venerdì 25 dicembre 2015

Lo scempio generazionale dei tatuaggi

Sono contrario a Facebook e ai tatuaggi...è lo stesso che dire che sei vecchio, potrebbe dire qualcuno. No, sono giovane, perché chi è contro le sciocchezze è sempre giovane.
Diciamo la verità: chi si tatua è “alla moda”, si conforma alla moda fin nella sua consistenza più intima e essenziale, e esclude così ogni spazio dell’eterno e del sacro. E’ una cosa davvero penosa, davvero deprimente. Chi si tatua è un oggetto sociale dentro, è una vacca marchiata dentro.
Le mie perplessità su uso e abuso di FB, questo starnazzamento tecnicamente equipaggiato (di cui non si può negare peraltro l’utilità e la potenza comunicativa) le ho espresse fra l'altro
qui, la mia insofferenza per i tatuaggi è ancora più radicale. Ma non è stizza o moralismo, è proprio in nome della passione che aborro questo cattivo tribalismo che non ne recupera la naturalità, il vitalismo o il senso del sacro, ma solo il gregarismo. Quello che era stato rivalutato dalle controculture degli anni ’70 come una discutibile forma di riappropriazione del corpo, ne è diventata un’espropriazione a tutti gli effetti.

La prima cosa che mi viene da dire è che non mi potrei mai e non mi sarei mai potuto innamorare di una donna con un tatuaggio importante e indelebile, o che comunque l’amerei meno.
Ma chiunque ama una persona tatuata l’ama meno, perché qualcosa che di lei ama non è lei. Chi è tatuato è meno, esiste meno, è meno sé proporzionalmente a quanta area del suo corpo è stata decisa da un tatuatore, o da un io sociale, gregario o comunque secondario. Credo che il vero innamoramento, quello che non è infatuazione, che non è parcellizzazione, quello che fa del corpo dell’amato, ovvero di ciò in cui egli essenzialmente consiste, la manifestazione dell’alterità assoluta, e dunque di ciò che è puro e ciò che è sacro, non possa non essere interferito, disturbato e profondamente inibito perfino da una depilazione ascellare, così come da tutto ciò che diminuisce l’individualità e l’originalità (intesa non come bizzarria e eccentricità, ma come legame all’origine), da tutto ciò che degrada da se stessi e ci allontana dall’essenza e comunque l’essenziale. Nessuna donna tatuata potrà essere amata senza limiti. Un corpo tatuato non è più adorabile, feticizzabile, sublimabile, è un prodotto adulterato, sofisticato, è come un metallo o un quadro falso, che per quanto possa essere indistinguibile dall’originale, ha posto un limite e una determinazione alla sua origine. Un diamante falso non vale meno perché è meno splendente o perché al microscopio presenta imperfezioni, visto che nessuno si porta il microscopio alle prime della Scala per valutare la fitness delle spettatrici. Vale meno perché ha un’origine artificiale, tecnica, tracciabile e ordinaria, in definitiva perché ha un’origine umana, e non è prodotto dal dio o dall’altrettanto numinoso lavorio della natura. Che l’origine sia l’una o l’altra, ci sono voluti 4 milioni di anni per produrre e perfezionare quel tessuto organico levigato, serico, delicato ma elastico e resistente, profumato e seducente, luminoso o scuro ma sempre lucente, portentoso, irriproducibile e insostituibile che è la pelle umana.


Le donne lo sentono così bene, da angustiarsi ad ogni sua minima lesione, discontinuità, corruzione. Eppure sono oggigiorno così assordate dal bombardamento dei segni, da aver smarrito il senso e l’istinto profondo dalla vera bellezza, al punto da farsi indurre a deturpare volontariamente con disegnetti scadentissimi, puerili e mezzi stinti il loro immacolato manto. Certo questo accade in forma più invasiva e eclatante con la chirurgia estetica... a cui sono ovviamente contrarissimo nella gran parte dei casi...tuttavia l’intervento estetico, se eseguito con criterio e discrezione, persegue un fine di armonizzazione che è perlomeno più sensato...il tatuaggio è anche stupido, pura induzione della moda – e infatti apprezzato in epoche recenti solo da galeotti e minorati intellettuali vari – un tentativo ridicolo di decorarsi se nessuno ci decora, un fregio standardizzato scelto da un catalogo, che ha la stessa qualità estetica di un autoadesivo o del logo del brodo in scatola. Chi si tatua lo fa con l'intento di personalizzarsi, ma non si rende conto che: 1) sovrappone a un unicum genetico, con la sua peculiare fisicità, grana, gradazione cromatica ecc., un segno standardizzato; 2) imbratta una superficie pura e intatta. Chi si tatua si fa sporcare per farsi possedere, poiché un marchio è in ogni caso un segno di appartenenza, che sia erotica, sociale o generalmente antropica. Inutile far notare quanto superficiale, fuggevole e rapsodico sia l’impulso estetico che decide questa appartenenza, basti pensare ai pentimenti sistematici, seguiti da abrasioni e sfracelli vari, per marchiature di nomi e iniziali di ex-amati ormai dimenticati o visceralmente odiati. E abradere una dermoincisione può essere assai più traumatico che divorziare.

Il risultato è che l'individuo-corpo, da che era la forma sublime immortalata dalla grande figurazione (pensiamo a una Venere di Milo o botticelliana con un drago sulle tette), la macchina evolutissima ammirata dalla scienza, l’impronta del divino adorata nelle antiche e moderne religioni, diventa un capo di bestiame marchiato e pronto alla vendita, il prodotto psichico in serie con l’etichetta della moda e il codice estetico del momento, il forzato dell’insipienza seriale, e insomma qualcuno a cui è stato negato l’accesso alla vera bellezza

A questo individuo sommerso, soffocato, affogato nei segni, minato dall’inquinamento semiotico che avviluppa la terra meno visibilmente ma più insidiosamente della CO2, non è concesso stupirsi del mondo, dell’evento ontologico che è l’esistere in sé, è preclusa l’estasi animale del proto-sapiens della savana, quella mistica di Angela da Foligno che si denudava davanti al crocefisso, quella estetica e furiosa di Michelangelo davanti ai suoi modelli. Ma più profondamente appare preclusa la possibilità di un rapporto con l’altro che non sia mediato dal sociale, dal mediatico e tecnologico, nella dimensione del contingente e dell’istantaneo che esso comporta. Alle nuove generazioni pare concesso solo lo stupore artificiale, le babbionate tecnologiche dell’Expo, le evoluzioni dei telefonini, o l’incessante rinnovamento degli stimoli che sostituisce quelli più duraturi – se non quelli eterni, quelli che almeno toccano i bordi del tempo. Ma io non credo che dei loro angeli di plastica e fibre ottiche si potranno mai innamorare seriamente, violentemente, impossibilmente. Un angelo tecnogeno è sempre controllabile e possibile, perché circoscritto in uno spazio antropologico...è amputato della sua angelicità, della sua indefinibilità, inderivabilità, inspiegabilità. E’ un angelo senza ignoto, e insomma è un animale tecnicamente equipaggiato – di cui si potranno al massimo amare attributi esteriori come il successo sociale, il potere, e una bellezza intesa come conformità. Un animale che paradossalmente non ha nulla di naturale, che ha perduto l’innocenza e non ha acquisito la saggezza. A sostituire questa perdita, interverrà una retorica della natura e della spiritualità, a base di tofu, new age e naturalismo da rivista patinata. Una vera sensibilità ecologista, che non può avere la sua radice che nel sentimento del sacro, non è compatibile con questa pratica che devasta e antropizza il paesaggio epidermico, l’ambiente e l’oikos del corpo proprio, e un ambientalista tatuato, non può esser tale che per moda o per patofobia.  

 
La massificazione progressiva è forse inevitabile, indotta com’è dall’incontrollabile proliferazione della specie uomo, e dall’esponenziale e mostruosa saturazione della semiosfera? Non saprei, la completa estroflessione dello psichico, di quell’invisibile interiore che caratterizza l’umano, lo porterà a svuotarsi e denaturarsi completamente, e probabilmente così a perdere il suo primato, il che potrebbe essere un’autoguarigione... Io credo però che con ciò molto si sarà perso, e che dunque molto ci sia da guadagnare a evitarlo. 



PS per chi volesse approfondire il problema parallelo della depilazione (anche questo meno frivolo di quanto possa sembrare) rimando a uno storico pezzo di elio paoloni
http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/02/17/il-nuovo-tab%C3%B9/



PS per chi volesse approfondire il problema parallelo della depilazione (anche questo meno frivolo di quanto possa sembrare) rimando a uno storico pezzo di elio paoloni http://eliopaoloni.jimdo.com/2013/02/17/il-nuovo-tab%C3%B9/

2 commenti:

  1. ohi, sono proprio d'accordo con te (su feisbùc e tatuaggi) probabilmente perché sono vecchio.
    : )
    però sviluppando in modo consequenziale il ragionamento, ne dovrei inferire, come naturale corollario, che è inevitabile amare di meno una donna che si tinge i capelli, o che ha la vitiligine o che ha perso un braccio in un incidente d'auto o che ha una cicatrice "importante e indelebile" a causa di un intervento chirurgico (subìto, chessò, a causa di un'appendicite flemmonosa o di un astrocitoma pleomorfo) o a causa di una grave ustione, "proporzionalmente a quanta area del suo corpo è stata decisa dal" chirurgo o dal colare dell'olio bollente, che ha "interferito" con ciò che è puro e sacro". mmmm....

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  2. mmmh...obiezione intelligente, e che pertanto gradisco anche se mette in crisi alcuni punti del pezzo...ce ne vorrebbe un altro per rispondere, o dovrei rimettere mano il che è sempre difficile...cmq in sintesi: su ustione ecc. bisogna amaramente ammettere che se tali problemi sono tanto temuti, è proprio perché ci rendono meno amabili...tuttavia in quel caso un supplemento di amore per le qualità "profonde" di una persona, è quasi dovuto, e può compensare la "riduzione" precedente... sulla tintura non saprei, diciamo che è un ripristino e infine più accettabile (non sempre)del tatuaggio...discorso ancor più valido per il dente rifatto...tuttavia io quando ero davvero innamorato amavo profondamente anche il dente cariato...

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