lunedì 3 settembre 2012

iscrizioni sugli alberi abbattuti

sono il solo ad essere io, e quello che lo è di meno. sono il materiale più permanente in questo corpo, le luci, le inflessioni nervose, il deposito del tempo in me, tutto ciò che mi determina, ma di mio ho solo della materia morta, dei processi, un certo volume di spazio all’interno del quale nessuno può penetrare senza effrazione. tutto questo insieme forma  una certa quantità di livio ("del" livio), ma non esiste un livio chiuso e stabile, è una struttura aperta e dinamica, un processo sospeso,  qualcosa che sporge e pencola.


dunque, ho già scritto che questa specie di porosità psichica, e di fluidità della voce, dei gesti, dei moti psichici è ciò che mi attrae di x. sono i caratteri dell’animale. l’animale esiste più visibilmente, esiste di più.


questa fluidità mi invischia, mi riesce difficile dissolvermene, districarmene, è come se questo tipo di psiche avesse una qualità adesiva, come se agganciasse intimamente le strutture della mia psiche... oppure ha dei vuoti, delle lacune, dei diradamenti che mi risucchiano. ad es, il nero degli occhi
– come il taglio immaginato della vulva, quello che accede al punto inesteso nel centro, al nucleo del corpo -  il vortice degli occhi, dietro cui lavora una specie di turbina di linguaggio che produce aspirazione. l’occhio è molle, è corpo liquido...se se ne rallentasse e ingrandisse potentemente il meccanismo, si vedrebbe che agisce come uno sfintere, come un vortice.


io sconto una percezione più profonda e rallentata, tutte le parti fluide, catturabili del mio corpo e del mio linguaggio vengono incorporate e si vanno a combinare intimamente con quell’occhio.

 
accorgersi che x esiste. se uno si accorge di un fatto così portentoso, ne è già catturato e potenzialmente dominato. io infatti sono inavvertibile. si potrebbe dire che mi avverta nello specchio o negli scritti. ma non è così, in realtà in queste impronte, in queste dislocazioni, io mi accorgo di me sempre un istante prima o un istante dopo, non è possibile che io contemporaneamente esista e lo sappia.

 
se invece avverti un corpo, la nuvola consistente, molle, aromatica, palpabile, tremolante della sua carne, esposta e grondante di segni – se da quel corpo come da una cavità soffia un linguaggio – una lingua qualsiasi, parole convenzionali, imparaticce, logore, trasdotte da altri corpi – tu ti stai già accorgendo di una “presenza”, di un evento portentoso, e già in qualche senso “ami”. se il complesso si sposta, e tu non puoi toccarlo, già produce una lacerazione, un’amputazione, una sofferenza.


se tu lo stai avvertendo, questo corpo è già adeso, è già immaginativamente nel posto dove questa adesione si realizzerà fisicamente (questo è il desiderio di baciare, di incollare le reciproche pareti esposte, e di penetrare, di incastrarsi gene a gene (di produrre l’incastro che è “il figlio”))

 
questo corpo dunque ti manovra. non sei più tu, perché ti sei esposto. non eri già tu, non sei mai stato un “tu”, poiché un tu non esiste nemmeno fisicamente (è pompato e ciclato continuamente da aria, di materie commestibili, di umidità, di luce ecc.), figuriamoci psichicamente. questo tu è sempre una domanda che aspetta una risposta, è un suono aperto, è uno stato del corpo bucato, finisce con una vocale, a bocca aperta. è la bocca in sé, che è un dispositivo interrogativo, interlocutorio. chi ha una bocca sta già vagendo, sta già reclamando l’altro, ha nel corpo una serie di falle che devono essere otturate. così come chi ha un pene appeso sta già cercando l’astuccio dove riporlo, non può girare tutto il tempo con questo aggeggio appeso e sporgente.

 
purtroppo questa storia dell’io e il tu incompleti non è un giochino intellettuale. un io, un livio, un’anna hanno sempre una parete esposta, senza pelle, una superficie “avida” che si chiama amore o angoscia (in genere sono gli ormoni che modulano in un senso o nell’altro... per es. alle 4 di notte l’abbattimento della serotonina rischia facilmente di modulare in angoscia)

 

l’iphone è un dispositivo complicato per accorgersi del mondo. se non ci accorgiamo di nessuno, abbiamo bisogno di un sistema che moltiplichi infinitamente i nostri contatti, anche se forse di questi esseri contattati così lontani forse ci accorgeremo sempre meno. se non ci accorgiamo del ferro, della materia, degli elettroni, abbiamo bisogno di complicarli al punto di poterne fare un “uso”, abbiamo bisogno di ridurli a un deplorevole “oggetto-oggetto”, oggetto cosificato.

 
se ci accorgiamo del mondo (se lo amiamo), la sua esistenza non solo è sufficiente ad appagarci, a gioirne, a essere in rapporto ad esso, ma eccede anche questo effetto, e questo è il problema, perché questa eccedenza produce desiderio (amore). il desiderio - a differenza del bisogno - non è appagabile, e dunque il desiderio in sé è produttore potenziale d’angoscia. (questo spiega un po’ tutta la faccenda, anche quella del successo....dobbiamo sostituire quantità a qualità, bisogni a desideri)

 
 
l’essenza che amo è speciale, ma il segno è sempre ordinario, comune...per es. di (...) amerei quel che è in potenza, in essenza, ma ciò che mi “vincola” a lei sono segni consistenti, dotati di propietà fisiche - e agisce dunque nella sfera semiotica.

 
il tempo è in me, il tempo è me? ma il tempo, lo ricostruisco istante per istante, è una mia fantasmagoria. il tempo mi occupa istantaneamente, sorge, esala, si rilascia a ogni istante dalla poltiglia, dalla gelatina biancastra che io sono nella scatola cranica, e le sue ramificazioni, ma nessuno lo ha mai visto, fotografato, repertato, nessuno ha mai preso un pezzo di tempo in mano e può assicurarcene la realtà...

 post anticipato per ragione tecniche. pubblicazione effettiva 9-11-14
 

2 commenti:

  1. Alcune descrizioni mi piacciono, le capisco bene, e ho provato anch'io cose simili, ma altre con sincerità non riesco proprio a capirle. Che significa per esempio tutto il finale? Non è che giochi un po' con le parole?

    fatamorgana80

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  2. beh, diciamo che l'ultimo frammento è un po' fuori misura linguisticamente... magari lo correggerò... su un blog bisogna anche un po' azzardare...certo dire che dio è epidermitudine è più una battuta che altro... vorrebbe significare che è ciò che si ripete, dunque l'essenza, il principio astratto delle cose umane, qui simboleggiate nella pelle...e così via.
    fatamorgana? è quasi il mio film preferito del quasi mio regista preferito, herzog...

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