marduk, 50
la mia carne si era preso un incarico di io
un incarico di livioborriello
l’incarico consisteva in questo: essere un pezzo di carne,
che fa collegamenti a casaccio, e chiamare questo: pensiero
arbitrariamente, assegnarsi una giurisdizione, una nebula di fonemi, spazio, cose...
considerare questa cosa, questa porzione della pappa cosmica,
questa concentrazione di polveri, un po' trattenuto da una membrana lacerabile (sempre pronto a schizzare rossando), incollato
all'aria, come se davvero fosse separata dalla sfilaccia di nuvola nel neurone, e se fosse davvero altro dalla spada di sargon, come se non risentisse del prossimo neutrino, e dell’ultimo
collasso di un recesso dello spazio coscmico, e del sussulto di un batterio nell’intestino del politico
formiconi
agire per conto di quella carne, farle soffrire le colpe, e godere i meriti
eseguire l’esistenza, come se davvero ogni gesto, ogni
istante fosse decidibile
fui 100 carni. nessuna di esse conosceva l’altra.
fui 100 luci: nessuna di esse conosceva l’altra.
fui 100 livi: nessuno di essi si conosceva
la carne di questo polpaccio, era al posto di questa luce
fra ocra e castagna. quella carne, in quell'istante, è esistita in un mondo.
ecco quel mondo
ero, sono, una sagoma ritagliata in un sé più grande. poi
noi uomini l’abbiano chiamata.
ero quando rampollò il tempo, quando
a tartaria una scimmia spelacchiata incise l’amuleto, nel
punto remoterrimo più fondo e ricorrente pensato o impensato da planck, da godel, dal fruttivendolo
sono finito segregato in una minima
abitudine, mi sono rifugiato in una minima abitudine...
mi faccio, adesso, lingua, alfabeto-idrometra sul pelo del
plasma elettronico, penetro in te – altracarne, altraluce, altralingua – mi infilo
nel tuo sguardo, più su lungo il dotto oftalmico, fino alla nevroglia mielinica e
vischiosa dell’area corticale, fino alla tua Lingua – e insieme facciamo
l’umano, il sociale.
chi capita capita esiste, chi capita capita accade, poi uno preciso tace
Riecco il mio Borriello, che non ha bisogno di otarie e tanto meno di suore per portarci oltre la soglia della percezione.
RispondiEliminale otarie proprio non ti scendevano, eh... eppure, chissà, verrà magari un giorno in cui il mondo sarà delle otarie... e anche all'asl si cureranno solo otarie...chissà...
RispondiEliminaah ma la contiguità col batterio formiconi sarà l'ultima battaglia distintiva persa di quest'io prima di tornare nebulosa :-)
RispondiEliminabellissima questa cronaca esistenzial-quantica
A
casaccio, rossando, il politico formiconi. Perfetto.
RispondiEliminae sì, ale , il batterio di formiconi è davvero la goccia che fa traboccare il vaso...
RispondiEliminagrazie all'anonimo per la recensione a tags...
tenue è l'intestino, tubi siamo io, più che altro, e spesso - lingua beffarda - non capisco un tubo. capita. capìta? chissà...
RispondiElimina: )
"mi faccio". mi pace l'idea. è bello rollarsi una lingua: basta eseguire un foglio di carta, anche molto piccolo, una cartina, insomma, e una manciata di parole incrociate e saliva che scambiando elle e ti diventa sativa e indica una sagoma ritagliata in un sé più grande tipo un marduk ma anche uno skunk o un plank e può assumere forma cilindrica o addirittura biconvessa e mentre lente scorrono le ore quando il tutto è ben posizionato è facilissimo - la lingua è già lì - dare una leccata alla parte con la colla e chiudere la bocca con dentro il residuo moncone di organo del gusto (“poi uno reciso tace”).
eh, capita talvolta che alla quarta tirata a campare mi domandi se ne valeva la pena e se la pena è giusta, essendo tutti tubi (innocenti)
: )
e chi capìta capita accade (dalle impalcature)…
e già, perchè è tenue l'intestino è ancora più strano del fatto che tenue sia la politica... io il collegamento lo avevo fatto, ma alquanto inconsciamente (l'intestino del politico formiconi...) o forse consciamente, manco mi ricordo... cmq ti informerò sull'etimo di tenue...
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