Nel mondo
rappresentato in cui viviamo, i parametri della positività sono diventati la
visibilità e il potenziale di eccitazione psichica. Una catastrofe, una
tragedia, può diventare dunque un evento positivo, e tale fu per Avellino il
terremoto dell’80. Da oscurissima città di provincia, Avellino divenne per un
decennio una città decisiva sul piano politico e sociale, accrebbe enormemente
il reddito pro-capite, venne alla ribalta della vita pubblica, insomma da
allora cominciò a esistere modernamente, mediaticamente. Preceduto da Sullo, arrivò
De Mita, che dominò una lunga stagione, poi Nicola Mancino, i ministri e
plenipotenziari vari Maccanico, De Vito, Gargani, Zecchino, Bianco che fu
presidente della DC, fino ai rampolli Rotondi e Pionati...lo stesso Mastella fu
una geminazione di De Mita. La tv era in mano a Biagio Agnes, che insediò i
Marzullo, i Pionati e 100 altri, alla protezione civile c’era Elveno Pastorelli,
demitiano e avellinese di fatto, i servizi segreti erano zeppi di irpini, ai
vertici del Vaticano l’altro Agnes, Mario.
Calarono in provincia industrie da tutta Italia, Ferrero, Zuegg, Ifs, Fma ecc, si costruirono infrastrutture per accoglierle. L’Avellino calcio fu la prima società di provincia a militare in serie A, sostenuta da una tifoseria votante di 35.000 persone, e ci rimase, stranamente o ovviamente, durante tutto il regno di De Mita.
Come è possibile che in una cittadina di 50.000 abitanti e in una provincia da sempre svuotata dall’emigrazione, si accentrasse in pochi anni tanto potere? Difficile sostenere che la ragione fosse da ricercare in qualche particolare tradizione culturale, o tratto genetico. A fare il miracolo fu evidentemente la fatale congiuntura fra l’atavica vocazione irpina al voto d’appartenenza e clientelare e la pioggia di miliardi (63mila in lire) che affluirono a fertilizzare quel terreno congeniale....
Calarono in provincia industrie da tutta Italia, Ferrero, Zuegg, Ifs, Fma ecc, si costruirono infrastrutture per accoglierle. L’Avellino calcio fu la prima società di provincia a militare in serie A, sostenuta da una tifoseria votante di 35.000 persone, e ci rimase, stranamente o ovviamente, durante tutto il regno di De Mita.
Come è possibile che in una cittadina di 50.000 abitanti e in una provincia da sempre svuotata dall’emigrazione, si accentrasse in pochi anni tanto potere? Difficile sostenere che la ragione fosse da ricercare in qualche particolare tradizione culturale, o tratto genetico. A fare il miracolo fu evidentemente la fatale congiuntura fra l’atavica vocazione irpina al voto d’appartenenza e clientelare e la pioggia di miliardi (63mila in lire) che affluirono a fertilizzare quel terreno congeniale....
Oggi la potenza
mediatica dell’evento sarebbe stata sfruttata ancora meglio, con vantaggi
sociali e economici anche maggiori: centinaia di iphone, webcam e telecamere
avrebbero ripreso e diffuso con impressionante vividezza, da ogni acrobatica angolazione,
l’apoteosi del terrore, l’irripetibile spettacolo della morte collettiva che esso
offrì: palazzi che si accartocciano, suoli squassati, masse in preda al panico,
orizzonti sussultanti squarciati da bagliori apocalittici...per la Natura fu
uno starnuto, ma quale sconvolgimento per la piccola comunità degli umani. C’era
anche la luna piena, un’oleografica luna rossa a causa del caldo anomalo (io
fui sorpreso dall’apocalisse nel bel mezzo di una passeggiata romantica con una
fanciulla, la dolce Gina).
Si inaugurarono
o definirono in quel frangente straordinario molti dei sistemi retorici e
simbolici che ancora oggi dominano la comunicazione mediatica: la tragedia in
diretta (l’anno dopo perfezionata a Vermicino), la funzione salvifica e
soccorritrice dei media, calati dagli elicotteri come angeli o supereroi sempre in anticipo sulle istituzioni, il
finto dar voce al popolo, la retorica del territorio, la celebrazione enfatica
del quantitativo – che è arrivata oggi a produrre babbionate di eventi come
l’Expo, consistenti esclusivamente (se non per gli operatori) nella loro
dimensione. Quello fu l’Expo dei prodotti più rinomati che produceva allora l’Irpinia:
povertà, arretratezza, vecchiette gementi...
I politici ci
guadagnarono, i buoni borghesi ne approfittarono, bambini e scrittori, che
vivono nell’attesa dell’evento sconvolgente di cui scrisse Bataille,
gongolarono, e ci campano ancora oggi, gli unici a patirne furono i poveri... 35
anni fa in Italia c’erano ancora i poveri, quelli che abitavano nella case sgarrupate,
i 3000 che sono morti. Ma quelli erano già invisibili prima di morire, la morte
li ha resi anzi più epici e spettacolari, li ha adeguati agli standard
mediatici. D’altronde, la funzione dei poveri è sempre stata questa, fare la
massa al massacro nelle guerre, essere falcidiati nei terremoti, ed oggigiorno
fornire materiale di prima qualità per i servizi tv e per i commenti su
facebook quando affondano i barconi.
ottimo scuotimento del pensiero, questa retrospettiva antelitteram. all'inizio c'è una "geminazione" che se non intendevi in senso gemellare, potrebbe essere il refuso di "germinazione", ma non so, solo tu puoi dirlo. nel finale ho riletto più volte e il girotondo di parole - fosse o meno nelle tue intenzioni, poco importa - mi ha obliquamente suggerito che tra "le funzioni dei poveri" ci sia anche e proprio quella di scrivere commenti e cliccare mi piace su feisbuc (barconi affondanti o meno). in tal senso - più o meno lato, per lato se vuoi a quadrare il cerchio - direi che i poveri in Italia ci sono innanzitutto adesso e sempre più ce ne saranno.
RispondiEliminageminazione, nel senso che mastella è il gemello di de mita - come sono gemelle Benevento e avellino, le loro ex postazioni di potere... la funzione dei poveri, è di materiale per i commenti...ma forse, dei poveri in senso moderno (poveri di potere e funzione sociale) anche quella di scrivere commenti su FB, come dici...quelli dei barconi non sono però ancora a questo stadio
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