mercoledì 22 maggio 2013

novarina, o l'uomo disaderente

dico che valere novarina, teorico acutissimo, drammaturgo, poeta, pittore, fotografo, attore, è uno degli intellettuali più significativi di questo inizio secolo...non perchè ami le classifiche di "grandezza", ma perchè vorrei che fosse più conosciuto, letto e amato di quanto per ora non sia soprattutto in italia...
sabato 18, alla LIBRERIA VOYELLES e VISIONS, nell'ambito del Salone di Torino Off, ho avuto l'emozione di presentarlo insieme a Gabriella Giordano, Francesco Forlani e Paolo Musio. faccio seguire il breve testo introduttivo che ho letto


 



una delle definizioni possibili del lavoro di N. è questa: una ricerca sull'io che non c'è, sull'io in  contumacia, o forse più precisamente sulla trascurabilità dell'io. l’io per N. è un bianco, una sincope. in un intervista egli ha affermato che l’attore deve compiere il percorso inverso a quello di pinocchio: da uomo deve farsi pezzo di legno. oppure deve essere un assemblaggio: come nei carri di carnevale, 30-40 uomini devono farne uno solo.





apparentemente questa non è una novità. il tema è stato anzi una sorta di leit motiv del ‘900, e pensatori come Lacan, o Derrida, o forse più pertinentemente Merleau Ponty, lo hanno definito in termini filosofici o psicanalitici.

 
le radici di questa teoria sono peraltro molto antiche, sono in Platone, nel Fedro, nella descrizione delle 4 manie, quella divinatoria, quella iniziatica, quella poetica e quella erotica, attraverso cui giungono a noi “i più grandi doni”,per ispirazione divina. nella modernità, è stato Rimbaud, il primo autore che si è fatto varco al demone platonico, che si è fatto spazio, che si è fatto attraversare dall’Altro...il famoso “Je est un autre” . E tuttavia resta il sospetto che Rimbaud, per ragioni storiche, non abbia tratto le estreme conseguenze dalla sua intuizione. Che a parlare, in R. resti appunto l’inconscio, che è pur sempre l’inconscio di qualcuno, è pur sempre un sub-io, un omuncolo, un io più delirante, folle e selvatico, ma contenuto nel primo. qualcuno conosce infatti un inconscio che giri libero per strada, che sia privo di un contrassegno antropico, di una carta d’identità, di un recinto corporeo? l’inconscio circola sempre come un cane al guinzaglio dell’io, per riprendere un’immagine dello stesso N., e seppure, secondo la formula di Lacan, è il discorso dell’Altro invertito, ebbene, resta sempre quell’altro io che è l’io dell’Altro.

 
un altro pensatore radicale, H von Kleist, ha teorizzato non solo lo svanire dell’io, ma persino la sua applicazione drammaturgica, in uno splendido scritto, Il teatro delle marionette, ovviamente anteriore a Rimbaud. “la grazia (ma potremmo intendere anche: la verità) appare purissima in quella struttura umana che ha o nessuna o un’infinita coscienza, cioè nella marionetta, o in Dio”. Se Kleist avesse potuto drammatizzare consequenzialmente le sue teorie, sarebbe finito in manicomio. non potendolo fare, ha preferito sottrarsi al mondo, e ha occultato il suo vero intento nelle pieghe di una straordinaria opera drammaturgica, il cui impianto è tuttavia, inevitabilmente, di tipo tradizionale. Il filo del suo lavoro è stato ripreso 2 secoli dopo da artaud, ma probabilmente più negli scritti teorici che nella produzione teatrale, e da carmelo bene, che l’ha inarrivabilmente applicato nella sua tecnica di recitazione, e in parte anche nella sua scrittura di scena.

 Dunque la novità di N. qual è? ebbene, si potrebbe dire che N. è stato il primo a drammatizzare la parola stessa. In N. le parole funzionano in quanto fonemi e grafemi, in quanto tratti della carne del mondo, in quanto spasmi e vibrazioni dell’aria fricata sul corpo, o annerimenti del biancore della carta. al cospetto dell’infinito possibile, agiscono per conto dell’inanimato. ed è piuttosto questo inanimato a produrre psiche, che non l’animato e il biologico.

i parlanti del teatro di novarina non parlano ma sono parlati; ovvero, non parlano a nome loro, non parlano a nome di un demone mitologico, non parlano a nome dell’inconscio, non parlano a nome di un altro io, ma prestano voce alla materia, al suo insensato e violento vorticare e permutarsi, al suo inabissarsi o al suo quiescere. le loro parole, sono le parole che scrive il mondo nella nostra carne.

 
dunque N. ribalta il rapporto tradizionale fra psiche e linguaggio. non è la psiche a produrre parole, ma le parole a produrre psiche. l’io è qualcosa che accade incidentalmete e accidentalmente alle parole.
ed è proprio a partire da questa inversione, che N. immagina altri mondi possibili, immaginando altre grammatiche possibili, altri vocabolari possibili, altre enciclopedie possibili, altre parole possibili.

 
















 


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