domenica 27 ottobre 2019

un "un" in un "il"

le mie tesi poligamiche – tardo-illuministe o futuristiche o allo-musulmane che siano - vanno verificate nelle condizioni estreme, nelle psichi che l’eros porta a incandescenza, nei corpi che l’innamoramento mette in fibrillazione, fa smaniare. in queste condizioni raggiungono la massima intensità sia il senso di abnegazione e oblazione di sé che quello del possesso.

la psiche si decentra, dissolve il limite fra interno e esterno, il corpo sconfina, vuole riversarsi fuori di sé, ma contemporaneamente avverte che questo stato estatico e forsennato dipende dalla disponibilità dell’altro, ed è dunque garantito solo dalla sua proprietà.

la tesi è che in una psiche libera, coltivata (che la cultura abbia portato in qualche modo a rispondere e corrispondere al corpo), vigorosa, si possa produrre un equilibrio fra queste pulsioni, e una disposizione psichica che consenta la coesistenza di diverse relazioni amorose.

il caso delle lettere di sibilla aleramo a dino campana
è in questo senso un materiale esemplare. sibilla (rina faccio) era una donna letterata, audace, i cui sentimenti si erano per quanto possibile liberamente riversati in numerose passioni, e dotata di un talento espressivo che ci dovrebbe garantire la significatività di quel che scrive. la sua passione per dino campana fu assoluta, folgorante e incondizionata.

“Dino... sei tu che mi squassi così? che cosa mi hai messo nelle vene?” ... “Dove sei, che mi sento così strappata a me stessa...Dino, dopo questo non si può esser più nulla, oh, sapere che anche tu lo senti, che rantoli anche tu così...”

 

rina rantola, è in uno stato di spossamento amoroso, di consunzione dell’ego, di annullamento del corpo estremi, non è più lei, non è più la piccola carne confinata in una sagoma corporea che è lei, è un linguaggio al cospetto dell’aperto, è un tratto del continuo sconvolto dai sommovimenti delle cose, presa nel processo del mondo, è una cosa delle cose come un legnetto, una formica, un bambino, un morto.

ma scrive anche: “ oh ti voglio ti voglio, non ti lascerò ad altri, non sarò d’altri”.

dunque l’amore è esclusivo? dunque al punto zenitale della passione, nel momento della massima eccitazione neurale, della più intensa sollecitazione dell’eros, siamo gelosi e di conseguenza monogami?

tralasciando per ora la questione di quanto la  gelosia comporti  la monogamia, o possa invece essere trattenuta o contenuta dalle regole etiche... ma era questa gelosia?

la vita di sibilla fu funestata, devastata dalla gelosia, quella del marito che la indusse a un tentato suicidio, quella dei numerosi amanti che abbandonava o l’abbandonavano (lavatoio sessuale della cultura italiana, la definì prezzolini), e infine quella ossessiva e maniacale di dino campana, con cui le discussioni terminavano a calci e sputi. 

 

ma se interroghiamo più a fondo le parole, se captiamo il loro timbro oscurato, notiamo innanzitutto che rina dice altri, e non altre, al di là della propria intenzione. se rina era gelosa, la sua pulsione pura, il suo io di linguaggio non si sviliva nel confronto con altre, nell’angusto sentimento dell’esclusività e della proprietà. il termine altri denota elezione e non esclusione, intensività e non estensività, assoluto e non relativo. altri è insieme l’altro tout court, e il mondo. “non ti lascerò” – ad altri, dice anche. anche questo è un verbo d’amore e sollecitudine, di cura, e non di gelosia. significa: non ti abbandonerò al mondo, tu pazzo, tu “mat” di marradi, tu sofferente. promette anche, il termine: ti raccoglierò, dal mondo in cui sei stato gettato.  

 

d’altronde tutte le parole di rina avevano una risonanza diversa, più profonda, di quella ordinaria. anzi, se la scrittura letteraria di campana, figlio di whitman e rimbaud, ha senza dubbio un’altra stoffa e un’altra forza, un respiro più vasto di quello della faccio, in questo epistolario è lei ad essere più intensa e espressiva. 

“tu non dici sempre, mai come le altre”, scriveva dino a sibilla. ma in che modo li avrà detti, se quando dino sarà internato a san salvi, lei che lo aveva amato per sempre non andrà mai a visitarlo, e un anno dopo si innamorerà del fatuo giovanni merlo, e poco dopo dell’atleta tullio bozza e via dicendo...? lo diceva con un come più autentico, è certo se lo avvertiva il medianico dino, ma insieme più instabile, più effimero, più confutabile, nell’istante e nell’assoluto ma non nella durata.

ed è così della pulsione erotica, quanto più è pura, violenta, primaria come quella di rina. nello stesso modo essa non vive nello spazio ordinario, ma nel punto e nell’illimitato, ovvero in uno spazio incommensurabile, ingestibile e in qualche modo inutilizzabile.

è un aspetto dell’eros non caratteriale, ma piuttosto archetipo. basti verificarlo nel canto sumerico di gilgamesh alla dea-amante ishtar, una delle prime testimonianze letterarie dell’uomo, riferito a meccanismi psicologici che erano pur sempre un effetto di cultura, ma di una cultura risalente a 4600 anni fa: “Che vantaggio avrò mai nello sposarti?/tu sei un braciere che si ghiaccia all’improvviso.../quale dei tuoi amanti hai amato per sempre?/quale dei tuoi pastori hai voluto per sempre?” (per quel che possiamo congetturare di tradurre di una lingua così remota).

è questa stessa provvisorietà e labilità dell’eros, che è difficile oggi, in un’epoca in cui il benessere materiale permette che le leggi del desiderio prevalgano su quelle del bisogno, e in cui il significato erotico e affettivo dei rapporti di coppia prevale su quello socio-economico, contenere nell’istituzione del matrimonio monogamico. a riprova di ciò, basta osservare il rapporto fra la curva delle separazioni e quella dello status socio-economico.

si potrebbe dire allora che costruire nuove forme di convivenza fra i sessi o i nuovi generi sessuali, magari istituzionalizzate, può servire sia a ridurre la sofferenza delle separazioni, che ad incrementare altri desideri, accresce la felicità e riduce il dolore. forse il problema è solo che considerazioni elementari come queste, tutti arriviamo a articolarle intellettualmente, nessuno a maturarle psicologicamente, percettivamente, somaticamente. ed è un problema politico che ci riguarda più profondamente che quello delle alleanze fra certe correnti di certi partiti, che continuano ad essere identificate come tali.

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