mercoledì 7 agosto 2013

la congerie che siamo dentro



questo è il nostro corpo … avvolti da una tunica bianchiccia….siamo un groviglio, un impasto di carni sanguinolente, tubi, cordami, piccoli congegni molli … abbiamo vuoti, noi vuoto nel nostro contorno… ci circola aria dentro, che sagomiamo e scuotiamo, sbattiamo nella carne e ne esce una psiche… ci esce aria dal tubo, e quest’aria è un io … ci scambiamo quest’aria, questi filamenti sonori, ne esce un organismo aereo collettivo, la lingua…ecco l’etica, consistere un po’ meglio….

 
siamo cose parlate da una lingua, tubi sonori attraversati dal linguaggio, da una struttura ugualmente fisica (l’aria, i segni), ma talmente sottile e leggera da poter essere condivisa, da essere impersonale, collettiva, interlocutoria. siamo insediati da affezioni linguistiche.


la congerie che siamo dentro... e tutto questo ammasso, questo intrecciarsi di tuberie e circolare di fluidi spessi... tutto questo rivolgimento di gas turbinanti e getti elettrici e flussioni chimiche, tutto questo impasto fra putrefazione e costruzione... produce tutto lingua, segni, connessioni, astrazione, figura, apparenza, plessi di suono e glomeruli di inchiostro che approfittano delle cavità e sboccano fuori...

 
l’ordine che impone la pelle, a quel che di me è sparpagliato...noi stiamo nel gas, e siamo dalla pelle in poi, verso dentro...e sopra la pianta che è la pianta dei piedi...

 
quello che voglio significare, che voglio visualizzare nelle parole leggibili, è il succedere di tutti questi corpi agili e animati, il fatto che essi siano avvenuti in questo immensa area vuota del mondo, che si ramifichino e irretiscano invisibilmente attraverso le loro protuberanze di suoni, e che tutto questo si riannodi infine nel misterioso metro cubo del mio corpo, di questo congegno roseo e tiepido che colma la mia sagoma – e diventi ribaltabile, dicibile, diventi questa astrazione che cola, quest’aura.


la parola deve stingere dal contorno, dallo spazio semantico, forzata da una pressione interna – dalla passione, dall’irritazione del limite, dalla pulsione trasgressiva – deve sbavare, dissolvere le lettere, produrre un alone nebbioso che annulli sul proprio bordo la regola, e permetta al corpo di ricevere le impressioni del mondo come non è.
 


siamo dilaniati fra un corpo che esige tutto, che non vede l’altro, che non sa che esiste, che conosce solo il proprio spazio e non ha altro fine che dilatarsi in tutto ciò che suppone sia altro spazio - un corpo folle, cieco, ottuso, meccanismo che esprime solo la sua ebbrezza di vita, il suo compito biologico – fare vita ; e l’io, la psiche, che è un prodotto di linguaggio, che è costituito di linguaggio, e dunque di una rete di rapporti. questa psiche ci avviluppa dunque nei bisogni sociali, la compagnia, l’amore, il successo. è un organismo immateriale aperto, è in sé incompleto, ha bisogno di essere continuamente completato dal riconoscimento, dal riscontro, dall’interlocuzione, dalla risposta - l’io è una domanda, una domanda la cui risposta è l’altro.
ma il linguaggio che proviene dal mio corpo, la mia aura linguistica, non ha altro da offrire che quel corpo.

situarsi in questo punto percettivo ci permette di recuperare la dimensione del sacro, di percepire il reale con un’intensità e violenza e una vividezza nuova. una mela, una vulva, un pensiero, un dolore dell’altro, da questa posizione percettiva ci appariranno più propri

 

(il lavoro, e in particolare il lavoro manuale, e ancor più il lavoro agricolo, ci appare come il compito necessario, che ci reimmette nel circuito, che ci restituisce a noi stessi)


non si può fare nient’altro che vivere, che azionare questo corpo, che immergersi in questi spazi, che procedere in questo tempo. se però si sgombra la percezione, e si lascia depositare questo vivere, questo spazio e questo tempo – se si arriva a percepire l’orologeria delle cose, l’orologeria del loro accadere puro – se si arrivano a percepire le cose in quanto cose – se ci si sente come una mosca e una tegola, ma una mosca e una tegola che manipolano un altro corpo, il linguaggio, e attraverso esso riescono a replicarsi, e in qualche modo a salire su se stessi – se si riesce a immergere in questo sguardo chi guarda, cioè se stessi, se si riesce col corpo a vedere il corpo ; se si lascia attraversare la cosa del corpo, o anche la cosa di una telecamera o di uno strumento musicale, dal mondo stesso, dal suo flusso continuo che va da un punto all’infinito all’altro … se si diventa un po’ più imbecilli, ma imbecilli liberi, colti e sensibili… il mondo assomiglierà di più a quel che è, e forse ci vivremo un po’meglio


l’ordine che impone la pelle, a quel che di me è sparpagliato...noi stiamo nel gas, e siamo dalla pelle in poi, verso dentro...e sopra la pianta che è la pianta dei piedi...

ma io sono anche il convoglio di bianco, il treno di luci, il volo battente del piccione che pattina sull’azzurro ...la rifrazione di luce del katanga...e la vena azymos... io sono materia di scassazione del mondo, io sono questi detriti...

arrivato in me, il detrito si anima, si fa biologico e cenestesico, si rovescia...

spinto dall’ondata turbolenta dei panni al vento, dalla bellezza di a.,  angelo sconcio, dalla  figura di regolazione che è la giustizia, dalla vis a tergo che imprime il verme che scava la galleria...io ne derivo...

cavaliere, autista, pass by...

 
 
 

2 commenti:

  1. http://www.youtube.com/watch?v=KAImMLplrPI

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  2. 'o surdato 'nnammurato?!
    ...beh, è una congerie pure quella...

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