domenica 16 marzo 2014

lo stato-musical – qualche appunto da santo domingo


3-2-14, arrivo a boca chica
mi chiedo dove sono i vecchi dominicani e i giovani europei. ci sono solo coppie di giovani dominicane e vecchi europei...

 qui si scambia la carne malata occidentale con la carne giovane caraibica


  
bayahibe
- dopo 10 minuti di conversazione: vuoi diventare la mia novia (fidanzata)?
- sì.
 
il tizio della policia nacional, mentre sta facendo una multa, si fa 2 passi di merengue

 


                                                        

 
lo spazio acustico del caribe è incessantemente pervaso di musica - soprattutto merengue, salsa, bachata, o quella urbana, il dembow. la vita qui funziona secondo una scansione ritmica, contrazione e rilascio, carico e scarico, battere e levare. la vita è sentita come una pulsazione

 
 
comunque l’apparato acustico dell’altro non è considerato uno spazio privato, tutta la notte impazzano motori, sirene di navi e treni, musica, cani e dalle 4 in poi i galli combattenti. e farsi svegliare alle 3 di notte dalla versione merengue di maldita primavera a manetta, è un’esperienza che non raccomando a nessuno

  

come darwin alle galapagos, vengo alle antille per trovare conferma alle mie teorie poligamiche, ma l’unica cosa che trovo è un puttanaio a cielo aperto, una specie di stato d’appuntamento, o comunque di stato-hotel, o di stato-paradiso fiscale, o di stato-casinò (controllati da camorra e 'ndrangheta) o di stato-musical

 
d'altronde è l'idea stessa di turismo - corruzione dell'avventura e perfino del viaggio - che è una forma di prostituzione del corpo-paesaggio... è vendere la bellezza dei propri paesaggi, farsi scopare le spiagge, i monumenti e i luoghi incantevoli
 

il merengue che permea tutta la quotidianità dominicana esprime una semplice necessità fisica, non produce nessuna emozione o percezione nuova, semplicemente scandisce la realtà, la asservisce a un principio duale, la contrae e decontrae. il dominicano sente la vita solo in questa pulsazione. riporta la realtà esterna, lo spazio aereo che permea la realtà, al ritmo interno del corpo, al ritmo cardiaco e respiratorio.

  

gli unici che lavorano, nelle piantagioni di canna da zucchero o nei tabacchifici,  sono i negri haitiani, che non per niente così si guadagnano il disprezzo generale

 
su google compaio dopo livio borro muentes


dopo 3 giorni di mezza finzione, di sospensione nel non detto, la serata di giovedì io e il mio amico ci guardiamo in faccia con le novie, e finalmente sappiamo che siamo noi 2 porci e loro 2 puttane

 
 


nel piccolo paese di guayamate la negoziante del colmado è onesta, si fa pagare il pranzo 50 pesos (quasi 1 euro), e poi mi chiede un regalo integrativo di altri 50 pesos. a bayahibe, nella zona turistica, la novia mi dice che vuole fare l’amore con me perché le gusta (e, di fatto,  le gusta), e che non vuole pesos. dopo poi con vari pretesti me ne spilla 3000.

 
 a santo domingo non si produce, si spreca. d’altronde, la natura non produce, spreca. e in fondo è anche giusto che nell’esistenza ci sia un momento della produzione e uno dello spreco

 
 
qui il sesso-natura predomina sul sesso-discorso dell’occidente euro-americano.  la carne è percepita  nella sua dimensione naturale, in un’accezione lontanissima da quella paolina ( più che cristiana) di carne come gravame, come pietra d’inciampo, come fonte di peccato.  ma proprio per questo il corpo finisce per avere lo stesso statuto di una patata, e diventa bene di consumo, e infine merce.

non esiste alcuna dimensione sacrale del corpo, tutto è riportato al sensoriale

 


la perfetta mescolanza fra gene europeo e africano, e in percentuale assai minore indigeno (i quasi estinti taino, gli arawak, i caribi), come in tutta l’america latina e in brasile (e a differenza che nei paesi di colonizzazione francese e anglo-sassone) ha prodotto una variante di qualità della specie uomo, una razza pregiata. corpi elastici e scattanti, incastri esatti di muscoli avvolti da pelli seriche e lucenti, aromatiche come i frutti tropicali. al mercato, come ti giri ti appare una scultura di carne, fianchi insellati e possenti, ma mai pesanti, braccia nude che a toccarle ti sembra di sentire la levigatezza di una foglia e la tonicità e la consistenza del caucciù

 

 leggo il degrado dell’occidente, nel degrado dall’andatura flessuosa delle dominicane a quella sculettante delle europee

 


ancora vado soggetto a queste raffiche d’ormoni... in cui una carne, la forma di una carne, il segno che configura una carne - penetrano attraverso il foro delle pupille nel corpo, e generano una scossa violenta, uno spasmo, uno scuotimento, una folata nel sangue...così incrociando quella ragazza vicino al colmado...

 
 

infine però finisco per rimpiangere le mie frequentazioni africane. lì i poveri sono poveri, le puttane puttane, e anche la natura, in qualche modo, è restata natura, o almeno sembra averne più l’intenzione

 

una certa ambiguità mi sembra intorbidare il fondo di tutti gli atti sociali e politici... mi viene in mente balaguer, letterato e presidente fantoccio creato dal dittatore trujillo, che poi diventò il campione della democrazia e il più amato presidente... e non scriveva nemmeno male...

 
 
a santo domingo, gli aspetti positivi (il merengue ecc.) sono aspetti che non mi interessano, e gli aspetti negativi (le puttane ecc. ) nemmeno

 
 
cos’è l’uomo? l’uomo è una cosa fra la carta e la penna. si definisce quando la penna tocca la carta, quando pure questa penna sia fatta di emissioni della glottide e questa carta di nevroglia mielinica

 
 
il futuro è più da queste parti che dalle nostre parti. ma il futuro è una cosa che non è più un granché, mi sembra ormai diventato solo un’improbabile supplemento del presente, un presente dietro l’angolo, o una figura retorica da riempire di contenuti a piacere... non è più un valore, non è più una fede... il futuro non è più immaginato, è calcolato, è temuto, più che sognato e desiderato è macinato e ingurgitato...accade e consegue meccanicamente ... così il futuro che vedo qua, è il futuro dove ci si ammassa, dove si sopravvive...

 
 
dio aveva infinite case, e ogni istante ne abitava una. quella sera passò per una puttana negra, con la gonna corta, in piedi sul lungomare

 

viaggiare per me significa che l’inerzia, invece di farla stare ferma, la porto in giro

 
 
all’aeroporto vedo sempre 2-3- donne della mia vita

 
 
appena sbarcato a parigi, la sensazione di essere tornato nell’occidente malato, corpi sopravvissuti a forza d’antibiotici, informi, ingrigiti, flaccidi... silhouettes improbabili, di una razza artificiale... non è naturale che il culo di questa avanti a me nella fila se ne scenda come il moccio di una candela, formi questa strana curva del pantalone... non mi pare sano nemmeno questo naso, troppo accidentato, non va da un punto all’altro, quelle deviazioni non si sa a che servono....per non dire del colore stinto e grigiastro, dell’idea di vecchio panno della pelle... il bianco è un mutante depigmentato e degenerato del nero, adattatosi ai nostri climi grazie alle tecnologie abitative e vestiarie e alla domesticazione del fuoco...



 

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