la
psiche si decentra, dissolve il limite fra interno e esterno, il corpo
sconfina, vuole riversarsi fuori di sé, ma contemporaneamente avverte che
questo stato estatico e forsennato dipende dalla disponibilità dell’altro, ed è
dunque garantito solo dalla sua proprietà.
la
tesi è che in una psiche libera, coltivata (che la cultura abbia portato in
qualche modo a rispondere e corrispondere al corpo), vigorosa, si possa
produrre un equilibrio fra queste pulsioni, e una disposizione psichica che
consenta la coesistenza di diverse relazioni amorose.
il
caso delle lettere di sibilla aleramo a dino campana
è in questo senso un materiale esemplare. sibilla (rina faccio) era una donna letterata, audace, i cui sentimenti si erano per quanto possibile liberamente riversati in numerose passioni, e dotata di un talento espressivo che ci dovrebbe garantire la significatività di quel che scrive. la sua passione per dino campana fu assoluta, folgorante e incondizionata.
è in questo senso un materiale esemplare. sibilla (rina faccio) era una donna letterata, audace, i cui sentimenti si erano per quanto possibile liberamente riversati in numerose passioni, e dotata di un talento espressivo che ci dovrebbe garantire la significatività di quel che scrive. la sua passione per dino campana fu assoluta, folgorante e incondizionata.
“Dino...
sei tu che mi squassi così? che cosa mi hai messo nelle vene?” ... “Dove sei,
che mi sento così strappata a me stessa...Dino, dopo questo non si può esser
più nulla, oh, sapere che anche tu lo senti, che rantoli anche tu così...”
rina
rantola, è in uno stato di spossamento amoroso, di consunzione dell’ego, di
annullamento del corpo estremi, non è più lei, non è più la piccola carne
confinata in una sagoma corporea che è lei, è un linguaggio al cospetto
dell’aperto, è un tratto del continuo sconvolto dai sommovimenti delle cose,
presa nel processo del mondo, è una cosa delle cose come un legnetto, una
formica, un bambino, un morto.
ma
scrive anche: “ oh ti voglio ti voglio, non ti lascerò ad altri, non sarò
d’altri”.
dunque
l’amore è esclusivo? dunque al punto zenitale della passione, nel momento della
massima eccitazione neurale, della più intensa sollecitazione dell’eros, siamo
gelosi e di conseguenza monogami?
tralasciando
per ora la questione di quanto la
gelosia comporti la monogamia, o possa invece essere trattenuta o
contenuta dalle regole etiche... ma era questa gelosia?
la
vita di sibilla fu funestata, devastata dalla gelosia, quella del marito che la
indusse a un tentato suicidio, quella dei numerosi amanti che abbandonava o
l’abbandonavano (lavatoio sessuale della cultura italiana, la definì
prezzolini), e infine quella ossessiva e maniacale di dino campana, con cui le
discussioni terminavano a calci e sputi.
ma
se interroghiamo più a fondo le parole, se captiamo il loro timbro oscurato,
notiamo innanzitutto che rina dice altri,
e non altre, al di là della propria
intenzione. se rina era gelosa, la sua pulsione pura, il suo io di linguaggio
non si sviliva nel confronto con altre,
nell’angusto sentimento dell’esclusività e della proprietà. il termine altri
denota elezione e non esclusione, intensività e non estensività, assoluto e non
relativo. altri è insieme l’altro tout court, e il mondo. “non ti lascerò” – ad
altri, dice anche. anche questo è un verbo d’amore e sollecitudine, di cura, e
non di gelosia. significa: non ti abbandonerò al mondo, tu pazzo, tu “mat” di
marradi, tu sofferente. promette anche, il termine: ti raccoglierò, dal mondo
in cui sei stato gettato.
d’altronde
tutte le parole di rina avevano una risonanza diversa, più profonda, di quella
ordinaria. anzi, se la scrittura letteraria di campana, figlio di whitman e
rimbaud, ha senza dubbio un’altra stoffa e un’altra forza, un respiro più vasto
di quello della faccio, in questo epistolario è lei ad essere più intensa e
espressiva.
“tu
non dici sempre, mai come le altre”, scriveva dino a sibilla. ma in che modo li avrà
detti, se quando dino sarà internato a san salvi, lei che lo aveva amato per sempre non andrà mai a visitarlo, e un anno dopo si innamorerà del fatuo giovanni
merlo, e poco dopo dell’atleta tullio bozza e via dicendo...? lo diceva con un come più autentico, è certo se lo
avvertiva il medianico dino, ma insieme più instabile, più effimero, più
confutabile, nell’istante e nell’assoluto ma non nella durata.
ed
è così della pulsione erotica, quanto più è pura, violenta, primaria come
quella di rina. nello stesso modo essa non vive nello spazio ordinario, ma nel
punto e nell’illimitato, ovvero in uno spazio incommensurabile, ingestibile e
in qualche modo inutilizzabile.
è
un aspetto dell’eros non caratteriale, ma piuttosto archetipo. basti
verificarlo nel canto sumerico di gilgamesh alla dea-amante ishtar, una delle
prime testimonianze letterarie dell’uomo, riferito a meccanismi psicologici che
erano pur sempre un effetto di cultura, ma di una cultura risalente a 4600 anni
fa: “Che vantaggio avrò mai nello sposarti?/tu sei un braciere che si ghiaccia
all’improvviso.../quale dei tuoi amanti hai amato per sempre?/quale dei tuoi pastori
hai voluto per sempre?” (per quel che possiamo congetturare di tradurre di una
lingua così remota).
è
questa stessa provvisorietà e labilità dell’eros, che è difficile oggi, in
un’epoca in cui il benessere materiale permette che le leggi del desiderio
prevalgano su quelle del bisogno, e in cui il significato erotico e affettivo
dei rapporti di coppia prevale su quello socio-economico, contenere nell’istituzione
del matrimonio monogamico. a riprova di ciò, basta osservare il rapporto fra la
curva delle separazioni e quella dello status socio-economico.
si potrebbe dire allora che costruire nuove
forme di convivenza fra i sessi o i nuovi generi sessuali, magari
istituzionalizzate, può servire sia a ridurre la sofferenza delle separazioni,
che ad incrementare altri desideri, accresce la felicità e riduce il dolore.
forse il problema è solo che considerazioni elementari come queste, tutti
arriviamo a articolarle intellettualmente, nessuno a maturarle
psicologicamente, percettivamente, somaticamente. ed è un problema politico che
ci riguarda più profondamente che quello delle alleanze fra certe correnti di
certi partiti, che continuano ad essere identificate come tali.
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