprio *stupefacente*!
prendi le frasi seguenti: "ciò che ci differenzia fra gli animali", "la differenza fra noi e l'animale", "ciò che ci differenzia dagli animali"... non ti accade di allucinare una sottile graduale deriva narcisistica dalla prima all'ultima riformulazione di bolle vuote e sostanze gassose (e tu sembri collocarti a metà strada)? ehm... ecco, intendo, senza nulla togliere alla scimmia nuda e alla sua poltiglia grigia, non solo l'ontogenesi ricapitola la filogenesi, ma parecchi studi hanno dimostrato che non siamo gli unici vertebrati a giocare col linguaggio e coi simboli (sarà che mio padre era uno zoologo, sarà che sono nano, ma non mi riesce proprio di guardare dall'alto in basso il regno animale di cui facciamo p'arte). pensa che in un recente studio condotto da ricercatori dell'università di Vienna, è stato dimostrato che anche i corvi imperiali (corvus corax) sono in grado di codificare gesti finalizzati per testare l'interesse di partner potenziali e per rafforzare legami già esistenti. tale modalità di comunicazione - che nei bambini si sviluppa fra 9 e 12 mesi - è basata su processi cognitivi complessi ed implica capacità simboliche connesse all'uso del linguaggio che finora si ritenevano di esclusiva pertinenza dell'essere umano e delle grandi scimmie.
cheddire ancora?
il misticismo della parola e del linguaggio che prende corpus in quest’ultimo (e in altri) tuoi scritti, nonché il tuo auspicio a credere fideisticamente nella soggettività di un “noi” (quando salti dall’io al noi un po’ mi fai paura, eh eh eh), rappresenta una forma d’arte affascinante, ma poco ha a che vedere con *il senso delle cose* qualora con tale bolla vuota di sostanze gassose tu voglia intendere le realtà fisiche della materia.
ultima nota, la frase “la scienza può solo insegnarci a essere insensati e folli più efficacemente” mi ha suonato particolarmente ridicola, visto che “la scienza” è un’entità astratta che hai costruito nella tua testa con l’obiettivo di attribuirgli immaginifiche volontà di insegnamento finalizzate, nonché di assolutizzare (“solo”) un concetto funzionale al misticismo di cui sopra. più concretamente, potremmo tradurre "la scienza" in “verifiche sperimentali” e “modelli previsionali”, perché le conoscenze scientifiche sono ovviamente parcellari, relative e discontinue, ergo insuperabili per indagare l’atomo, l’evoluzione, la termodinamica, il cervello, lo spazio etc etc, ma che non trovano materia su cui indagare nel pensiero sistematico (ovvero religioso, filosofico, mistico, astratto, immateriale).
in ogni caso, “la scienza” non è un’entità senziente che agisce e “ci insegna”. sono le scimmie nude che - non contente di fare i loro bisogni - nella speranza di soddisfare i loro bisogni utilizzano *strumenti* atti a realizzare i loro fini. in questo “senso”, parole, linguaggi, modelli sperimentali, arte, forchette e punte da trapano pari sono. rispondono, magari, a bisogni diversi, ma tutti strumenti sono.
poi, se cerchi il *senso* delle cose, è altamente probabile che nessuno strumento potrà esserti d’aiuto perché, come canta il simpatico filosofo di Zocca “voglio trovare un senso a tante cose, anche se tante cose un senso non ce l’ha”.
ohi…“quanta verità può sopportare un uomo?” si domandava straziato zio Friedrich. mmm… io non lo so, anche se una vaga idea forse…
: )))
eanch'io credo che ci sia troppa differenza di valore e di sostanza fra noi, gli animali e le cose, ma è certo che nel linguaggio umano c'è un mistero, nel passaggio fra la comunicazione animale e il linguaggio cìè un salto, che affascina chi lo sa vedere...
RispondiEliminasulla scienza, la mia frase in verità non mi sembra affatto ridicola, significa semplicemente che la scienza non può insegnarci nulla in fatto di valori, che non risolve il problema del senso del mondo, e semplicemente ci fa perseguire efficacemente i nostri obiettivi privi di senso (marcia sul posto, diceva heidegger...)... certo che non sono io a attribuirgli volontà di insegnamento... la mia è una metafora, senza questi spostamenti retorici non potremmo comunicare, se non per segni matematici, e nemmeno...
cmq ripeto nno sono affatto anti scientifico... grazie alla scienza tiriamo avanti... ma non si sa diretti dove...